Tra i lavori più rappresentati sugli schermi televisivi di tutto il mondo si collocano quei mestieri della società dello spettacolo che si svolgono davanti alla telecamera: attori e attrici protagonisti di fiction; presentatori e presentatrici dei vari generi di spettacolo; giornalisti e giornaliste che curano e conducono telegiornali, rassegne stampa, programmi di informazione e di infotainement (informazione-intrattenimento); comici, ballerini e ballerine; e poi i vari “tronisti”, “veline”, “letterine”, eccetera.
I protagonisti di questa multiforme e truccatissima macrocategoria sono poi rilanciati da interviste e speciali per giornali, tv e web, e dalla partecipazione a talk show e reality show, in una sorta di vertiginosa ubiquità, continua e autoreferenziale. Di rado, tuttavia, sono rappresentati come veri professionisti, poiché solitamente sono tenuti nascosti la formazione, lo studio, nonché i processi lavorativi e le singole attività che portano alla realizzazione dei diversi prodotti.
Per cui, per quanto una persona possa decidere – o imparare a desiderare – di diventare attore, giornalista, “velina” ecc., non è facile che, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, riesca a comprendere esattamente come funziona quel lavoro, o cosa occorre fare per acquisire le competenze necessarie a svolgerlo.
Un’eccezione a questa situazione si trova in alcune forme di spettacolo sullo spettacolo.
Un esempio illustre è costituito dalla televisione sulla televisione di Renzo Arbore, come la trasmissione Indietro tutta! (di Renzo Arbore e Ugo Porcelli, con Alfredo Cerruti e Arnaldo Santoro): 65 puntate condotte dallo stesso Arbore insieme a Nino Frassica tra il 1987 e il 1988. Più satirico che comico, il programma stigmatizza la televisione di intrattenimento anni Ottanta, basata sulla centralità di un presentatore (il personaggio-maschera del “bravo presentatore” di Nino Frassica) e di un regista-autore che guida le azioni dei personaggi (il “comandante” Renzo Arbore). Il duo alleato conduce gli spettatori in una selva di giochi a premi, balletti (la compagnia delle Ragazze Coccodè), spot commerciali (per uno sponsor immaginario: il Cacao Meravigliao). In questo modo, ovvero attraverso una satira tanto efficace quanto mimetica e puntuale, il programma rende possibile entrare dentro gli ingranaggi di una certa televisione, rivelandone scheletro, tic e funzionamenti, e allo stesso tempo esponendo gli aspetti solitamente nascosti di molti dei mestieri necessari a realizzarla.
Interessante anche il caso della fiction sulla fiction Boris, prodotta in Italia tra il 2007 e il 2010 (ideatore Luca Manzi, soggetto di Luca Manzi e Carlo Mazzotta, sceneggiatura di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo), che mette in scena il dietro le quinte delle riprese di una serie tv, paradigmaticamente intitolata Gli occhi del cuore. Attraverso il punto di vista di uno stagista di regia – il personaggio di Alessandro – lo spettatore di Boris ha la possibilità di comprendere il ruolo dei vari lavoratori dello spettacolo coinvolti e, in generale, di rivivere l’intero processo di produzione di una fiction.
Dato l’impianto fortemente ironico – al limite del sarcasmo – i mestieri sono deformati in modo quasi caricaturale, a tratti grottesco (il regista esaurito che parla col pesce rosso, il direttore della fotografia cocainomane, lo stagista-schiavo, l’attrice cagna, ecc.). Tuttavia, il quadro d’insieme risulta realistico e i processi lavorativi rappresentati con cura.
Anche il cinema dà ampio spazio ai mestieri dello spettacolo, con film come Effetto notte (1973), il capolavoro di François Truffaut (ma si pensi anche a Fellini, Nanni Moretti, Scorsese, ecc.), e soprattutto attraverso il filone di critica alla televisione e, più in generale, di indagine sul potere dei media e sul rapporto tra editoria e politica, da Quarto potere di Orson Welles (1941) a Reality di Matteo Garrone (2012).
Oggi, infine, grazie agli immancabili making of e contenuti extra che narrano la genesi e il dietro le quinte delle produzioni teatrali, televisive e cinematografiche, è possibile e più facile comprendere di uno spettacolo il suo processo lavorativo, esso stesso “raccontato” e spettacolarizzato.
Ma il dubbio rimane: quanti sono i bambini, i ragazzi e gli adulti – e, aggiungerei, gli insegnanti – che hanno davvero un’idea accurata e realistica di questi mestieri, solo apparentemente visibili?