Registro elettronico e mito di Theuth

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Cosa c’entra un vecchio mito greco con l’innovazione tecnologica? Cosa ha a che fare un antico filosofo con la tecnologia dell’informazione in ambito scolastico? Vorrei suggerire che guardare indietro può fornire un po’ di serenità quando si guarda avanti: la serenità mette in grado di vedere meglio le cose.

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Il dibattito che si sta svolgendo sulla stampa nazionale a riguardo del registro elettronico è piuttosto vivace in questi giorni. Si susseguono i caveat di coloro che ne temono le conseguenze (vedi p.e. M. Veladiano) e le rassicurazioni di coloro che cercano di ridimensionare i primi (vedi p.e. E. Segantini). Certe riflessioni sui giornali, ma anche tra i docenti, mi ricordano il mito di Theuth, uno dei meno noti tra i miti platonici, purtroppo.

Il mito di Theuth esprime turbamento per la scoperta di quella straordinaria e potente tecnologia che è la scrittura. Esso ha il fascino della narrazione di una rivoluzione in atto. Il mito narra che Theuth, uno dei vecchi dei dell’Egitto, si reca dal re Thamus, signore dell’Egitto, e gli illustra i vantaggi di alcune sue invenzioni tra cui l’alfabeto. Ecco, per bocca di Platone, come egli illustra l’utilità dell’alfabeto: «Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria» (Fedro, 274e). Il re, che non si faceva convincere facilmente, ribatte che con la scrittura gli uomini anziché ricordare di più, finiranno col dimenticare di più, perché «fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei» (275a). Anche senza vederlo come espressione di cieco conservatorismo, il mito rivela una certa ansia dell’uomo di fronte alla novità e una certa peraltro motivata resistenza ad accettare qualcosa che cambia i metodi consolidati.

Le ragioni dei nuovi Thamus sono ampiamente fondate. Oggi, in tempi di smartphone e tablet, l’accessibilità dello scritto è notevole e su di essa si radicano le illusioni della memoria. Non stupisce quindi che Maurizio Ferraris, anche lui novello Thamus, stia mettendo in guardia dai pericoli della documentalità. L’eccesso di informazione e la labilità dei documenti, che si accompagnano però alla difficoltà di cancellare quei dati che sarebbe bene obliare, forniscono problemi sempre più urgenti e quotidiani. Del resto, chi non prova apprensione per il proprio archivio fotografico salvato su supporti sempre più labili, dal CD alla nuvola? Va bene, ma… e il registro elettronico?

Mi pare che uno degli insegnamenti per l’oggi che il mito ci consegna, anche al di là delle sue intenzioni, è che dobbiamo imparare a vincere l’ansia per le novità e, pur nella consapevolezza dei loro limiti, dobbiamo imparare ad apprezzare i vantaggi che esse spesso portano con sé. Se l’umanità non è peggiorata per via della scrittura, c’è motivo di sperare che la scuola sopravviva al registro elettronico e con lei i rapporti umani. Del resto, la trasparenza che esso provvederà costituirà una risorsa perché la famiglia sia facilitata ad assumersi le proprie responsabilità e perda quello che molte volte è stato un alibi nefasto eppure spesso accampato, cioè il «non sapevo», «mio figlio non me l’ha detto». Nel registro elettronico la documentazione, coniugata con l’informazione, certo non apporta sapienza, ma almeno combatte negli allievi la tentazione al sotterfugio e richiama alla responsabilità, se la famiglia fa la sua parte.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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