Quasimodo e dintorni: pessime scelte ministeriali

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Una riflessione sulla Prima Prova dell’Esame di Stato.

Strano destino, quello del poeta Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura nel 1959. Dopo una larga popolarità e una buona considerazione da parte degli studiosi successiva all’ottenimento dell’ambito premio, è calato su di lui una sorta di oblio critico-didattico. E se lo cerchiamo nelle più adottate antologie scolastiche, lo troviamo – il più delle volte – trattato in modo cursorio, con una scelta antologica risicata. Ma a ridare a Quasimodo non un quarto d’ora (come diceva Andy Warhol) ma ben sei ore di (im?)popolarità ci ha pensato il Ministero dell’Istruzione, proponendo quest’anno la sua Ride la gazza, nera sugli aranci come testo per la Tipologia A dell’Esame di Stato. Si tratta di una dolente rievocazione dell’atmosfera mitica della Sicilia della sua infanzia, fatta in anni bui: i versi sono infatti del 1942. Gli endecasillabi si snodano con sapienza (e molto mestiere), proponendoci un incipit di sapore foscoliano (con Forse iniziava anche il sonetto Alla sera) e quindi un’alternanza di suggestioni liriche e di potenti immagini classicheggianti, come quella dei campi / umidi d’orme di cavalle, che denota la consuetudine con la lingua formulare della poesia greca arcaica. Chiude il componimento l’ossimorica gazza, nera che ride (pur tra gli aranci di Sicilia), la quale funge probabilmente da rappresentazione simbolico-allegorica delle angosce individuali e collettive di quegli anni.
Già lo scorso anno scrissi
che avrei voluto, nelle domande dell’analisi testuale, meno richieste meramente denotative e – soprattutto – consegne più chiare e puntuali. Non sapevo infatti già davanti al passo di Claudio Magris cosa volesse dire la richiesta Soffermati, né lo so quest’anno: ma pervicacemente, ai punti 2.4 e 2.7, si chiede rispettivamente Soffermati sul motivo della memoria e Soffermati sul motivo della natura. Evidentemente il verbo soffermarsi piace ai nostri burocrati, forse perché evoca la placida staticità delle poltrone ministeriali…
Eppure, pur con tutti i suoi limiti, la Tipologia A rischia di primeggiare nella – davvero modesta, quasi “sciatta” – proposta di tracce fatta per l’Esame di Stato. O almeno “a pari merito” con la interessante frase di Renzo Piano sulle periferie urbane che costituisce la Tipologia D: se avessi fatto la Maturità da studente nel 2014 penso che avrei scelto proprio quest’ultima.
Non avrei certo scelto l’incredibile Tipologia B (Saggio Breve o Articolo di ambito artistico-letterario) sul Dono, dove l’eterogeneità dei documenti è davvero imbarazzante. Che c’entrano – ad esempio – la Donazione di Costantino coi Doni dei Magi a Gesù, con la donazione del rene o con “dono” della nascita del bambino cui si allude nel passo – bruttino davvero – di Grazia Deledda? Per non parlare degli altri documenti di antropologi, sociologi e teologi che di “artistico-letterario” avevano davvero poco… E credo che non avrei saputo neppure tanto bene come tenere insieme le tematiche che emergono dei documenti del Saggio/Articolo socio-economico su Le nuove responsabilità; balzare dal buco dell’ozono ai problemi demografici, alle questioni della coesistenza e della “cittadinanza mondiale” non è proprio roba per individui limitati come il sottoscritto: spero comunque che gli studenti di cui correggerò le prove siano stati più abili in quest’opera di equilibrismo. Sicuramente più abili e competenti di un classicista ultracinquantenne i giovani lo saranno stati nel maneggiare i documenti sulla Tecnologia pervasiva, oggetto di un Saggio/Articolo tecnico-scientifico, sul quale – lo confesso – debbo ancora un poco meditare: e dunque ne taccio, anche perché su queste colonne il collega Guastavigna ne parla in modo assai più competente.
“E le tracce storiche?”, potrebbe obiettare qualcuno. “Dài, non puoi lamentarti anche di quelle!”. Eppure me ne lamento, eccome se me ne lamento! Lo faccio perché rappresentano la negazione della storia, la morte di qualunque tentativo serio e misurato di riflessione sul nostro passato.
Il Saggio/Articolo su La violenza e non-violenza: due volti del Novecento propone infatti i documenti con una “sciatteria” (sì lo ripeto) che rasenta l’incompetenza. Come è possibile che del passo di Hannah Arendt si diano la data dell’edizione originale e di quella della traduzione italiana, mentre così non avviene per il passo di Gandhi, che – così proposto – sembra del 1975 (quando il Mahatma era già morto da un pezzo)? Ma il capolavoro è la citazione del discorso del 1963 di Martin Luther King che viene dato semplicemente con il link all’edizione on line della Repubblica del 28 agosto 2013? Si tratta forse – con rispetto parlando – di un’intervista ottenuta tramite una seduta spiritica? I documenti vanno sempre datati, vanno presentati con chiarezza come qualcosa che è figlio di un determinato contesto storico e culturale: diversamente, ne conseguono il caos e la perdita di quella differenza tra passato e presente che sempre più la modernità semplificatoria vorrebbe negare.
“Allora”, rilancerebbe il mio ipotetico interlocutore, “la Tipologia C, dove si chiede di spiegare la diversità tra l’Europa del 1914 e quella del 2014, è un tema perfetto, no? Qui si enuncia infatti a lettere di fuoco la differenza tra passato e presente…”. Certo che sì, ma proviamo a leggere insieme tutta la traccia:
L’Europa del 1914 e l’Europa del 2014: quali le differenze? Il candidato esamini la questione sotto almeno tre dei seguenti profili: forme istituzionali degli Stati principali; stratificazione sociale; rapporti fra cittadini e istituzioni; sistemi di alleanze; rapporti fra gli Stati europei; rapporti fra l’Europa e il resto del mondo.
Forse un convegno che avesse riunito i più grandi storici e politologi del Novecento avrebbe potuto – non dico trattare esaustivamente, ma almeno cominciare a – enunciare qualcuna di tali questioni. Invece il Ministero ha pensato di lasciare il tutto sulle spalle di un povero, solitario maturando, per di più privo della possibilità di consultare qualsiasi testo o documento: questi non sono più cent’anni di storia, ma Cent’anni di solitudine, come avrebbe scritto il compianto Garcìa Marquez (uno degli autori, tra l’altro, più gettonati per il toto-tema…). Cent’anni da narrare in sei ore: in bocca al lupo, cari ragazzi; siate comprensivi, cari colleghi!

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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