Quanto influisce il genere sull’orientamento scolastico formativo?

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Riflessioni su evoluzione e limiti delle funzioni scolastiche e dei docenti in ottica di genere. Dal numero 26 de «La ricerca», “Il senso dell’orientamento”.
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Fino a qualche decennio fa l’orientamento scolastico aveva un’accezione e un raggio d’azione ridotti: nei momenti cruciali della vita di uno studente, ossia il passaggio verso e dalle scuole superiori, si limitava all’erogazione di elementi informativi (tipologie di scuole e percorsi universitari, offerta formativa, possibilità di inserimento professionale) o dei consigli “orientanti” dei professori. Consigli che spesso venivano dati sulla base della combinazione dei dati sui voti e della situazione socioeconomica della famiglia di origine dello studente.

Oggi la situazione sembrerebbe, almeno all’apparenza, profondamente mutata: la persona con i suoi desideri, bisogni, risorse e limiti ha acquisito centralità; non viene più considerata come un individuo neutro e indifferenziato, ma è esortata a ricercare la propria identità personale e a fare emergere la sua diversità.

La crescente importanza dell’orientamento formativo

Negli ultimi anni, quindi, l’orientamento formativo scolastico ha acquistato una rilevanza sempre maggiore tra le attività dedicate agli alunni e alla progettazione del loro futuro.

Per quanto riguarda il ruolo del corpo docente, nelle scuole da anni è presente la funzione strumentale dell’orientamento, che opera già a partire dalla primaria, ma che si è sempre limitata a favorire e organizzare gli incontri con i vari istituti superiori/università (che pubblicizzano la loro offerta formativa) piuttosto che orientare realmente le ragazze e i ragazzi sulla base di quella individualità cui si accennava prima: ciò che ricevono le e gli studenti sono quindi soltanto informazioni sulle attività presenti nell’istituto di volta in volta presentato, anche attraverso la spiegazione di eventuali competenze/abilità che andrà a sviluppare, e nei gradi più alti, anche a quali sbocchi lavorativi porterà.

Nei consigli di classe, invece, tutto è fondamentalmente rimasto come prima, anzi: nelle scuole superiori sembra esistere solo il consiglio orientativo, senza che rispetto al passato sia cambiato nulla nella modalità di relazione con l’alunno/a.

Normativa sull’orientamento formativo di genere e istituzione delle figure di orientamento nelle scuole

Nel dicembre 2022 è stato firmato dal ministro Valditara il decreto che approva le linee guida per l’orientamento1. Nel testo si fa riferimento a moduli curriculari di orientamento per gli studenti delle secondarie di I e II grado, con la creazione di un e-portfolio, a corsi di formazione per i/le docenti e all’istituzione della figura del docente tutor.

Si parla insomma di pratiche che, in sinergia con le famiglie, aiutino gli studenti a

valorizzare i loro talenti e le loro potenzialità; contrastare la dispersione scolastica; favorire l’accesso all’istruzione terziaria.

Incredibilmente, però, non si fa cenno all’orientamento formativo di genere, al perseguimento delle pari opportunità per tutti e tutte, anche al di là delle differenze socioeconomiche e culturali. L’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 sull’uguaglianza di genere, insomma, viene completamente ignorato.

La figura del docente orientatore2 dovrebbe poi guidare gli studenti nella costruzione del loro futuro nell’ambito degli studi e in campo professionale «affinché l’apprendimento diventi una modalità di scoperta e di valorizzazione dei propri talenti, passaggio necessario per scelte consapevoli in grado di costruire un solido progetto di vita», attivando un «percorso personalizzato e inclusivo, che nasca da una nuova alleanza tra scuola e famiglia».

Anche in questo caso, al di là della formazione dei docenti tutor, ancora non chiaramente definita perché di recentissima istituzione, si parla di “formazione” in maniera neutra, senza considerare che esiste una diseguale distribuzione delle risorse di ciascuno/a, sulla base delle caratteristiche ascritte alle persone, come se le differenze di vissuto (anche di genere) fossero del tutto ininfluenti nella percezione, nella scelta e nelle aspettative delle ragazze e dei ragazzi, dimenticando la lezione di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé.

Le iniziative per superare stereotipi e condizionamenti legati al genere in Italia però ci sono e ci sono state – già a partire dai primi tentativi, negli anni Settanta – sebbene distribuite in maniera non uniforme sul territorio italiano, perché più legate all’iniziativa degli enti locali che a un programma nazionale; in generale le regioni che hanno maggiormente attuato delle politiche di orientamento sono state quelle del centro-nord, ma con due limiti:

  • sono state finalizzate al superamento di certi stereotipi di genere e i condizionamenti che ne sono derivati, in riferimento quasi esclusivo alle donne, ma non considerando i condizionamenti e le pressioni sociali che pesano sui maschi, molto spesso vincolati ad un modello di maschilità che non permette scostamenti3;
  • si sono concentrate soprattutto sugli stereotipi di genere connessi alle donne affinché le studentesse scegliessero percorsi di studi indirizzati alle materie cosiddette S.T.E.M. ma poco hanno fatto rispetto alle scelte formative degli studenti maschi.

In qualche modo, nonostante le buone intenzioni, queste iniziative sembrano rispecchiare un modello in cui il maschile e le attività (anche lavorative) a esso connesse risultano preferibili e rappresentano quindi ciò a cui tendere, automaticamente rubricando come inferiori e poco desiderabili le attività storicamente associate al femminile, quali quelle di cura, che comprendono anche quelle legate all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e primaria.

Ruoli di genere, orientamento formativo, educazione di genere, stereotipi e pregiudizi 

Al di fuori della scuola, si impara a diventare uomini e donne attraverso l’educazione informale, che opera in apparenza di normalità/naturalità e categorizza maschi e femmine nei cosiddetti ruoli di genere: essi indirizzano l’identità maschile e femminile attraverso aspettative e desideri (sorti prima della nascita del neonato), immaginari propri e altrui, esperienze, scelte.

La scuola, luogo dell’educazione formale per eccellenza, può però fare la differenza tanto nel decostruire quanto nello strutturare e rafforzare tali ruoli di genere.

In riferimento alla differenza di genere, quella che ancora agisce nella permanenza di tali ruoli, rimanendo nell’ombra perché invisibile, è la presenza del cosiddetto curriculum nascosto, che porta poi a quel fenomeno che viene definito “segregazione formativa di genere”.

Il curriculum nascosto convive, infatti, con il curriculum esplicito (i programmi didattici, gli obiettivi, le finalità, i metodi e la valutazione, che sono indicati nel Piano dell’offerta formativa) e riguarda l’interiorizzazione, da parte degli individui-alunni, di atteggiamenti, valori, regole e pratiche trasmesse dall’organizzazione scolastica, spesso in linea con il contesto socioeducativo e la famiglia.

Ne è un esempio l’idea che le ragazze siano più portate per le materie umanistiche e i ragazzi per quelle scientifiche, o che i ragazzi siano naturalmente meno responsabili, anche nello studio, e le ragazze più studiose e che, quindi, risaltino per l’impegno e la volontà piuttosto che per inclinazione.

Queste idee sono supportate anche da un linguaggio falsamente neutro4 e dai testi scolastici (di tutti gli ordini di scuola) che in maniera costante rappresentano e perpetuano5 modelli di vita, atteggiamenti, luoghi considerati più adatti a uno o all’altro genere, e in cui le donne, intese come generatrici di cambiamento (nelle società, nella cultura, nella storia in genere), e i loro contributi nel campo dell’arte, della letteratura, della pedagogia e della scienza sono stati costantemente ridimensionati.

Esiste una stretta relazione tra il mondo e la sua rappresentazione attraverso le parole, che possono riconoscere o rendere invisibili (usando termini o desinenze non adatte) possibilità e futuri, e che perciò hanno conseguenze sulla vita delle persone.

Nello specifico, la lingua, lungi dal possedere una sua presunta neutralità, non è mera descrizione, ma creazione, trasformazione, deformazione della realtà – nonché spia della visione del mondo e della cultura di ciascuna società. Può, cioè, essere limitata dalla cultura o, se considerata immutabile, diventare essa stessa un limite, per esempio cristallizzando stereotipi.

I/le docenti, come tutti noi, spesso non sfuggono a pregiudizi e stereotipi, perché non ne sono consapevoli, ma li ritengono verità evidenti e “naturali”: se non riconoscono i condizionamenti cui il genere (femminile ma anche maschile) è sottoposto riproporranno modelli che loro stessi/e hanno inconsapevolmente seguito o subìto e continueranno a esserne condizionati/e, pur magari riconoscendone le conseguenze nella società. Quando viene loro chiesto se la parità di genere sia stata raggiunta, sono unanimi nel rispondere di no: è chiaro a tutti che in Italia permane un divario di genere, in termini di prestigio sociale, retribuzione, posizioni lavorative, tempo trascorso a svolgere lavori domestici e di cura – lo si può facilmente verificare grazie ai report presentati da diversi siti istituzionali6 – ma a volte ritengono ancora che gli uomini e le donne siano differenti per natura, giustificando in parte tale situazione; sebbene registrino un interesse sul gap gender, confermano poi un divario tra interesse per il tema e conoscenza del tema7.

È come se mancasse la comprensione del punto preciso in cui il meccanismo risolutivo – che va dalla comprensione del problema (parità di genere) a quello che riguarda una delle fondamentali soluzioni al problema (educazione di genere) passando per la causa (i ruoli di genere sclerotizzati presenti nella società) – si blocca, e questo impedisce un reale cambiamento all’interno della comunità scolastica.

I risultati sono visibili anche, e soprattutto, nelle scelte formative pre e post-diploma; nelle scuole secondarie di secondo grado, nel 2019

si conferma la vocazione femminile per gli studi liceali (60,5% dei nuovi iscritti) con picchi che riguardano la sezione Coreutica del Liceo musicale (90,6%) e le Scienze Umane (88,6%). Negli Istituti tecnici la situazione si ribalta e il 70% degli iscritti è di sesso maschile; quota che raggiunge l’83% per gli indirizzi del settore tecnologico. La preferenza dei maschi per le materie tecnico-scientifiche si evidenzia, inoltre, nel Liceo scientifico, dove la presenza femminile scende al di sotto della metà.8 

La tendenza si rafforza poi nelle scelte universitarie: è evidente che nel corso degli anni il trend di iscrizione delle donne nelle facoltà di tipo umanistico e che preparano ai lavori di cura si sia rafforzato, mentre rimane stabile quello nelle discipline S.T.E.M., nonostante le iniziative volte a modificare gli squilibri di genere.

È necessario, dunque abbattere gli ostacoli che impediscono al sapere educativo di leggere il funzionamento di prescrizioni (invisibili) che vincolano la libertà di scelta degli individui.

Il docente come divulgatore e decostruttore di stereotipi e modelli 

È chiaro come la scuola rivesta un ruolo strategico di primo piano nel lavoro di decostruzione degli stereotipi e di educazione verso il rispetto di ogni forma di differenza (non solo di genere), perché insegna che la differenza, in tutte le sue accezioni, non ha gerarchie, è un arricchimento e non rappresenta un ostacolo alla crescita e all’apertura verso l’altro.

Le opinioni delle/degli insegnanti, l’eventuale reiterazione di luoghi comuni e pregiudizi, l’utilizzo di sussidi (libri di testo in primis) discriminanti o critici risultano elementi decisivi nelle relazioni con alunni e alunne, ne legittimano l’accesso ai saperi e di conseguenza alle professioni, con tutto ciò che questo implica in termini di possibilità di autodeterminazione, libertà di scelta e di carriera9.

Se ci addentriamo all’interno della relazione tra docenti curriculari e studenti, affinché si possa adempiere a questa funzione fondamentale è importante che gli insegnanti (tralasciando qui le figure istituzionalizzate per l’orientamento) siano consapevoli, competenti, riflessivi.

Consapevoli che l’educazione al genere10 è condizione necessaria per impedire la reiterazione di disparità, squilibrio e violenza di genere, e che dovrebbe essere impartita dalla più tenera età (scuola dell’infanzia) poiché proprio durante quest’epoca di sviluppo si formano e si consolidano le nozioni sul genere.

Competenti perché ciò che spesso manca più della consapevolezza è una formazione specifica che permetta di acquisire le necessarie competenze sul tema delle differenze; ne deriva la necessità di prevedere percorsi formativi per docenti e educatori di ogni ordine e grado scolastico, affinché possano essere preparate e preparati a gestire la crescente complessità e a educare le giovani generazioni al riconoscimento della parità tra i generi11.

Riflessivi perché rielaborando in pensiero la propria esperienza biografica (i vissuti e il sé, che diversamente rimarrebbero impensati) – ricercando un contatto con sé stessi e prendendo atto di ciò che si vive, possono farsene carico e diventare responsabili dell’accrescimento del loro e altrui sapere.

Perché non ci sono più i maestri 

Secondo le recenti statistiche12 gli uomini insegnanti, già in netta minoranza, sono diminuiti ulteriormente nel corso degli ultimi anni, rappresentando nelle scuole dell’infanzia e primaria rispettivamente l’1% e poco più del 3%.

Le motivazioni risiedono nella bassa retribuzione e nell’(ulteriormente) ridottosi prestigio sociale, ma non solo: anche in questo caso pregiudizi, valori eteronormativi e stereotipi (i maschi non sarebbero “bravi” come le donne nei lavori di cura, a cui l’insegnamento nei segmenti educativi che riguardano i primi anni di vita è equiparato) influiscono sulla scelta di non intraprendere questo tipo di studi e percorsi professionali. Agisce qui ancora il mito dell’autonomia e della realizzazione maschile, che implica che gli uomini siano più attenti alla cura del sé che dell’altro.

Eppure, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, il “Comitato pari opportunità” operante presso il Ministero della Pubblica Istruzione elaborava un progetto di «Educazione alla cura» i cui fini erano relativi a un mutamento delle relazioni fra i generi e alla trasformazione dei rapporti tra pari a scuola. Tale progetto ebbe, però, una diffusione modesta e scomparve, forse perché i tempi non erano ancora maturi, e forse non lo sarebbero neppure oggi, in un’epoca in cui la società moderna svilisce il valore della cura, considerata da destinarsi a donne improduttive e prive di prestigio sociale, nonostante essa sia fulcro della società.

Si crea, inoltre, un sistema per cui non avendo modelli maschili di riferimento nel corpo docente maschile, non si instaura nei ragazzi la consapevolezza delle loro capacità/possibilità di prendersi cura degli altri13. Questo dato è confermato anche dalla ricerca condotta da Biemmi e Leonelli (2017) in cui ragazzi che hanno scelto carriere non conformi al proprio genere, ritengono che a spingerli verso questa direzione siano stati modelli maschili incontrati nei vari contesti di educazione formale e informale (maestri, educatori, capi scout ecc.).

Quali soluzioni per i docenti?

Per uscire dal determinismo di genere che ancora influenza le scelte formative, le e i docenti dovrebbero però innanzitutto recuperare ottimismo e fiducia nel loro ruolo sociale di promozione delle pari opportunità, e successivamente avviare un’analisi – nel proprio foro interiore – dei valori, degli atteggiamenti, degli stereotipi rispetto all’identità di genere di cui si possono essere portatrici e portatori inconsapevoli14.

È necessario che le e i docenti acquisiscano le competenze per orientare, anche ripercorrendo la propria biografia, rielaborando i propri vissuti, condividendoli con gli altri e le altre e «aprendosi allo scambio con il diverso affinché ognuno sia testimone del proprio percorso e dei saperi che rappresentano il proprio patrimonio personale»15; si può insegnare e imparare a scegliere con consapevolezza rivelando i pregiudizi che ognuno ha interiorizzato nonché attraverso l’autonarrazione, esplicitando il proprio percorso di formazione e condividendo quegli aspetti della propria biografia che sono stati significativi sotto il profilo del genere, come per esempio le letture, gli incontri, i problemi, i successi ecc.

La cultura tradizionale ha radici difficili da estirpare, e vincola a scelte che spesso non sono libere pur sembrando tali, perché l’identità di ognuno si è formata all’ombra di stereotipi, pregiudizi e aspettative che si ritrovano in tutti i luoghi della vita quotidiana (il curriculo nascosto) e che si impongono su entrambi i sessi.

D’altro canto, per le alunne e gli alunni, l’essere consapevoli che appartenere a un genere può segnare destini differenti permette di entrare in relazione con chi ci ha preceduto, di comprendere che si può avviare un proprio progetto di vita e che i destini assegnati possono trasformarsi, di avviare percorsi di individuazione (o percorsi di sviluppo personale) per costruire il proprio futuro; l’appartenenza al genere diventa così base conoscitiva iniziale per scegliere percorsi di individuazione (o percorsi di sviluppo personale) che partano dal prendersi cura di sé, perché i cambiamenti individuali esistono in relazione al mutare collettivo di culture e ruoli di genere.


NOTE

  1. Si veda sul sito del ministero: https://www.miur.gov.it/-/pnrr-il-ministro-valditara-ha-firmato-le-linee-guida-per-l-orientamento-scolastico.
  2. Si veda l’Allegato B della nota 2790 dell’11 ottobre 2023.
  3. Per un approfondimento sul tema si rimanda a S. Ciccone, nello specifico: S. Ciccone, Essere maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino 2009.
  4. Su questo tema sono di fondamentale importanza i testi di Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano 1973; di A. Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana (1986) e Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) – Presidenza del Consiglio dei ministri; di L. Irigay, Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991.
  5. Riguardo a questo tema cfr. I. Biemmi, Educazione sessista: Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, Torino 2017 (disponibile all’indirizzo: https://books.openedition.org/res/4626), e Progetto Polite: https://www.aie.it/Portals/38/Allegati/CodicePolite.pdf.
  6. Tra gli altri: https://eige.europa.eu, www.weforum.org, www.oecd.org.
  7. I. Biemmi, B. Mapelli Pedagogia di genere. Educare ed educarsi a vivere in un mondo sessuato, Mondadori, Milano 2023.
  8. Si veda https://www.miur.gov.it/-/scuola-pubblicati-i-dati-definitivi-sulle-iscrizioni-al-nuovo-anno-scolastico.
  9. E. Musi, A scuola di pari opportunità. il sistema scolastico: un circuito decisivo –ma trascurato– per educare al rispetto dell’identità e della differenza di genere, in «Raudem – Revista de Estudios de las Mujeres», Vol. 3, 2015.
  10. Cfr. C Gamberi, M. G. Maio, G. Selmi, Educare al genere, Carocci, Roma, 2010; le autrici propongono una distinzione tra educazione di genere – nel senso di assunzione di un’ottica sessuata e adozione di una metodologia basata sul riconoscimento della differenza sessuale – ed educazione al genere – nel senso di decostruzione degli stereotipi e di elaborazione del vissuto personale in relazione a quello collettivo.
  11. V. Guerrini, L’educazione alla parità di genere nella formazione dei docenti. L’esperienza del Progetto europeo “Generi alla pari a scuola”, in «Annali online della Didattica e della Formazione Docente», Vol. 14, n. 23/2022, pp. 113-127.
  12. Fonte: MIUR, si veda: https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/catalogo/elements1/leaf/?area=Personale%20Scuola&datasetId=DS0600DOCTIT.
  13. A onor del vero, da qualche anno anche gli uomini si riconoscono delle qualità di cura, soprattutto nei campi di paternità.
  14. M. S. Sapegno, La differenza insegna. La didattica delle discipline in una prospettiva di genere, Carocci, Roma 2014.
  15. Si veda Saperi irrinunciabili, in M. Zambrano, El sueño creador, Turner, Madrid 1986.
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Giovanna Di Stefano

è docente di scuola secondaria a Palermo, si è occupata di contrasto alla dispersione scolastica alla discriminazione; attualmente sta svolgendo un dottorato sull’orientamento formativo di genere presso l’Università “Kore” di Enna.

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