Ormai è accertato che l’avvicinamento alla lettura può partire dai primi anni di vita, quindi in età prescolare, quando non è possibile, da parte delle bambine e dei bambini la lettura vera e propria, ma è possibile esporre le stesse e gli stessi all’ascolto di storie veicolate dalla voce di chi si prende cura di loro. Se si accetta l’assunto, molto diffuso, per cui la lettura è un’esperienza molto intima, che coinvolge mente e cuore nella scoperta di sé e del mondo, è chiaro che le narrazioni, le storie, sono uno strumento molto potente per crescere lettori e lettrici.
La scuola che vuole veramente essere di tutti e di tutte deve occuparsi di non demotivare chi ha già, in qualche modo, creato un suo rapporto con la lettura e quello vuole coltivare e, allo stesso tempo, di attivare l’interesse di chi ancora non ha sperimentato la lettura come piacere e come arricchimento. Se poi ci aggiungiamo che è comune, tra i docenti di italiano delle scuole secondarie, una certa ostinazione a ritenere che sia importante, per la maturazione intellettuale di un individuo, per lo sviluppo del pensiero, del senso critico, l’incontro con mostri sacri della letteratura mondiale di tutti i tempi (Dante ma anche Tolstoj, Ariosto ma anche Dickinson, Morante e moltissimi altri nomi), i cosiddetti “classici”, specialmente per chi di quegli autori e autrici non ha nemmeno un testo a casa, è chiaro che la sfida è di quelle che fan tremare le vene e i polsi.
Senza contare che, anche chi può accedere a una ricca e varia libreria di famiglia, non è detto che abbia avuto modo di ricevere una efficace educazione alla lettura, prima di arrivare allo studio dei classici a scuola. Senza contare che ogni ragazza o ragazzo ha tutto il diritto di sfuggire il più liberamente possibile agli stereotipi che spesso banalmente gli adulti “forti lettori” attribuiscono loro. Gli stereotipi etichettano e nel fare questo si rivelano uno strumento deleterio, perché finiscono per frenare invece di stimolare un interesse autentico e sentito (come quello che deve derivare da una didattica significativa), avviliscono e appiattiscono ogni slancio, anche il più forte.
È evidente che la scuola offre un ampio campo di azione, una formidabile e unica occasione “pratica”, che non deve essere sprecata, di sperimentare diversi piani di incontro tra le alunne e gli alunni, già lettori o da formare, e i libri, classici e non.
Forse prima di proporre qualsiasi lettura, perfino dei classici, dobbiamo scegliere e tenere a mente il senso profondo della lettura che più sentiamo nostro, da adulti, più come lettori che come inseganti. La credibilità e la capacità di argomentare (molto più di quel se-durre che retoricamente qualche studioso della psiche umana talvolta usa per intendere tout-court il mestiere dell’insegnante) sono ingredienti indispensabili della relazione dell’insegnante con i propri alunni e alunne, perché pongono basi solide per la buona riuscita del lavoro didattico. Non si impara con chi non convince, con chi suona falso o incerto. E allora, tornando alla letteratura, l’insegnante forte lettore (assumendo che sia tale) deve uscire dalla zona di comfort data dal suo ruolo e condividere la sua esperienza, senza temere, per esempio, di essere giudicato se confessa di aver abbandonato – secondo uno dei diritti, tra l’altro, riconosciuti da Pennac – un libro che non è risultato gradito. Questo spiazza gli alunni e le alunne, che mediamente ritengono che i professori, per definizione e per mestiere, debbano aver ingurgitato, negli anni, tomi su tomi, senza battere ciglio. Allora, abbattuto uno stereotipo anche sui docenti, elaborato dagli alunni questa volta, si può cominciare a intraprendere un cammino insieme, in una strada in piano.
In questa strada in piano innanzi tutto il classico deve essere tolto dalla polvere, deve essere verificato per quella caratteristica essenziale e cruciale, solo apparentemente banale che Calvino aveva individuato: «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire» (da Italiani, vi esorto ai classici, «L’Espresso», 28 giugno 1981).
I metodi che si possono mettere in atto per proporre l’incontro tra alunni/e e autore, tra alunni/e e testo possono andare dai laboratori con la lettura ad alta voce dell’insegnante al WRW; per tutti, lo scopo finale deve essere quello di far crescere un lettore che via via diventi autonomo, e sempre più consapevole di come leggere sia non solo uno strumento di conoscenza ma anche di scoperta.
È chiaro che perché un libro “comunichi” col suo lettore e lo interpelli come co-autore deve esserci un primo incontro ben riuscito. La lettura deve essere vissuta come divertimento, come gioco, in un approccio leggero che può sfociare nella riscrittura “creativa” di fiabe tradizionali o racconti moderni, o secondo altre libere invenzioni di rodariana memoria (cfr. Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1973). L’uso di albi illustrati può servire ad avviare la relazione libro-ragazzo/a, storia-ragazzo/a, può fornire suggestioni, favorire un confronto socializzante nella classe, ma poi il resto si gioca sul riconoscimento. È evidente che in quel repertorio sterminato rappresentato dai libri, classici e non, ogni lettore può trovare non solo un personaggio in cui riconoscersi e che quindi, in un particolare momento della sua vita lo aiuti, per esempio, a sentirsi compreso per qualcosa di cui sta soffrendo, ma idee, concetti, parole che lo aiutino a costruire una sua personalissima concezione del mondo e del senso della vita.
Quando il riconoscimento avviene è evidente dagli sguardi delle ragazze e dei ragazzi, che si accendono. Alle volte i/le docenti hanno assi nella manica e non sanno di averli, per esempio non hanno sperimentato l’effetto che alcune storie, alcuni autori, alcuni libri producono sulle e sugli adolescenti. Nell’ultima classe della secondaria di primo grado, Pirandello e Svevo producono spesso una reazione fortissima. Stupiscono il richiamo alla psicanalisi, il monologo interiore e l’attualità della tematica dell’identità, la riflessione sui volti e le maschere, sui molti volti e maschere. In un confronto collettivo dopo la lettura di un brano tratto da Uno, nessuno e centomila, è stato evidente a tutti, alunni e alunne, quest’anno, in una mia classe, in cosa consista la “classicità” di quell’opera, nell’accezione calviniana a cui accennavo prima. Il dibattito si è fatto subito acceso, e credo abbia rassicurato constatare, attraverso il punto di vista di un personaggio-adulto, che stringenti domande esistenziali, tipiche dell’adolescenza, sono in realtà comuni in diverse fasi della vita, e non hanno tempo.
Un’alunna è scoppiata a piangere, con un pianto liberatorio, quando si è resa conto che il disagio di Vitangelo Moscarda, per essere considerato dagli altri diversamente da come si vede lui, era anche il suo, ricavato da un episodio spiacevole della sua vita. Questa “condivisione d’eccezione” non era certo quello che aveva previsto la mia alunna prima della scoperta di questa storia, ma è capitata in un momento in cui, quel classico le ha parlato e l’ha aiutata a capire meglio qualcosa di sé. E ancora, dal libero commento di un’altra alunna: «Pirandello è un autore che io amo… anche io come Moscarda vorrei sapere come mi vedono le altre persone, anche se è impossibile, cioè ognuna mi vede un modo diverso…».
È chiaro che esempi del genere dimostrano, in pratica, a cosa possa servire la letteratura per i ragazzi e le ragazze e come la scuola riesca, a volte, a creare occasioni emozionanti e uniche per ampliare, oltre al bagaglio culturale, anche quello esperienziale.
Altre volte si vengono a creare fortunate connessioni tra lettura e scrittura, dove i due ambiti finiscono per confondersi, dove il classico viene letto, discusso, ma anche, senza alcun timore reverenziale, “usato” per immaginare e scrivere nuove storie. Un’attività del genere è stata possibile in un’altra mia classe, una seconda della secondaria di primo grado, incontrando Calvino, un altro classico, moderno ma indubitabilmente un classico.
Divisi in tre gruppi di lettura, che si sono formati in base alla libera scelta tra Il barone rampante, Il cavaliere inesistente e Il visconte dimezzato, i ragazzi e le ragazze si sono confrontati in un booktalk, principalmente sulla trama e sui personaggi dei tre romanzi. In questo modo ogni gruppo ha potuto conoscere, con questo scambio, le opere lette dagli altri gruppi. Poi si sono messe meglio a fuoco, per brevi appunti, scritti, le caratteristiche dei protagonisti. Dalle analogie rilevate tra queste analisi, è stato subito chiaro quanto fosse stata colta la relazione tra queste tre storie e il concetto di libertà pensato da Calvino, cioè quei «tre gradi di approccio alla libertà», come li chiama lui.
Nel frattempo lo stile fantastico e visionario di Calvino aveva agito stupendo e coinvolgendo, soprattutto chi non aveva ancora letto nulla di questo autore. Si sono commentate liberamente le “anomalie” del barone, del cavaliere e del visconte, pretesti perfetti per attivare un dialogo sull’identità, si sono trovati legami con le fiabe ma allo stesso tempo ammirata la determinazione con cui, ciascuno dei personaggi, nonostante tutto, segua la propria natura. Constatata la buona partecipazione al lavoro comune, il passaggio successivo è consistito nel sollecitare la classe verso una scrittura collettiva a partire dall’ipotesi: cosa potrebbe accadere se il visconte, il barone e il cavaliere si incontrassero? Le proposte sono state subito numerose e hanno rispecchiato le personalità molto esuberanti e vivaci di molti alunni e alunne della classe. Dialoghi, trovate spiritose e divertenti, perfino metatestuali, inserimento di nuovi personaggi, colpi di scena, hanno naturalmente orientato la scrittura verso la forma del testo teatrale. Il copione ha preso forma col titolo La libertà, il cavaliere, il visconte e il barone (per tacer di Gurdurù), insieme all’idea di chiudere la performance teatrale che ne sarebbe scaturita, con una canzone dal ritmo rap, scritta e cantata da tutta la classe, grazie alla consulenza della docente di musica.
Così, nel corso del secondo quadrimestre, diverse ore sono state dedicate a questo laboratorio. Si sono associati più interpreti allo stesso personaggio, in modo da far recitare il maggior numero di alunni e alunne. È stato facile sdoppiare il ruolo del visconte dimezzato tra un alunno e un’alunna, in questo non facendo altro che assecondare quella dualità che è insita nell’invenzione calviniana. Quindi all’alternanza personaggio buono/cattivo si è aggiunta quella di genere. Il cavaliere inesistente è stato affidato a un attore e a 2 attrici, e poi si è aggiunto Calvino, l’autore, chiamato a risolvere un dilemma esistenziale del barone e stratagemma narrativo.
L’assegnazione delle parti agli interpreti e la preparazione della messa in scena si sono rivelate molto preziose dal punto di vista educativo, perché hanno richiesto agli alunni e alle alunne un’autovalutazione delle proprie inclinazioni e dei propri talenti, la capacità di mediare e di collaborare con i compagni e le compagne (in realtà già iniziata con la scrittura collettiva) e di usare strategie per il problem solving.
È seguito quindi il periodo delle prove, in cui si sono aggiunti i ruoli tecnici, preferiti dai meno estroversi (regista, aiutoregista, trovarobe, suggeritrice, eventuali sostituti degli assenti ecc.) ma dove, anche, si è messa in atto una regia che è stata non di uno solo, ma di tutti, spontaneamente, perché passando dal copione alla messa in scena, gli alunni e le alunne, ormai del tutto coinvolti, hanno proposto, dalle prime prove, soluzioni per rimediare ai tempi morti, movimenti per rendere più chiare le intenzioni degli attori, oggetti per dare più sostanza alla storia.
La performance andrà in scena per la prima volta, a ottobre. La classe avrà l’onore di partecipare al festival di letteratura per ragazzi e ragazze Matota di Torino (dal 5 all’8 ottobre), recitando per altre classi delle scuole secondarie di primo grado della città e insieme celebrando l’anniversario della nascita di Calvino. Grazie a una buona alleanza tra soggetti diversi che investono nel protagonismo dei ragazzi e delle ragazze e credono nell’importanza di creare comunità e scambi tra scuola e territorio, il lungo lavoro corale della classe avrà lo sbocco più naturale e più adeguato. In questo modo, inoltre, saranno valorizzati l’impegno, l’inventiva e la capacità di mettersi in gioco dei ragazzi e delle ragazze coinvolti nel progetto.