«Per me orientamento significa trovarsi» ha detto Alice, 13 anni, durante una discussione sull’orientamento che abbiamo fatto in classe, una terza della secondaria di primo grado. Mi è sembrata una definizione molto bella perché propone un’idea di orientamento come un percorso che non conduce altrove, ma presuppone (anche) un movimento di avvicinamento a sé stessi.
A pensarci bene, come scrive Franco Lorenzoni, “trovarsi” dovrebbe essere l’obiettivo principale di ogni insegnamento scolastico: «al centro di ogni azione educativa non può che esserci […] un continuo dialogo e scambio tra i ragazzi e le generazioni, alimentato da un necessario corpo a corpo con gli oggetti culturali, nei quali rispecchiarci per conoscere meglio il mondo, noi stessi e gli altri»1.
Ci proviamo spesso, noi insegnanti, a rendere i percorsi di apprendimento un’occasione per conoscersi: a volte ci riesce meglio, altre un po’ meno a seconda dei gruppi classe, dei contesti, di noi stessi e di altre variabili.
Le parole di Alice mi hanno, però, riportato a un’attività che da qualche anno propongo alle mie classi, ovvero un percorso di scrittura autobiografica che, in effetti, ha molto a che fare con il “trovarsi”. Si tratta di una pratica didattica piuttosto diffusa in forme differenti. Ho iniziato a proporla in modo strutturato ai miei alunni e alle mie alunne da quando, nel 2018, ho partecipato per la prima volta a un laboratorio di scrittura autobiografica tenuto dal gruppo guidato da Gabriella De Angelis presso il Circolo LUA Clara Sereni di Roma2.
Quando, come in quel caso, mi capita di partecipare a un percorso laboratoriale che trovo particolarmente coinvolgente e generativo, lo propongo sempre alle mie classi, magari mediato o trasformato perché sia adatto a loro: cerco, cioè, di non ripetere in modo pedissequo uno schema svolto, ma prendo le mosse dalla mia esperienza per immaginarmi un’attività diversa cercando di mantenere le caratteristiche di fondo di quella originale.
Ho pensato che il tipo di scrittura autobiografica sperimentata dal gruppo dietro la guida di Gabriella De Angelis avrebbe potuto rappresentare per i miei alunni e le mie alunne un’occasione per utilizzare la narrazione scritta come strumento di riconoscimento di sé e di elaborazione della propria storia.
Di solito propongo questo percorso al secondo anno perché, a mio avviso, è adatto a chi ha già, in parte, praticato la narrazione, orale e scritta, come strumento espressivo nei testi di fantasia, come i racconti fantastici oppure i racconti mitologici o le fiabe che spesso caratterizzano l’attività didattica del primo anno della secondaria di primo grado.
Inoltre in seconda gli alunni e le alunne attraversano un passaggio di crescita molto importante: arriva la pubertà, inizia la trasformazione del corpo e dei rapporti; in questo periodo i ragazzi e le ragazze possono disorientarsi e, a volte, fanno fatica a riconoscersi. Per questo motivo utilizzare la scrittura come strumento di rielaborazione della propria storia può essere un modo per renderli consapevoli e protagonisti di questo cambiamento, può essere, cioè, uno strumento per orientarli in un presente che cambia.
Non si può, però, iniziare subito a raccontarsi, è invece importante procedere con gradualità; serve, per citare di nuovo Franco Lorenzoni, dissodare un terreno che spesso si presenta molto compatto3, smuoverlo per renderlo fertile di immagini e racconti.
In genere si inizia con una sorta di allenamento della memoria: si scrivono i nomi di oggetti comuni su dei bigliettini e poi ognuno ne pesca uno a cui, poi, dovrà pensare per costruirci intorno il racconto di un ricordo. La prima attività a volte può risultare un po’ ostica, perché generalmente non siamo abituati a ricordare: l’attività di recupero della memoria è un’abitudine che si costruisce con calma, passo dopo passo.
In questo percorso la condivisione rappresenta un momento importante che ha un effetto molto forte: quando i racconti vengono letti a voce alta, spesso in cerchio, capita sovente che l’ascolto delle storie degli altri faccia emergere altre memorie che erano sommerse; memorie legate agli oggetti raccontati, oppure ad altri oggetti, e queste memorie, a loro volta, vengono reimmesse nel gruppo. Inizia, quindi, la partecipazione di tutta la classe al meccanismo dell’affioramento della memoria. È molto importante che questo primo momento avvenga in modo collettivo, e lo è per molti motivi. Innanzitutto perché, come scrive bell hooks, «Raccontare storie, soprattutto quelle personali, è uno dei modi più potenti che esistono per educare e creare comunità in classe […] Prestare attenzione alle reciproche esperienze personali favorisce un clima di cooperazione e di ascolto profondo»4. L’ascolto, quando è attivo e profondo, è generatore di memorie e di racconti.
Inoltre la condivisione con i pari permette di riconoscere la propria storia insieme a quella degli altri, di sceglierne e individuarne le differenze, ma anche coglierne le affinità e non sentirsi soli. Gli altri non sono nemici o giudici con cui misurarsi, ma diventano una risorsa per riconoscersi.
In questa prima fase si comincia a comprendere quanto la scrittura e l’atto della narrazione siano strumenti fondamentali per la costruzione di un bagaglio di memoria che senza essere detta e scritta non esisterebbe.
Cerchiamo, poi, di arricchire questo bagaglio sperimentando attività differenti, come l’uso dei sensi come sentinelle della memoria oppure la stesura di liste: la lista delle prime volte, dei giochi preferiti o dei luoghi più amati.
Le attività sono molte e varie ,e cambiano a seconda del gruppo classe; non manca mai però l’uso di linguaggi diversi come le fotografie, che sono molto utili per lavorare sui punti di vista e sull’osservazione dei dettagli, e che diventano poi una sorta di allenamento dello sguardo.
Ogni passo del nostro percorso, poi, prevede la lettura di brani di letteratura del repertorio classico oppure del repertorio young adult relativi all’argomento affrontato. Normalmente cerco di non porre la lettura dei brani all’inizio dell’attività, ma preferisco farlo durante lo svolgimento del lavoro, in modo da non proporre il testo come un modello da imitare davanti alla pagina bianca, ma come un esempio a cui ispirarsi in fase di revisione o stesura del testo. Oltre al brano letterario che per antonomasia ci parla di memoria – quello della madeleine di Proust –, ne leggiamo altri, come l’inizio dell’Isola di Arturo di Morante, in particolare il passaggio sul significato del nome, o alcune poesie, come quelle tratte dal libro Bambina nera sogna di Woodson o, ancora, estratti da autobiografie di personaggi noti, come quella di Charlie Chaplin o di Roald Dahl.
In questo caso la letteratura viene “usata”5 come strumento per favorire la conoscenza di sé stessi e, quindi, favorire la crescita personale. Questa fase del recupero dei ricordi è un momento importante per i ragazzi e le ragazze, perché permette loro di sperimentare in prima persona il potere della narrazione e della scrittura. Si scoprono, infatti, ricche e ricchi di esperienze, molte delle quali erano ignorate fino al momento in cui non sono state nominate e raccontate. Una volta raccontate, le esperienze vanno a comporre un immaginario in cui riconoscersi, per iniziare quel percorso di ritrovamento di cui parlava Alice.
Arriva, infine, il momento in cui i ragazzi e le ragazze diventano veri e propri autori delle loro storie, quando, cioè, cominciano a scegliere i contenuti da organizzare per raccontare.
L’operazione più difficile per tutti, più grandi e più piccoli, è sempre la selezione del materiale e il taglio da dare a questa selezione, il criterio di scelta. È proprio lì che lo sguardo di ognuno agisce sulla capacità di scegliere la linea narrativa della propria vita.
Inevitabile il riferimento agli studi di Federico Batini sull’orientamento narrativo:
Nei processi di orientamento è come se si chiedesse a ciascun soggetto di diventare “autore” della propria vita e si ritenesse dunque che per “ricordarla”, per “scriverla”, per crearla […] siano necessarie alcune competenze che possiamo denominare narrative, competenze attraverso le quali le storie sono comprese, interpretate, completate.6
Per quanto l’intero percorso di scrittura autobiografica rappresenti un’attività utile ai fini dell’orientamento formativo, è proprio nel momento della rielaborazione della narrazione della propria vita che, come scrive Batini, ci si fa “autori” della propria storia, in questo caso proprio in modo letterale. Questo significa costringersi a distinguere i propri punti di forza dagli aspetti più fragili, riconoscere i contesti che ci hanno reso più contenti di noi stessi cominciando a sviluppare quella consapevolezza che è un elemento fondamentale per pensarsi nel futuro.
La progettazione dell’autobiografia è preceduta da una scrittura particolarmente importante: il racconto della propria nascita. Quando la propongo si crea sempre un certo scompiglio: «Io non mi ricordo come sono nata…», «I miei genitori non mi hanno mai raccontato niente».
Ci confrontiamo insieme e cerchiamo di capire che si tratta di raccontare un’immagine che ci portiamo dentro senza che sia un ricordo diretto dell’esperienza vissuta, ma che rappresenta il risultato di tante narrazioni differenti che ci sono state fatte da altri e che poi noi, in modo più o meno consapevole, abbiamo rielaborato. È un esercizio molto importante, perché aiuta a realizzare che per raccontare una vita, la propria nello specifico, immaginare è fondamentale. «Per conoscersi bisogna potersi immaginare», dice Gianni Rodari7.
È su questa base che si comincia, poi, a organizzare il materiale raccolto nelle fasi precedenti, sapendo che nel ripensare e riproporre i ricordi e i momenti della propria vita alcune libere rielaborazioni personali riescono a rappresentare la verità interna delle cose più di descrizioni fedeli. L’obiettivo, quindi, diventa non tanto la cronaca dei fatti, ma la rappresentazione di quella che in quel momento corrisponde all’immagine del proprio vissuto che ognuno si è rielaborato. Immaginare sé stessi diventa una chiave importante per pensarsi nel futuro.
La narrazione della propria vita ha caratteristiche particolari: per esempio si amplifica quell’azione di congiuntivizzazione della realtà che Bruner8 diceva essere una caratteristica della narrazione e che consiste nel potere di farci entrare nel mondo delle possibilità. Quando, infatti, il racconto ha come oggetto la propria esistenza, le possibilità immaginate riguardano sé stessi e le proprie possibilità proiettate nel futuro.
Riuscire a raccontare la propria storia è senz’altro trovarsi, o, almeno è uno dei tanti ritrovamenti che capita di fare nel corso della propria esistenza; forse non è la prima volta che accade ai miei alunni e alle mie alunne, ma quello che è importante è pensare che non ci sarà mai un trovarsi definitivo, ma una continua ricerca, come ha scritto Maddalena nella storia della sua nascita: «Questa è la prima volta che sono nata, spero di nascere tante altre volte».
Note
- F. Lorenzoni, Dentro le mura, in E adesso? L’Italia del post- Emergenza, «Rivista il Mulino» 3/2000, p. 476.
- LUA è la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino.
- Si tratta di una delle suggestioni che Franco Lorenzoni, insieme a Roberta Passoni, Lucio Mattioli e Oreste Brondo, danno durante i corsi di narrazione orale “Le sorgenti del narrare” che si tengono annualmente a Casa laboratorio Cenci.
- b. hooks, Insegnare il pensiero critico, trad. it. Feminoska, Meltemi, Roma 2022, p. 83.
- Per il concetto di “uso” della letteratura si veda S. Giusti, Didattica della letteratura italiana, Carocci, Roma, 2023, pp. 167-168 e S. Giusti, N. Tonelli, Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento,
QdR / Didattica e letteratura n. 12, Loescher, Torino 2021. - F. Batini, Costruire futuro a scuola. Cos’è, come, perché fare orientamento nel sistema di istruzione, I Quaderni della Ricerca n. 24, p. 25.
- G. Rodari, in V. Roghi Un libro d’oro e d’argento, Sellerio, Palermo 2024, p. 57.
- Cfr. J. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, trad. it. di M. Carpitella, Laterza, Bari 2002.