Pasolini a tre dimensioni

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Una consonante dell’alfabeto, la P, ripetuta per ben tre volte e dalla doppia valenza allusiva: rivelare il nome dell’autore e assieme le sue caratteristiche essenziali, riverberate sia nella sua figura che nella sua opera. Questo il titolo dell’agile libro divulgativo di Lavinia Spalanca, “Pier Paolo Pasolini. Polemico Passionale Proteiforme”, (Navarra Editore, Palermo, 2019, pp. 100, euro 10) che inaugura brillantemente la collana “Polemos” da lei stessa diretta per la preziosa casa editrice di Ottavio Navarra.

Un breve volume che ripercorre in filigrana, secondo un tracciato cronologico chiaro, la bio-bibliografia pasoliniana, il suo itinerario intellettuale e letterario, filtrandolo attraverso queste tre particolari coordinate interpretative (la polemica caratteriale, la passione politica e la plurima facies stilistico-espressiva), le quali restituiscono in ogni caso un unico profilo dell’autore d’origini friulane; sebbene all’insegna della poliedricità.

Ne risulta una consultazione abbastanza chiara, un invito alla lettura facile, ma non neutro. Soprattutto per un pubblico giovanile, magari studentesco o universitario, vero destinatario del testo. In effetti pare proprio rivolgersi a loro l’autrice quando, sin dall’Introduzione, scrive che oggi, in un mondo sempre più attraversato dalla quotidiana mistificazione prodotta in rete dalle fake news, la lettura di Pasolini «acquista un particolare valore educativo» (p.7).

La riflessione pasoliniana si incentra infatti, con lucida consapevolezza, su una costante disobbedienza non violenta (ma neanche troppo sbiadita dal punto di vista ideologico) contro il duraturo sistema delle omologazioni, attraverso la quale smontare, per esempio, le trappole obnubilanti del potere politico e quelle, molto più invasive, benché invisibili, del modello economico capitalistico. Domina in Pasolini un ribellismo vivo contro la cultura dominante, che si traduce con una immersione totale da parte dello scrittore nelle masse sottoproletarie e popolari (oggi diremmo periferiche e sub-urbane), proprio per provare a scardinare dall’interno le facili raffigurazioni paternalistiche, laddove non populistiche, con le quali si è soliti rappresentare questi soggetti da parte dei media. Una lettura a tratti politica del reale, che non trascura tuttavia l’indagine conoscitiva. Spalanca rileva questi elementi attraverso le puntuali analisi dei testi compiute nella seconda parte del libro.

Un altro elemento peculiare messo in rilievo dalla studiosa è la straordinaria transmedialità pasoliniana: ossia la capacità dell’autore di passare con estrema disinvoltura da un genere di scrittura all’altro (lirica, romanzo, saggio); se non, addirittura, da un codice all’altro (cinema, teatro, televisione); sempre però tenendo salde due questioni di fondo: il linguaggio e il popolo. Si parte quindi da un percorso che intreccia assieme vita e letteratura, esperienza autobiografica e formazione politica.

Dalla città natale di Bologna, al difficile rapporto col padre fascista, fino all’esordio poetico con Poesie a Casarsa(1942), transitando per l’avvicinamento e poi l’allontanamento dal Pci. Per non dire poi del fecondo apprendistato critico-militante elaborato nel periodo della rivista «Officina», fondata assieme a Leonetti e Roversi.
Proprio in quegli anni maturava progressivamente nell’uomo Pasolini – prima ancora che nello scrittore o intellettuale pubblico – il bisogno di coniugare ricerca e spirito contestativo, indagine accurata sul sociale e denuncia fuori dal coro. Cartine di tornasole di questi passaggi erano da un lato gli studi sul rapporto lingua-dialetto; dall’altro ricognizioni capillari sul panorama poetico-narrativo italiano. Numi tutelari di tali biforcazioni sono Contini e Gramsci.
Un importante binomio, questo tra filologia e ideologia, grazie al quale vedranno la luce i romanzi degli anni Cinquanta (Ragazzi di vita e Una vita violenta) e la densa produzione saggistica successiva: da Passione e ideologia (1960), Nuove questioni linguistiche (1964), fino alle sfide iniziate con Empirismo eretico (1972) e proseguite con Lettere luterane (1976): testi nei quali «al formalismo della nuova ondata neocapitalistica, Pasolini contrappone infatti un’eresia conoscitiva che “vuol fare esperienza diretta del magma” per cambiare la realtà, in nome dei valori del pensiero marxista»(p.26). Un modus scribendi del tutto anticonformista, che fa del dialogismo diretto con il lettore la propria cifra nodale. In aperta opposizione a un mondo giornalistico miope, avviluppato in monocordi argomentazioni, legate sempre più alle stesse classi dominanti. C’è spazio tuttavia per linguaggi altri: da quello cinematografico a quello teatrale. Grazie al loro potere critico le immagini e i gesti riscrivono, alla luce di moderne provocazioni, i miti sacri o antichi: Medea, Edipo re, Il vangelo secondo Matteo, solo per citarne alcuni.

Leggendo le pagine di questo volume monografico su Pasolini non si rimane indifferenti. Alla curiosità di leggere, ma soprattutto rileggere, oggi un autore ritenuto centrale nel dibattito culturale di tanti anni fa, si unisce la capacità, attivata caparbiamente dalla studiosa, di farlo dialogare col mondo conflittuale di oggi. Viene così indirettamente suggerita anche ai lettori una prospettiva curiosa e mai piegata alla banale ovvietà dell’esistente.

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Mario Minarda

Dottore di ricerca in Italianistica, cultore di Letteratura Italiana presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo, è insegnante di ruolo di discipline letterarie e latino nei licei. Ha pubblicato una monografia su Vincenzo Consolo, articoli sul primo Pirandello e su aspetti satirico-politici nell’opera di Leopardi. È stato inoltre da poco edito un suo studio sulla figura del lettore nella novellistica italiana del primo Novecento. Scrive occasionali recensioni sulle pagine del quotidiano «Il manifesto» e sul blog «La letteratura e noi».

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