Oppenheimer: un Prometeo dalle “mani insanguinate”

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C’è grande attesa per il film di Christopher Nolan uscito oggi nelle sale italiane, ed è in effetti un’impresa titanica cimentarsi con la vicenda umana e scientifica del fisico che venne ribattezzato dalla stampa «il padre della bomba atomica». Ma avendo visto il biopic “Oppenheimer” proprio nell’anniversario del bombardamento di Nagasaki alcune amare riflessioni sono forse inevitabili.
Il Memoriale della pace di Hiroshima, dal 1996 Patrimonio dell’umanità UNESCO (Oilstreet/Wikimedia).

L’ufficio ovale alla Casa Bianca è immerso nella luce soffusa del mattino, due persone sono accomodate a chiacchierare, ma qualcosa non sta andando per il verso giusto: una frase di troppo del fisico Julius Robert Oppenheimer rovina irrimediabilmente il suo colloquio con il presidente USA Harry S. Truman. La frase incriminata sarebbe «Sento di avere sangue sulle mie mani», o almeno questo dice l’attore Cillian Murphy che interpreta lo scienziato a un presidenziale Gary Oldman nell’ultimo film del regista britannico Christopher Nolan. E la stessa scena è ricostruita proprio così anche nel libro su cui si basa la sceneggiatura, ovvero Oppenheimer di Kai Bird e Martin Sherwin (traduzione di Alfonso Vinassa de Regny – Garzanti, 2023). Siamo nell’ottobre del 1945 e gli Stati Uniti con i loro alleati hanno da poco vinto la Seconda guerra mondiale, piegando le ultime resistenze del Giappone con due bombe atomiche fatte esplodere rispettivamente il 6 e il 9 agosto di quello stesso anno sulle città di Hiroshima e Nagasaki causando centinaia di migliaia di vittime.

Questa non è una recensione dell’opera di Nolan che esce oggi nelle sale italiane, ne scriverà meglio chi si occupa di critica cinematografica, ma avendolo visto proprio nell’anniversario del secondo drammatico bombardamento proviamo a restituire almeno in parte il dibattito che accompagna il film fin dalla sua prima uscita e probabilmente si animerà anche nel nostro Paese. Seppure basato su fatti realmente accaduti, Oppenheimer è chiaramente un’opera di finzione e non ha certo la pretesa di essere un documentario sul Progetto Manhattan e sui protagonisti di quell’incredibile impresa scientifica, ma le riflessioni che suscita nel pubblico sono alimentate proprio da quegli eventi che avrebbero cambiato non solo le sorti del conflitto, quanto probabilmente l’intera storia umana. Non a caso nel 2015, buona parte dei membri del gruppo di lavoro internazionale sull’Antropocene hanno proposto il Trinity test (l’esplosione della prima bomba atomica, chiamata Gadget) come punto di partenza della nuova epoca geologica in cui viviamo.


Il Trinity test è avvenuto il 16 luglio 1945 nel deserto del New Mexico (United States Department of Energy/Wikimedia).

 

J. Robert Oppenheimer è stato di certo una delle menti più brillanti della sua generazione, e non solo nel campo della fisica; la sua curiosità lo spingeva a cimentarsi nei campi più disparati del sapere. Per esempio, aveva una grande passione per i testi sacri dell’induismo, tanto che in un’intervista descrisse così gli istanti immediatamente successivi al Trinity test: «Alcune persone hanno riso, altre hanno pianto. La maggior parte delle persone era in silenzio. Mi sono ricordata di una frase tratta dalle scritture indù, la Bhagavad-Gita: Vishnu cerca di persuadere il Principe a compiere il suo dovere e, per impressionarlo, assume la sua forma a più braccia e dice: “Ora sono diventato la Morte, il distruttore di mondi”. Suppongo che tutti noi l’abbiamo pensato, in un modo o nell’altro.»

Fu però grazie alla sua fama di fisico che venne messo a capo del Progetto Manhattan, un’impresa eccezionale che raccoglieva quasi tutti i migliori scienziati in circolazione (il maschile è d’obbligo vista la sparuta presenza femminile nella scienza ad alti livelli dell’epoca). Solo per citare alcuni partecipanti al progetto nonché vincitori del premio Nobel: Enrico Fermi, Niels Bohr, Ernest O. Lawrence, Isidor Isaac Rabi e Richard Feynman, anche se quest’ultimo nel film compare solo di sfuggita e sembra soprattutto interessato a suonare i suoi amati bonghi… Oltre alla notevole concentrazione di cervelli, dietro al progetto c’era lo sforzo imponente della macchina bellica alleata che fra il 1939 e il 1946 vi ha destinato fondi ingentissimi, quasi 2 miliardi di dollari equivalenti a circa 24 miliardi attuali, e al suo apice impiegava quasi 130 000 persone in più di 30 siti fra Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Infatti, questi numeri impressionanti fanno del Progetto Manhattan il primo esempio di quella che oggi chiamiamo Big Science ovvero progetti di ricerca su larga scala, di solito finanziati dai governi nazionali o da consorzi internazionali, come è oggi l’acceleratore di particelle Large Hadron Collider del CERN di Ginevra.

Questo gigantesco progetto, che voleva battere sul tempo la scienza al servizio dei nazisti e porre fine alla guerra, non è certo stato il solo che ha messo nella stessa stanza fisici e militari. Giusto per fare un altro esempio, l’ingegnere tedesco naturalizzato statunitense Wernher von Braun è noto per aver sviluppato prima la tecnologia missilistica nella Germania nazista e poi essere stato un pioniere dei programmi spaziali americani, passando dai razzi V2 che bombardarono Londra al programma Apollo della NASA. E d’altronde, come ricorda lo stesso protagonista del film, il chimico Alfred Nobel ha prima inventato la dinamite e poi ha donato la sua fortuna per istituire il premio che ancora oggi porta il suo nome.

Fotografia scattata per il badge di Oppenheimer (Los Alamos National Laboratory/Wikimedia).

 

Eppure, nonostante i suoi innegabili meriti scientifici, Oppenheimer non vincerà mai l’ambita medaglia, non tanto per aver irritato Truman in quello sfortunato colloquio a Washington, ma piuttosto perché negli anni Cinquanta era caduto in disgrazia per una sua eccessiva vicinanza al partito comunista. In quel periodo, negli USA impazza il maccartismo e la repressione nei confronti di soggetti ritenuti sovversivi non risparmia nemmeno personaggi in vista come poteva essere «il padre della bomba atomica» come lo aveva definito la stampa. L’inchiesta che lo ha riguardato è sviscerata in profondità dal film di Nolan, con ampi stralci delle testimonianze tratti dei verbali riportati fedelmente sul grande schermo.

Un altro fattore che certo non ha giocato a suo favore è stata la profonda crisi di coscienza che lo colse nel dopoguerra e per cui si rifiutò di lavorare allo sviluppo della bomba all’idrogeno. Già nel 1947, parlando dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki durante una conferenza al MIT di Boston, Oppenheimer pronunciò una frase divenuta celebre: «In una sorta di senso grezzo che nessuna volgarità, nessun umorismo, nessuna esagerazione può spegnere, i fisici hanno conosciuto il peccato; e questa è una conoscenza che non possono perdere.»

Queste riflessioni fanno eco a chi fin da subito ha accostato la figura mitica di Prometeo ai fisici che hanno reso possibile la bomba: la prima attestazione risale al settembre 1945 quando la rivista Scientific Monthly scriveva che «I moderni Prometei hanno fatto di nuovo irruzione sul Monte Olimpo e hanno riportato all’uomo le stesse saette di Zeus». Una frase che richiama anche il titolo del famoso romanzo di Mary Shelley Frankenstein o il moderno Prometeo.

Riflettere ancora su fatti risalenti a quasi 80 anni fa potrebbe sembrare ormai un esercizio da relegare a studia la storia recente, ma purtroppo è invece quanto mai attuale. Da un lato vengono alla mente le irresponsabili minacce da parte della Russia di Putin, che più volte non ha escluso di usare anche le proprie armi nucleari nel conflitto in Ucraina. E dall’altro si possono citare le polemiche innescate in Giappone da alcuni meme che, accostando immagini di Oppenheimer a quelle del più scanzonato Barbie (usciti in contemporanea negli Stati Uniti), hanno costretto la Warner Bros. Japan a scusarsi per aver offeso la sensibilità del pubblico nipponico. A quanto pare in quel Paese il tema tocca dei nervi ancora scoperti, e probabilmente non è un caso che non ci sia ancora una data certa di uscita del film di Nolan nelle sale giapponesi.

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Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, lavora per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

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