Oltre

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H. (pakistano), D. (Pakistano), F. (pakistano), S. (senegalese), B. (cinese), Y. (cinese), K. (cinese), Q. (cinese, femmina), C. (Salvador), D. (Honduras). Chi sono? I miei studenti. Nove maschi e una femmina. Stranamente, non tutti cinesi. Quanti anni hanno? Fra i 15 e i 20 anni.

 

Da quanto sono in Italia? Quattro, tre, due anni. Quanto italiano sanno? Bella domanda. Poco e tanto. Quanta lingua materna sanno? Poca e tanta, a volte molto poca. Quanto sanno? Altra bella domanda. Poco, tanto, quasi niente. Sanno molto della vita, quello sì. Che storia hanno? Molte storie, una storia comune: la migrazione nell’adolescenza e tutti respinti dalla scuola italiana, pluribocciati o mai accettati. Cosa fanno? Si agitano e parlano (a modo loro) molto; e frequentano la terza media pomeridiana al Ctp, l’ultima spiaggia per stare ancora a scuola, per provare – forse – a disegnarsi un futuro diverso da quello dei loro genitori.

H.: Prof, perché C. non sa scrivere? Oh, c’hai 15 anni, sei scemo?
C.: Non è che non so scrivere, è che scrivo piano, perché mi si scambiano le lettere.
Io: Sì, ci sono persone che imparano come tutti, ma hanno difficoltà a…
B. (detto anche Wikipedia, mano perennemente alzata): Prof, forse C. è dislessico; la dislessia è un disturbo speciale dell’apprendimento che… (ecc.).
Io: Ok, grazie, B. ma dove le leggi queste cose?? C., tu quando vuoi, parla, gli altri scrivono. Basta intendersi.
C.: Prof., ma io voglio scrivere. Vado alla lavagna?
H.: Ah, ok, non è scemo, ho capito.

C.: Lo sai prof che una volta dei ragazzi sono scesi di macchina e mi hanno strappato la catenina?
Io: Ma dove, nel tuo paese?
C.: Macché, prof, qui!
Y.: Prof, anche a me: mi hanno preso i soldi sotto il ponte.
H.: Anche a me è successo che… (ecc.).
Seguono altri.
D.: Oh, ma qui è peggio che da me, eh! (ride)
Y.: Prof, mio babbo e mia mamma tornano in Cina. Non c’è più lavoro.
Io: Y. ti dispiace che tornino in Cina?
Y.: (faccia a punto interrogativo) Non lo so. Non è che piace o mi dispiace, è così e basta. Io però resto qui.

D.: Prof. è vero che loro (indica i ragazzi cinesi) mangiano i cani?
Io: Non credo proprio. E se anche fosse? Qui si mangia carne di cavallo, mio marito adora le rane fritte, altri le lumache, mica c’è tanta differenza. E poi, chiedilo a loro.
B.: Prof., noi non mangiamo i cani qui, e neanche in Cina, solo in una regione della Cina dove… (ecc.).
Y.: Noi mangiamo riso sempre.
C.: Anche noi mangiamo riso!
H.: Anche noi mangiamo riso! Eh, prof, solo voi mangiate pasta!
Io: Ecco.

S.: Prof, scusa, hai l’età di mia nonna e una figlia della mia età!!!! Com’è?
Io: Grazie S. Anch’io ti voglio bene.
D.: Eh, si sposano tardi, ma tardi…
D.: Prof S. è musulmano, lo sai? Dice che prega cinque volte al giorno!
H.: Anche noi, ma qui non preghiamo.
B.: Certo che la sua religione è un po’ strana. Prof che differenza c’è fra Dio e Allah ?
S.: Quasi nessuna, solo il nome.

D.: Prof, ma vedi che loro (indica i cinesi) sono tutti uguali? E chi li riconosce! Vedi gli occhi?!
Io: D., forse anche voi siete tutti uguali per loro. Ci hai mai pensato? Perché non glielo chiedi? È una questione di razza. E poi guardaci bene: tutti uguali e tutti diversi. E guarda C.: ha gli occhi più simili ai loro che ai tuoi. Eppure siete nati nello stesso continente, e anche vicino. Che ne dici? Le razze si sono mescolate nel tempo. Siamo tutti un po’ mescolati.
B. Y. K. Q. (silenzio)
S.: Qui l’unico diverso sono io, guarda qui! (indica le sue braccia e ride)
D.: E perché è nero prof?
S.: Perché vengo da laggiù. C’è il sole.
B.: Prof, ma possiamo dire che anche D. e C. sono neri, anche se un po’ più chiari, sono mulatti. Infatti dopo Colombo, nel XVI secolo gli spagnoli…
B. Y. K. Q. (sorridono)
S.: Eh sì, è così! Perché loro (indica me = gli europei) ci hanno portato da voi (indica i latinoamericani) come schiavi per colpa vostra, perché voi non avete voglia di lavorare… e poi ci siamo mescolati! Eh, però, e ci hanno ammazzato pure (aria scocciata).
D.: Eh, anche a noi…
H. D. F. (perplessi, direi un po’ sconcertati dalle conseguenze dei viaggi di Colombo)
B.: Sì prof, c’erano anche altre cause per la tratta degli schiavi: infatti… (ecc.).
H.: Oh, però ora siamo amici!
Io: (sguardo scherzosamente dubbioso)
C.: Eh, è vero prof! Siamo amici, a me mi piace pure lei (indica Q., che lo guarda incredula). Prof mi siedo accanto a lei! Posso B.? Oh, B., mica è la tua ragazza? No, poi io ce l’ho la fidanzata al mio paese. Tranquillo.
Q.: (con un filo di voce) No, io no ragazza di B.

Io: B., ma com’è che ti sei fatto bocciare alle medie? Sai un sacco di cose, persino cos’è la dislessia!
B.: No, prof, lo sai, quando dico i pensieri difficili mi blocco e devi finire te; e poi non mi impegnavo abbastanza, ma ora ho capito che studiare è importante. Sono diventato anche vegetariano da due giorni, ma non so quanto reggo!
Io: E perché?
B.: Perché ho letto che gli indiani meditano e sono vegetariani e per questo possono concentrarsi molto a lungo.
Io: B., mi sembra che la concentrazione non ti manchi!
B.: No, Prof., dopo 10 ore comincio a distrarmi; vorrei arrivare almeno a 17 come fanno alcune persone…
S.: B. ma che dici! (ride di gusto)

Io: Ragazzi mi spiegate, perché la prof di … si lamenta e dice che siete dei gran maleducati presuntuosi?!
H.: Prof ma lei dice che facciamo troppe domande, che siamo maleducati e ci chiede sempre come si dice maleducato nel nostro paese. È severa! E è sempre arrabbiata! (l’espressione usata è stata un’altra)
Io: Un po’ bestiole siete, a volte non vi sopporto, lo sapete. Ma vi conviene non esserlo: bestiole qui, bestiole fuori – metti giù i piedi dal banco C.- e da bestiole sarete trattati. Volete rispetto, date rispetto.
E anch’io sono severa. Poi portate pazienza, a volte le insegnanti hanno problemi personali, sono più stanche e nervose. Non siamo mica wonderwoman!
D.: Eh, anche noi abbiamo i problemi, prof, mica è giusto. E poi te sei severa, ma ci vuoi bene, lei invece ci detesta (il termine utilizzato da D. non è stato questo). Noi lo abbiamo capito.

Io: Allora le fiabe, ragazzi, per esempio Cappuccetto Rosso, Cenerentola… conoscete Cenerentola, vero?
D.: Un pochino prof.
S.: Io no.
H.: Sì, prof, ma ce la puoi raccontare?
Io: Cenerentola?! A voi? (sguardi supplicanti) E va bene, ecco Cenerentola. C’era una volta… (ecc. ecc.)
Sguardi da bambini in corpi da uomini.
Silenzio da favola. Vorrei che Cenerentola fosse lunga come la Divina Commedia.

H.: Prof, perché dobbiamo venire tutti i giorni qui e fare l’esame ora? E’ noioso!!!!
B.: Per trovare lavoro.
Io: Anche. Ma soprattutto, perché se non imparate come va il mondo e a dire cosa pensate e cosa volete nella vita rimarrete degli scemini, e la gente vi frega. Le parole danno potere, insomma servono per non essere fregati. Vuoi rimanere uno sfigato D.?
D.: Vero! Il mio babbo lo fregano sempre, al lavoro e al mercato. È un po’ sfigato.
Silenzio.

Oltre gli stereotipi, oltre i pregiudizi, oltre le povertà nostre e loro, oltre le tecniche didattiche più avanzate per dare loro parole e pensieri, la relazione che loro e noi siamo capaci di creare fra quelle quattro mura; è in quei fili che annodano fra loro e che noi annodiamo con loro ogni giorno, spesso con fatica, che ci motiviamo a vicenda, proviamo a superare i nostri limiti e le nostre difficoltà, impariamo a metterci nei panni dell’altro, ci apriamo alla diversità, ci incontriamo, proviamo a crescere e a diventare persone migliori.

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Gaia Pieraccioni

Docente e formatrice presso il laboratorio di glottodidattica dell’Università di Parma.

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