Oggi proseguo con il commento alle notizie, per ora parziali, sui provvedimenti annunciati a livello nazionale e comunitario. La notizia post-vertice europeo è stata l’aggiunta di un contributo di un miliardo e mezzo destinato all’Italia dall’Europa, per il tramite dei fondi comunitari. Non ho ancora visto l’intera documentazione, peraltro non ancora disponibile, ma sono propenso a credere che l’Europa abbia chiesto maggiore attenzione alle politiche attive. Credo sia stato già un gravissimo errore, che pagheremo nel futuro, non legare le casse integrazione e le casse integrazione in deroga a un obbligo di riqualificazione e a percorsi strutturati di orientamento e riprogettazione delle proprie traiettorie lavorative.
Leggo in alcune dichiarazioni che un terzo delle risorse europee sarà destinato al potenziamento dei servizi per l’impiego. Mi vengono in mente alcune riflessioni: li conoscete, i servizi per l’impiego italiani? Ne conoscete il livello? Avete idea delle funzioni a cui debbono rispondere e degli standard qualitativi medi degli operatori?
In Italia l’orientamento e i servizi per il lavoro connessi hanno, nei territori, livelli di professionalità molto differenti, come diversi sono i livelli e capacità di erogazione dei servizi e di capacità di incidere sulle dinamiche occupazionali. Anche l’erogazione dei servizi presenta più criteri, metodi e persino definizioni delle tipologie di prestazione erogabili. La qualificazione degli operatori può variare anche molto. Il capitale umano dei servizi per l’impiego è fondamentale per i livelli di prestazione che gli utenti ricevono, e i livelli di prestazione sono fondamentali per l’efficacia e l’efficienza dell’orientamento. Per fare solo un esempio, vi sono ancora Regioni che investono in strumenti e servizi improntati a modelli attitudinali, considerati superati dalla riflessione e dalla ricerca da almeno tre decenni. Sul territorio nazionale molte iniziative denominate di orientamento, orientative o simili rischiano di produrre l’effetto opposto. Siamo certi che lavorare per il futuro dei giovani non richieda la strutturazione di un piano nazionale di orientamento (formalmente ideato con relativa commissione), adeguato e improntato ai metodi “formativi” ai quali in tutto il mondo le nazioni più evolute si stanno convertendo?
Non credete che non sia più possibile scherzare su queste cose?
Occorre, a mio avviso, varare a questo proposito un piano serio, ed evitare iniziative come quelle proposte alle scuole e alle Università per effettuare azioni di placement, iniziative il cui significato complessivo risulta poco chiaro. Pensate che sia sufficiente predisporre un bando? Siamo d’accordo che se le richieste/proposte sono fatte attraverso bandi che prevedono un finanziamento davvero molto basso (rispetto alle azioni complesse che vengono richieste), queste alla fine comporteranno come unica possibilità l’utilizzo di risorse interne? Gli insegnanti, che avrebbero bisogno di essere accompagnati nella trasformazione della scuola e che possono essere i protagonisti della didattica orientativa, ma non dell’orientamento specialistico, sono diventati ora anche esperti di placement?
Caro Presidente, gentili Ministri Carrozza e Giovannini: le competenze per progettare seriamente interventi per l’occupazione giovanile che siano anche azioni di sviluppo dei territori, dell’economia, delle persone ci sono… perché non approfittarne anziché dirigersi sempre verso soluzioni desuete e poco efficaci? Le risorse che avete previsto sono davvero poche, non certo sufficienti per affrontare l’endemico problema italiano di equità intergenerazionale. Tuttavia, a parità di risorse, la possibilità di incidere molto di più ci sarebbe: se non vorrete sfruttarla ve ne sarà chiesto conto.