Ho letto con ansia dei provvedimenti varati dal governo in materia di occupazione giovanile. A fronte di una situazione tragica in questo ambito, nel quale il nostro paese sfiora (e in alcune regioni supera di gran lunga) il 40% di tasso di disoccupazione dei giovani, avete ritenuto opportuno definire un vantaggio fiscale per le nuove assunzioni. In una sorta di copione già scritto e già visto avete previsto, cioè, per coloro che assumeranno ragazzi/e che rispondono a determinati requisiti (disoccupazione da oltre sei mesi, o titolo di studio inferiore al diploma della secondaria di secondo grado, o ancora avere un familiare a carico) un contributo mensile che riduca il costo del lavoro, ovvero che consenta al datore di lavoro di avvicinare notevolmente il costo del singolo lavoratore al netto che quest’ultimo percepisce in busta paga. Il contributo è, prevedibilmente, riferito ai contratti a tempo indeterminato.
Quale sarebbe la logica secondo la quale questo provvedimento sarebbe a favore dei giovani? Il parere di chi scrive è che il provvedimento sia a favore delle imprese. In Italia, infatti, qualsiasi provvedimento che voglia incidere in maniera strutturale sui Neet (i giovani che non studiano né lavorano, né sono in formazione) deve tener conto dei principi di empowerment, autonomia, responsabilità.
Caro Presidente, cari Ministri, come pensate di rispettare queste parole chiave con le misure che vorreste adottare?
Perché non destinare direttamente ai lavoratori queste risorse? Perché, a parità di costo, non fare in modo che sia il giovane, portatore del vantaggio fiscale, a cercare l’azienda che gli interessa, a cui proporsi, rispetto alla quale può candidarsi portando una “dote” fiscale? Sarebbe già un primo passo in termini di autonomia e responsabilità. E così otterremmo due vantaggi: lo spostamento di potere dalle aziende ai giovani destinatari dei contributi e l’attivazione dei giovani stessi, che per poter spendere i contributi di cui sono destinatari dovrebbero darsi da fare. Perché non prevedere come obbligatorie, per i giovani lavoratori e per i loro datori di lavoro, almeno 120 ore annue di formazione di alto livello (e si potrebbe fare anche di più)? Sono 15 giorni in un anno: su 365, un numero non così esorbitante soprattutto se, come avete dichiarato, il contributo ridurrà di un terzo il costo del lavoratore per l’impresa (le ore proposte rispetto al monte ore annuo di un dipendente sono inferiori a un dodicesimo). Perché non prevedere un meccanismo premiale per chi raggiunge livelli d’istruzione e/o qualifica successivi? Non credo che vogliate pensare a questi giovani come manodopera dequalificata da offrire “a saldo” alle imprese, per poi ritrovarli, una volta finiti i contributi, di nuovo nella stessa situazione e con la stessa bassissima occupabilità dovuta gli standard non competitivi di istruzione/formazione di cui sono in possesso. Alle imprese non chiediamo nulla? Non dovremmo destinare questo capitale umano a quelle capaci di guardare al futuro? Perché non pensare a delle corsie preferenziali per le imprese che investono di più (in proporzione al fatturato complessivo) in formazione e in ricerca e sviluppo? Non intravedete il rischio di premiare i soliti noti (parte degli imprenditori) e di non migliorare in nessun modo le dinamiche dello sviluppo economico e dell’occupazione?
I dati degli ultimi anni parlano non solo di una crisi economica importante, ma anche di una concentrazione della ricchezza crescente. In sempre meno mani stanno sempre più soldi, insomma.
Se non siete in grado di rispondere a queste sollecitazioni, dovremo pensare che si tratti soltanto di una questione di consenso, e che in mancanza di idee adeguate abbiate pensato a tamponare l’emergenza con provvedimenti che, senza intervenire sulle cause dell’allagamento, provano a buttare via un po’ d’acqua con i secchi.
Il futuro dei giovani merita un approccio complessivo e comprensivo, ma siete ancora in tempo a rimediare: fatelo.