Nel Salento classico

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Una visita alla splendida Atena del Museo Archeologico di Castro (LE).

 

Durante le vacanze natalizie ho passato qualche giorno tra Lecce e altre località del Salento: una vera immersione nel Barocco delle chiese leccesi (Duomo, Santa Croce, Santa Chiara etc.) e nel romanico di altre splendide testimonianze locali, come l’Abbazia di Cerrate o la Basilica di Santa Caterina a Galatina.

Non è mancata, però, anche una parentesi trascorsa in quel mondo classico che è da sempre al centro dei miei interessi, stimolato dal prezioso suggerimento dell’amico Fabrizio Slavazzi, docente di Archeologia romana all’Università di Milano, che mi aveva consigliato di visitare il Museo Archeologico “Antonio Lazzari” di Castro e il sito degli scavi qui realizzati negli ultimi anni.

L’Adriatico visto dalla località Capanne.

Virgilio e il tempio di Minerva

Il moderno Museo – così allestito nel 2015 – è ubicato nella suggestiva sede del Castello Aragonese, dalla cui tettoia si può ammirare un bel panorama della costa adriatica. Quella costa che in epoca antica si immaginava fosse stata raggiunta da Enea, profugo da Troia e diretto verso il Lazio; ed è forse proprio a Castro che pensava Virgilio quando scriveva:

E già cominciava a rosseggiare di fronte alle stelle fuggenti l’Aurora, quando, lontano, delle oscure colline e una bassa distesa vediamo, l’Italia. “L’Italia!” per primo grida Acate, “Italia” è dei compagni il lieto saluto. Allora il padre Anchise un grande cratere d’una corona avvolse, lo riempì di vino puro e gli dèi invocò, ritto all’estremità della poppa: “O dèi del mare e della terra, signori delle tempeste, procurateci la via col vento, facile, e soffiate favorevoli!” S’intensificano i bramati soffi dell’aria e il porto si allarga via via, già più vicino, e il tempio appare sulla cittadella di Minerva. Le vele raccolgono i compagni e le prore volgono verso la spiaggia. Il porto sotto la spinta d’euro i flutti hanno incurvato ad arco; incontro spumeggiano agli spruzzi salini gli scogli, ma quello si nasconde: lanciate come braccia due muraglie gemelle di rocce turrite, e ritratto lontano dalla spiaggia il tempio (Eneide, 3, vv. 521-536, trad. C. Carena).

La giustificazione di quanto appena affermato circa l’approdo di Enea si trova proprio all’interno del Museo, che conserva il materiale reperito negli scavi condotti a partire di primi anni Duemila dal grande archeologo Francesco D’Andria, professore emerito all’Università del Salento, Accademico dei Lincei e ora anche Direttore del Museo di Castro.

Gli scavi in località Capanne.

Infatti, in un’area archeologicamente molto “affollata” (località Capanne) – ben visibile dal mare – tra resti di mura messapiche, fortificazioni ellenistiche e romane, sono state trovate vestigia che fanno pensare alla presenza in loco di un santuario dedicato a Minerva: probabilmente quel templum in arce Minervae cui Virgilio allude.

Atena Iliaca: bronzetto e statua acefala

Il bronzetto di Atena Iliaca (foto Museo di Castro).

Parlavo di vestigia: ma di che cosa si tratta? Oltre alle tracce architettoniche, si tratta principalmente di due statue della dea Atena-Minerva, una bronzea in miniatura (di circa 12 cm) trovata nel 2008, e una acefala in pietra calcarea leccese di grandi dimensioni (integra superava i tre metri) trovata ne 2015.

La tipologia è quella della cosiddetta “Atena Iliaca” (cioè troiana) con il berretto frigio (almeno per quanto riguarda il bronzetto) e priva di quell’egida che – in Grecia e altrove – ne faceva una divinità guerriera. La statua in pietra, dal raffinatissimo panneggio, viene datata intorno al IV secolo a.C. ed è presumibile che fosse il principale oggetto di venerazione di un santuario che era un crogiuolo di culture, identità, sensibilità religiose diverse, e non a caso viene accostato da Virgilio all’arrivo in Italia del profugo troiano Enea.

Il busto di Atena trovato nel 2015.

Se infatti Atena è divinità greca (e ateniese in particolare), questa sua “variante” troiana si può supporre oggetto di venerazione in area mediorientale, prima di giungere in Italia con i coloni greci e contaminarsi poi con reminiscenze religiose messapiche, e quindi trasformarsi sincretisticamente nella Minerva romana.

Una Atena-Minerva che – feroce o benevola a seconda dei casi – sorvegliava le coste pugliesi fino a che il suo tempio non venne distrutto, forse dalla violenza iconoclasta di Annibale durante la Seconda guerra punica: infatti tanto pius fu il mitico Enea, quanto impius il grande e storico leader cartaginese.

Una recente scoperta, una straordinaria sorpresa

Ma torniamo al Museo: cosa ho visto, dunque, nelle sue sale? Al di là del materiale preistorico (trovato nelle grotte Romanelli e Zinzolusa), che però è estraneo alle mie competenze, e di alcune epigrafi greche e messapiche (che per me sono sempre materiale di eccezionale interesse), ho ammirato soprattutto lo splendido busto di Atena e alcune decorazioni – sempre in pietra leccese – che probabilmente ne ornavano il tempio.

Materiale reperito negli scavi alle Capanne.

Fregi vegetali, forse opera di maestranze tarentine, le cui forme sembrano anticipare i virtuosismi del successivo Barocco. In realtà alcuni di essi erano (e ancora sono fino a giugno 2023) proprio al Museo Archeologico di Taranto, per una mostra temporanea, insieme con il bronzetto di Atena Iliaca: un vero peccato per me, ampiamente compensato, però, da una grande sorpresa. Proprio davanti al busto acefalo della dea, appoggiate su un basamento ligneo e protette da un’impalcatura, stavano le due porzioni della sezione inferiore della statua, appena trovate nel 2022 e sottoposte alle amorevoli e competenti cure del restauratore Mario Catania.

Conversando con Mario Catania.

È stato emozionante vederle così, inaspettatamente; ed è stato bello e istruttivo chiacchierare con chi le restaurava e con il bravissimo archeologo Emanuele Ciullo (che ha scavato con D’Andria alle Capanne), il quale ha guidato con competenza la nostra visita.

Castro, tappa della Rotta di Enea

Insomma: in un’Italia che talvolta trascura i propri Beni culturali (ometto, perché ho deciso da tempo di spogliarmi di spirito polemico, di raccontare di visite impossibili a Musei teoricamente moderni e funzionali, in realtà chiusi per mancanza di personale, oppure mal segnalati, o addirittura irraggiungibili…), del Museo “Lazzari” di Castro non si può dire che bene. Funzionale, pur se in un edificio medievale, accogliente, gestito con professionalità e cortesia; e, soprattutto, “vetrina” della ricchezza documentale di un territorio carico di storia e di mito.

La parte inferiore della statua trovata nel 2022.

Ci tornerò di sicuro, tra qualche anno, quando la statua sarà stata ricomposta, e rappresenterà un ulteriore elemento di valorizzazione di una località che merita a pieno titolo di essere inclusa in quella “Rotta di Enea” che nel 2021 è stata riconosciuta come “Itinerario culturale certificato dal Consiglio d’Europa”, grazie agli sforzi dell’Associazione “Rotta di Enea”.

Questo moderno “Cammino”, muovendo dalla località turca di Edremit, tocca in 21 tappe ben cinque nazioni (Turchia, Grecia, Albania, Tunisia, Italia), 6 siti Unesco, tre parchi nazionali, facendo di Enea un vero “eroe mediterraneo” nonché simbolo senza tempo di pacifiche relazioni tra popoli diversi.

Quei popoli che non hanno avuto paura di mescolare il proprio sangue, le proprie culture e finanche i propri dèi, consapevoli che proprio questi ultimi avevano voluto che la potenza romana, destinata a governare l’ecumene e a divenire matrice della civiltà e del diritto occidentali, traesse la propria origine da un profugo mediorientale.

Da Virgilio a Ennio (e viceversa)

Il mare a Castro.

D’altronde anche il grande poeta Ennio, il padre della letteratura latina, nato a Rudiae (non troppo lontano da qui) nel 239 a.C., era un bell’esempio di “meticciato”, poiché diceva di avere tria corda (cioè “tre cuori”) in quanto romano di cittadinanza e di lingua, ma allo stesso tempo padrone della lingua e della cultura greca, nonché del dialetto osco-messapico.

Chissà se il Nostro abbia avuto o meno la fortuna di vedere il tempio di Atena-Minerva e la sua statua ancora integri? Oppure, poiché combatté durante la Seconda guerra punica, se abbia magari assistito alla distruzione cartaginese della Castro messapica e del suo santuario nel 214 a.C.? Domande senza risposta, ovviamente.

Quel che è certo è che Ennio (al pari di Nevio) legava già nei suoi Annales l’origine di Roma all’arrivo in Italia del troiano Enea, e mi piace pensare che – ancora esistente e visibile in loco, o magari presente solo nei racconti popolari – l’Atena Iliaca qui venerata abbia contribuito a rafforzare in lui quel legame tra mito e storia che Virgilio più tardi meglio espliciterà.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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