C’era una volta un gruppo di migranti, in viaggio su una barca di fortuna dall’Asia Minore; avevano passaporti «deboli», come li chiama Igiaba Scego, rispetto a quelli «forti», che permettevano di spostarsi a bordo di navi più confortevoli. I migranti avevano investito parecchio per essere trasportati, lasciandosi alle spalle guerre e cataclismi, lutti e distruzioni, finché si imbatterono nella «desiderata terra madre», l’Italia. Questi profughi asiatici si chiamavano Enea, Anchise, Ascanio, Eurialo e Niso, e si salvarono dalle onde; per chi di loro morì in mare, come Palinuro, furono eretti cenotafi, con tanto di nome imposto al tumulo. Oggi un destino ben peggiore tocca a chi parte dalle stesse coste alla volta dell’Italia. Gli dèi dell’Olimpo, in grado di scatenare o placare tempeste, erano ben più potenti delle catene di comando attuali; la storia dei naufragi contemporanei finisce con bare anonime, distinte solo dal colore del legno, che segnala l’età delle vittime. Eppure la Costituzione italiana, all’articolo 22, proclama: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Si obietterà che chi muore in mare da migrante non è cittadino italiano e dunque non può perdere un diritto che non gli è stato concesso.
Allora diciamolo: le basi illuministiche e liberali delle leggi contemplano l’uguaglianza, la fraternità, la stessa libertà non in quanto spettanti a tutti gli esseri umani, bensì solo ad alcuni (altro che valori universali!). Tuttavia, padri e madri costituenti, pur riferendosi all’assetto del proprio Stato, erano stati/e testimoni di lotte intersezionali, per estendere, e non per limitare, quanto era stato negato nel ventennio (come nelle leggi antisemite). Se non vogliamo che l’interpretazione della Costituzione sia appannaggio degli azzeccagarbugli del privilegio, guardiamo ai suoi articoli come monito vitale per attuare la visione antifascista e solidale di chi li ha pensati. Vivere o morire senza un nome «per motivi politici», cioè anche per il mancato coordinamento delle autorità, è uno scandalo che grida vendetta davanti a Enea, il quale una tomba l’aveva; e non in uno sperduto cimitero turco o siriano, ma a Lavinio, a qualche chilometro dalle sedi delle istituzioni italiane che spesso dimenticano di discendere da un fondatore straniero, politeista, figlio cresciuto lontano dai genitori biologici, vedovo, single parent, migrante, naufrago.