Il mio temperamento ansioso, infatti, mi spingeva a preferire di volta in volta questa soluzione, in considerazione del costante timore che la stampante – il pluridecennale punto debole della filiera di trasformazione di un file digitale in un prodotto cartaceo – per qualche misteriosa variante della legge di Murphy si inceppasse o dovesse fare i conti con qualche altra tipica calamità di settore, la più classica delle quali è l’esaurimento improvviso della cartuccia di inchiostro. È quindi davvero recentissima la mia liberazione del marchio infamante dell’appartenenza ai digital immigrants, i quali – come lapidariamente afferma il prof. Tonino Cantelmi in “Io penso digitale”, reportage dell’Espresso in edicola in questi giorni – “sono quelli che fanno la coda al check-in”.
Questo importantissimo risultato operativo, antropologico e culturale non mi sarà per altro utile ad acquisire l’agognata qualifica di digital native, alla quale sono d’ostacolo evidenti ragioni anagrafiche, nonostante mi occupi di “nuove tecnologie” da quasi trent’anni. E pensare che è mio sforzo costante inseguire l’innovazione, per quanto riguarda la didattica, ma anche le numerose possibilità che ormai si aprono alla vita intellettuale e personale. Qualche settimana fa, per esempio, ho saputo via Facebook dell’esistenza del servizio MediaLibraryOnLine, la “biblioteca digitale quotidiana”. Progetto gratuito, risalente al 2009, è niente meno che il “primo network italiano di biblioteche digitali pubbliche. Un portale per accedere gratis a musica, film, e-book, quotidiani, periodici, audiolibri, banche dati, contenuti per l’e-learning e molto altro”. Una rapida consultazione mi ha fatto scoprire che la sola biblioteca piemontese a offrire attualmente il servizio ai propri utenti è quella della Città degli Studi di Biella. E così ho scritto una mail, per avere informazioni su come ottenere le credenziali per accedere al servizio; ingenuamente pensavo che fosse prevista una qualche forma di iscrizione a distanza, magari attraverso posta elettronica certificata, altra funzionalità della cittadinanza digitale che mi ero a suo tempo affrettato ad accaparrarmi, sia pure sostenendo una (rapida) coda all’ufficio postale vicino alla mia residenza, necessaria per asseverare una tantum la mia identità anagrafica. Mi è stato invece comunicato – il giorno dopo; nemmeno la posta elettronica è in grado di superare le ristrettezze dell’orario d’ufficio – che la procedura ammessa è una soltanto: recarsi alla reception “materiale”, forniti di documento e di codice fiscale. Motivo: la necessità di firmare in originale i moduli per la privacy. E così, nel primo pomeriggio libero, ho preso la mia automobile e ho percorso la distanza che separa la mia abitazione dalla suddetta biblioteca, dove in pochi minuti ho espletato le formalità necessarie, per poi tornare subito indietro. Tempo materiale impiegato per i 171,6 km complessivi: circa due ore, grazie a un traffico rarefatto. In compenso, già al bancone avevo potuto rassicurarmi della non inutilità del viaggio: ho infatti prudentemente verificato in tempo reale via smartphone la presenza nella mia casella di posta elettronica delle istruzioni per l’uso da qualsiasi punto del mondo dei prestiti, accompagnate dal nome utente e dalla password che il sistema mi aveva appena assegnato.