L’Oriente di Cristina di Belgiojoso

Tempo di lettura stimato: 5 minuti
Una chicca in libreria per approfondire la figura di una protagonista del nostro Risorgimento: donna di lettere formatasi in clima illuministico, permeata poi di cultura romantica, usa a bazzicare i maggiori politici e intellettuali europei, scrittrice e imprenditrice agricola.
Francesco Hayez, “Ritratto di Cristina di Belgiojoso” (1932), collezione privata.

Quando si pronuncia il nome di Cristina Trivulzio di Belgiojoso (Milano, 1808 – Locate Triulzi, 1871), tutti pensiamo fondamentalmente a due cose. La prima, quasi d’istinto, è il magnifico ritratto che fece della nobildonna il grande pittore Franceso Hayez, che ne ha consegnato i lineamenti alla posterità: siamo nel 1832, anno nel quale il suo matrimonio-lampo con il principe “dongiovanni” Emilio Barbiano di Belgiojoso d’Este era già finito da un pezzo. La seconda – più meditata – è il ruolo che questo personaggio ha avuto nel nostro Risorgimento, del quale fu una delle anime più ferventi: tant’è che dovette passare molti anni in esilio, in Francia (celebre il suo salotto parigino) e in Inghilterra, che alternò con i soggiorni nella nativa Lombardia, regione nella quale coltivò l’impegno sociale e la filantropia.

L’esilio in Turchia

Non è questa, ovviamente, la sede per una pur sintetica rassegna della sua vita, avventurosa sia sul versante pubblico sia su quello privato e sentimentale: infatti fece parimenti soffrire (ovviamente per ragioni diverse) governanti (austriaci in primis) e spasimanti! Vorrei però ricordarne almeno un particolare poco noto, e cioè il fatto che Cristina – reduce dall’impegno di “crocerossina” durante l’entusiasmante quanto tragica esperienza della Repubblica Romana – trascorse (ancora una volta, esule) oltre cinque anni (1849-1855) in Turchia, non lontano da Ankara, dove divenne “imprenditrice agricola”. Ma poteva una donna di lettere, formatasi in clima illuministico, permeata poi di cultura romantica, usa a bazzicare i maggiori politici e intellettuali europei, non provare a comprendere e descrivere questo “esotico” mondo orientale? Ne sono dunque scaturiti alcuni interessanti scritti; tra questi un lungo racconto redatto in francese e intitolato Un paysan turc, edito a Parigi nel 1857 nella “Revue des deux mondes”, e di recente tradotto in italiano da Alessia Testa come Un contadino turco (introduzione a cura di Silvia Tatti), Edizioni Croce, Roma 2019.

La storia di Sarah e Benjamin

Si tratta di una lettura piacevole, per certi versi sorprendente, poiché racconta la storia di Sarah, una vedova che – contrariamente alle usanze locali – non si risposa immediatamente dopo la morte il marito, ma vive a lungo (amata e rispettata) a casa del suocero Mehmedda, un contadino turco tanto abile nel suo lavoro quanto generoso e tollerante. Questa attesa farà sì che il suo destino sentimentale si incontri successivamente con quello del giovane cognato Benjamin, il quale – arruolatosi nell’esercito e vissuto nella cosmopolita Costantinopoli – era nel mentre venuto in contatto con una cultura altra (che noi chiameremmo “occidentale”) rispetto a quella trasmessa dalla sua famiglia. Insomma: mentre Sarah acquista gradualmente consapevolezza della sua condizione e dei suoi diritti, Benjamin realizza un percorso di “alfabetizzazione” e “formazione”, che non annulla ma completa i valori incorrotti delle sue origini contadine.

Ragione e natura, Illuminismo e Romanticismo

Cristina descrive la vicenda da narratrice esterna e onnisciente, arricchendo la fabula con note di storia e costume, suggerendo ai suoi lettori una chiave di lettura forse un po’

Alberto Pasini, Uomo con turbante (1860 ca), collezione privata.

scontata ma suggestiva: la civiltà, la cultura, la ragione tanto amate dagli Illuministi possono (o debbono?) felicemente fondersi con quella natura che i Romantici esaltavano, e che Cristina aveva respirato nelle aree rurali della Turchia. È proprio tale fusione che garantisce l’happy end ai due protagonisti, i quali – al termine del racconto – vengono addirittura rappresentati mentre sfogliano un giornale: Pietro Verri e Cesare Beccaria avrebbero apprezzato questo finale!

Intendiamoci: non sto parlando di un capolavoro letterario (talora il ritmo narrativo è un po’ troppo lento, qualche personaggio secondario un po’ troppo caricaturale…) ma di un’ennesima testimonianza dell’eclettismo della principessa di Belgiojoso, come pure di un’originale manifestazione di quell’Orientalismo che ha connotato – in letteratura e pittura (grandissimo, tra gli altri, Alberto Pasini, un cui dipinto è riprodotto sulla copertina del volume) – larga parte dell’Ottocento europeo.
Pertanto è una lettura che mi sento di consigliare a chi – come il vostro recensore – di questo secolo è un grande appassionato. La consiglio anche per l’ottima introduzione di Silvia Tatti, che di letteratura dell’esilio è grande esperta, come ci ha spiegato proprio su queste colonne Lucia Olini, la quale già aveva accennato al soggiorno turco di Cristina Belgiojoso: è stato proprio il suo pezzo che mi ha spinto alla ricerca di questa pregevole “chicca”.

Addendum

Pochi giorni dopo la pubblicazione di questo articolo, Milano ha voluto onorare la memoria di Cristina di Belgiojoso, a 150 anni dalla sua morte, con una statua di bronzo opera dello scultore Giuseppe Bergomi.
Si tratta (ed è cosa quasi incredibile a dirsi) della prima statua pubblica – sulle 121 esistenti – dedicata a una donna nella metropoli lombarda, e non è un caso che proprio questa figura femminile innovativa e anticonvenzionale abbia fatto anche in questa circostanza da “apripista”.
È stata collocata – e dove se no? – nella splendida Piazza Belgiojoso, dove si staglia uno dei palazzi neoclassici più belli di Milano (opera del Piermarini) e dove – all’angolo con Via Morone – si trova la casa di Alessandro Manzoni. Si tratta di un luogo storicamente molto caro a noi milanesi: d’ora in poi lo sarà ancora di più, impreziosito da questa nuova, graditissima, presenza.
Giusto ricordare, da ultimo, come il monumento, suggestivo davvero, sia stato eretto su iniziativa della Fondazione Brivio Sforza, con il sostegno della Banca di Credito Cooperativo di Milano, il contributo del Comune di Milano e il patrocinio della Regione Lombardia.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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