Dite piuttosto che non sapete che cos’è l’arte. L’arte è il contrario di pigrizia […].
Basta uno scritto solo all’anno, ma fatto tutti insieme.
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa
I cambiamenti repentini necessitano di un adeguamento repentino, pena uno scollamento che potrebbe essere fatale. Lo abbiamo toccato con mano dal 23 febbraio scorso, data di chiusura di molte scuole a causa della pandemia.
Tuttavia il cambiamento didattico che con il lockdown si è reso giocoforza necessario è stato meno traumatico per chi intende il lavoro in classe come un cantiere in fieri, di costruzione della conoscenza, di crescita attraverso un dialogo maieutico che trae la sua scaturigine dalla parola, scritta e orale.
È questa l’ottica da me utilizzata nei mesi di Dad con le mie classi del liceo artistico, di cui ho scelto una seconda come campione esemplificativo per questo intervento.
Come già in presenza, anche a distanza mi sono avvalsa di alcuni strumenti della metodologia WRW (Writing and Reading Workshop), che sperimento in forma parziale da tre anni, del metodo Bing e della scrittura collettiva, nonché della mia didattica personale, frutto di anni di esperienza.
Che cosa ha reso possibile, in questi mesi confusi, portare avanti pur fra ostacoli e problemi di varia natura, un percorso ricco e soddisfacente? Io sono sicura che il lavoro a distanza abbia funzionato perché condotto laboratorialmente e che il laboratorio abbia funzionato perché la classe era già strutturata come una piccola comunità di lavoro allenata alla scrittura, alla lettura e alla discussione. Quindi anche in classe virtuale non si è trattato meramente di assegnare compiti ma di leggere, ascoltare dialogare riflettere discutere e, naturalmente, scrivere.
Pur avendo stabilito un contatto immediato con lezioni tramite piattaforma Edmodo, è con le videolezioni che le cose sono cambiate, in quanto la lontananza è riuscita a farsi “meno lontana” e il dialogo più semplice. Ho trovato parecchi ragazzi spaventati, in alcuni casi molto spaventati; altri atterriti, altri in ansia. Situazioni in parte diverse, ma con denominatori comuni. Così ho deciso di far loro compilare questa lista:
In questo periodo
Le cose che amo di più
Le cose che odio di più
Le cose che ho scoperto
Le cose che non avrei mai pensato di fare
Le cose che ho scoperto superflue
Le cose che ho scoperto che sono necessarie
Le paure che mi assalgono
Le speranze che nutro
e poi far definire il periodo che stavano vivendo attraverso percezioni sensoriali, personificazioni, figure retoriche.
Questo periodo in un/una
colore
rumore
odore
sentimento
libro
musica
quadro
similitudine
metafora
Mi soffermo su questo primo esercizio apparentemente banale, perché è stato un’eccezionale chiave di volta. Attraverso queste richieste i ragazzi hanno potuto non solo dar corpo a ciò che li stava angosciando, e in qualche modo scrollarselo di dosso, ma anche riflettere sul fatto la scrittura può essere liberatoria, soprattutto se condivisa. Il gradimento di questa attività è stato espresso da tutti in fase di metacognizione. Due esempi fra i tanti:
Mi è piaciuta molto la lezione di oggi, mi sono sentito libero e più tranquillo nello scrivere.
Sarebbe bello a mio modo di vedere poter fare altre attività simili a questa, di riflessione attraverso piccole parole che magari ci possono far star meglio tutti.
Inoltre la lezione di oggi mi ha spinto a nuove idee di scrittura… soprattutto sul taccuino. (Daniel)
È stato bello e rilassante, ho avuto delle difficoltà nello scrivere le metafore e le similitudini, per il resto è stato semplice e utile a capire cose di me stessa. (Emma)
Feedback che mi hanno aiutato nel calibrare il lavoro successivo.
Passato questo primo momento, in cui ho anche chiesto di riassumere il periodo in una parola e in un’immagine, ho posto le basi per un lavoro più organico, procedendo su vari fronti.
Premesso che ho abbandonato alcune attività iniziate in classe, come un campionato di debate appena iniziato perché impossibile da gestire con i mezzi tecnici a nostra disposizione, va detto che per altre non è stato necessario cambiare quasi nulla: accettato che tutto online è più lento, per tanti motivi che è superfluo qui ricordare, l’impianto di lavoro è stato tuttavia il medesimo. Ad esempio abbiamo continuato ad aprire la lezione con un quickwrite di cinque minuti, come sempre: un lampo di scrittura, la penna che non si alza dal foglio, la mano che corre libera là dove la porta la mente, senza ostacoli, senza freni. A volte con un input dato da me, a volte con argomento libero, come questo di Andrei, in una mattina come le altre:
Pensate a quanto sia difficile creare e a quanto sia facile distruggere, bastano pochi secondi per distruggere tutto, una relazione o un’amicizia. E pensate che siamo molto più bravi a distruggere. Pensate quanto sia difficile essere felici e quanti sia facile essere tristi, pensate a quanto sia difficile fare del bene e quanto facile fare del male.
o di Paola:
Mi sto quasi abituando a queste giornate, sto imparando ad organizzarmi e a finirle senza sentirmi inutile. Vorrei che le cose migliorassero, vorrei godermi il sole primaverile, invitare gli amici a casa, ma mi restano la famiglia e la musica; e allora ballo con la musica al massimo volume per non lasciare spazio ai più rumorosi pensieri e per sentirmi viva, per quel poco che io riesco a essere, non uscendo di casa. Di notte mi sembra di percepire i desideri delle persone, in particolare uno, comune a tutti: che questa pandemia finisca, e che smetta di spegnere vite, e allora mi sento meno sola, mi sento cittadina del mondo.
Non si è fermata nemmeno l’attività di booktalk, la presentazione da parte dei ragazzi dei libri letti.
Abbiamo proseguito senza particolari cambiamenti anche con il laboratorio di poesia iniziato in classe, fra letture, elementi di teoria, produzione. Dalla poesia, o meglio, dalla potenza di alcune figure retoriche (la sinestesia dell’urlo nero di Quasimodo; l’ossimoro del naufragar m’è dolce di Leopardi) siamo partiti per sviluppare testi autobiografici che tenessero conto di quanto studiato in proposito durante il biennio. La scrittura è stata svolta in parte in classe virtuale, con la possibilità di consulenze seppur brevi e imperfette da parte mia, in parte a casa.
Per alcune attività non sono cambiate le metodiche bensì le tecniche: padlet utilizzato non solo come presentazione finale ma introdotto come lavagna, peraltro utilissima; il quaderno, su cui a turno sia io che gli studenti scriviamo seguendo il filo del discorso avviato e che chiamiamo taccuino vagabondo, sostituito da un documento word via via aggiornato. Lavorando sulla scrittura sintetica i ragazzi hanno prodotto delle brevi recensioni raccolte in un padlet fruibile anche dai compagni delle altre classi. Il padlet condiviso permette allo studente di lavorare in autonomia e allo stesso tempo di confrontarsi con il lavoro dei compagni, e all’insegnante di monitorare lo stato dei lavori per poter all’occorrenza intervenire suggerendo soluzioni migliori.
Per quanto riguarda la lettura ad alta voce, attività imprescindibile ma impraticabile con connessioni talvolta traballanti, ho aperto un canale podcast dove ho registrato brevi racconti che potevano essere ascoltati per piacere – alcune alunne hanno scoperto gli audiolibri o audioracconti durante il lockdown – o perché assegnati da me. In questo caso, in classe virtuale abbiamo successivamente svolto la negoziazione di significati, esattamente come a scuola. E, come a scuola, qualcuno ha dovuto essere sollecitato più di altri a esprimersi, ma nel complesso ne sono uscite riflessioni interessanti, spunti continui per il procedere del lavoro.
Spendo qualche parola sulla scrittura collettiva, utilizzata per una piccola ma divertente attività a partire dalla visione del film Genio ribelle proposto dalla collega di matematica, e praticabilissima in classe virtuale utilizzando ancora una volta padlet. Con qualche stimolo giusto e un po’ di creatività siamo riusciti a movimentare per qualche settimana la sesta ora della mattinata del martedì. E tutti sappiamo cosa significano per gli studenti, e anche per noi, le seste ore.
L’anno scolastico è terminato con due incontri con due esperti di scrittura. È vero che in presenza è un’altra cosa, ma il clima che si creato parlando soprattutto della scrittura in carcere, in particolare con i detenuti del 41bis, è stato tale che si è potuta cogliere l’emozione in modo quasi palpabile. Posso affermare con tranquillità che è possibile fare incontri arricchenti anche via Meet.
Gli studenti sono stati molto soddisfatti della nostra attività in classe virtuale e lo hanno esplicitato a voce ma anche attraverso interessanti metacognizioni finali.
Personalmente credo che questa attività li abbia fatti crescere davvero, come letto-scrittori e come adolescenti.
Arrivati agli sgoccioli dell’anno scolastico, ho cucito gli aspetti salienti del nostro lavoro in questa presentazione informatica su sway che ho condiviso con la classe, perché restasse memoria di questo particolare pezzo di strada percorso insieme.
Ma questa è solo la parte visiva, pubblica. Ne sono esclusi i due quaderni su cui ho annotato lezione dopo lezione le osservazioni dei ragazzi, gli stimoli, gli spunti, le risposte a mie sollecitazioni, le riflessioni, le critiche, le recensioni, le domande che si sono posti e le risposte che si sono dati. Vi sono registrate le ansie, le paure, le scoperte, la noia, la speranza di normalità che li ha accompagnati in quei mesi. Materiale che è rimasto in sordina, fiume sotterraneo ma importantissimo. Benché nascosto, è il vero patrimonio, la fondamentale materia prima, trama e ordito per poter tessere la tela con cui confezionare il nostro abito educativo e didattico.