Lo specchio imperfetto: la scuola al cinema e in tv

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Cinema e televisione costituiscono un filtro privilegiato non solo per guardare realisticamente il mondo della scuola, ma anche per “reinventarlo” alla luce di quei luoghi comuni che hanno larga eco sociale.
Alberto Sordi nel film “Il maestro di Vigevano”, regia di Elio Petri, 1962

Raffinato copione teatrale dell’inglese Nigel Williams, Nemico di classe (Class Enemy, 1978) è una sorta di Aspettando Godot ambientato in una scuola della periferia londinese, dove un gruppetto di studenti emarginati e violenti attende l’arrivo di un docente capace fornire loro strumenti di riscatto sociale.
Al di là della trama, ciò che colpisce nella realizzazione scenografica del testo è la forza iconica degli arredi di scena: pochi banchi, qualche neon traballante, pareti imbrattate di scritte, dunque uno spazio contemporaneamente reale e metaforico, allusivo a una tipologia di spazio scolastico ben radicata nell’immaginario collettivo, al punto che lo stesso discorso può valere per la messa in scena del romanzo Sottobanco (1992) di Domenico Starnone – con la differenza che nel lavoro di Williams gli studenti sono presenti e il docente è figura quasi mitologica, nascosta dietro le quinte e solo immaginata, mentre nella rappresentazione italiana a mancare sono gli studenti e gli insegnanti prendono tutta la scena nel corso di un estenuante scrutinio di fine anno.
A giocare con questo immaginario “consolidato”, però, non sono solo il teatro e la narrativa: anche il cinema e la televisione hanno spesso contribuito a caricare di attributi negativi gli insegnanti, gli ambienti e, in generale, i protagonisti della vita scolastica: pregiudizi e realtà, cronaca quotidiana e fantasia si sono così intrecciate nell’esigenza di fare spettacolo.
Non è un caso che questa duplicità emerga già nei primi film muti, con pellicole che da un lato guardano alle vicissitudini dei poveri educatori con patetismo deamicisiano (Il calvario di un maestro, Ambrosio, 1908)1, dall’altro giocano sull’ironia e sulla deformazione grottesca, come accade nel film francese Le professeur d’école (Pathé Frères, 1909) dove il maestro è “bullizzato” da una classe di scalmanati.

Un fotogramma dal film “Maddalena zero in condotta”, di Vittorio De Sica, 1940

Gli anni del fascismo sono caratterizzati dalla progressiva irreggimentazione della scuola alle direttive del regime (dall’adozione del testo unico di Stato alle elementari alle organizzazioni paramilitari della gioventù) e all’attenzione per le problematiche di docenti e studenti si sostituisce la dimensione leggera e stereotipata delle commedie dei “telefoni bianchi”: la professoressa di corrispondenza commerciale al centro di Maddalena zero in condotta (Vittorio De Sica, 1940), già osteggiata dai colleghi per la prodigalità nei voti, è pronta a rinunciare al proprio lavoro pur di coronare un sogno d’amore; il professore di Ore 9: lezione di chimica (Mario Mattoli, 1941) sposa un’allieva ponendo termine alla carriera scolastica di entrambi… «l’amore trionfa e le apparenze sono salve»2. Sono esempi3 significativi di come la vita privata dei docenti sia d’intralcio a una professione sentita come nobile missione da praticare con severa autorità.
A scoperchiare le storture di questo periodo penserà il grande Federico Fellini in Amarcord (1973), ricostruendo attraverso il filtro dei propri ricordi il ridicolo di certi insegnanti, ma aprendo involontariamente la strada a una deriva grottesco-satirica che diffonderà per oltre un ventennio un’idea falsata della scuola, più ancorata alla memoria di ex studenti che alla quotidiana realtà: «alcuni indossano occhiali dalle lenti molto spesse, altri fumano in classe e parlano con forte accento del Sud, altri ancora portano i capelli impomatati e si ridicolizzano da soli mostrando come si deve tenere la lingua per pronunciare emàrpsamen. Tutti hanno una certa età, quasi a sottolineare l’incapacità di avere slanci vitali e il grigiore del loro lavoro, quello di semplice ripetitore dei programmi ministeriali e ingranaggio in una compagine propagandistica»4.

Gli anni Cinquanta segnano un cambiamento, e il filone scolastico si caratterizza attraverso la rilevanza che assume il rapporto fra una classe di docenti legata a vecchi schemi e una generazione di giovani allievi aperti alle nuove istanze della società: Terza liceo (Luciano Emmer, 1953) è il film che, attraverso il conflitto fra un supplente disponibile alle richieste degli studenti e un preside ancorato al passato, rappresenta perfettamente a livello cinematografico l’inizio della crisi della professione5.

Il cinema e la televisione degli anni Sessanta e Settanta, nonostante i cambiamenti radicali nella scuola (la scuola media unica dal 1962, il Sessantotto, i Decreti Delegati del 1973-’74), sembrano dimenticare lo spazio critico e documentaristico, in nome di prodotti superficiali dove i toni grevi della commedia popolare rendono i docenti insulse macchiette: Professore venga accompagnato dai suoi genitori (Mino Guerrini, 1975) mette in gioco un professore dalle dichiarate idee fasciste, che, «approfittando del caos che regna in un liceo […], riesce a far cacciare il preside grazie all’involontario aiuto che gli alunni, pur odiandolo, gli danno»6; in Tutti a squola (Pier Francesco Pingitore, 1979) Filippo Bottini (Pippo Franco), «professore alla vecchia maniera […] deve confrontarsi con i fermenti postsessantotteschi degli anni Settanta: i muri sono pieni di scritte rivoluzionarie e violente, il Preside (Gianfranco D’Angelo) va in giro in mimetica e si trincera in un ufficio pieno di filo spinato»7.

In questo periodo nasce addirittura un sottogenere, un filone del sexy-scolastico, che partendo dai motivi della contestazione e della liberazione sessuale, metterà al centro la demolizione sistematica della funzione docente e cercherà il facile consenso di un pubblico qualunquista, antistituzionale e goliardico: a partire da L’insegnante (Nando Cicero, 1975) e da La liceale (Michele Massimo Tarantini, 1975) le pellicole si riempiono di un campionario di professori macchietta, iettatori, balbuzienti, fascistoidi, sessualmente eccitabili da procaci supplenti o alunne disinibite: tutti, senza eccezione, inadeguati al ruolo di educatore e quindi vittime predilette di scherzi adolescenziali. Questa visione acritica è continuata almeno per un altro decennio (con la serie dei Pierino inaugurata da Alvaro Vitali) e, giocando in maniera esasperata su elementi verosimili (ricordi condivisi di tic e manie degli insegnanti), ha contribuito per pure esigenze di spettacolo8 a demolire nell’opinione pubblica il mondo della scuola. In quegli anni cinematograficamente sfortunati fanno eccezione pellicole come Il maestro di Vigevano (Elio Petri, 1963), che denuncia le frustrazioni di chi svolge un mestiere che sembra escluderlo dal benessere del boom economico, o la raffinata docu-fiction Diario di un maestro (Vittorio De Seta, 1972, in quattro puntate ma ridotta per il grande schermo), che parte dalla vera esperienza pedagogica del maestro Albino Bernardini con bambini delle periferie romane9.

Alberto Sordi nel film “Il maestro di Vigevano”, regia di Elio Petri, 1962

La situazione cambia negli anni Novanta, con il successo dei libri di Domenico Starnone e con le riduzioni cinematografiche degli stessi, che pure non lesinano nella spettacolarizzazione e non propongono soluzioni costruttive sulle condizioni dell’istruzione.
Lo scrittore, sceneggiatore e insegnante napoletano rinvigorisce il genere scolastico approfondendo le psicologie dei docenti, ma mostra un mondo di professionisti che hanno perso la passione per il lavoro in classe; in un contesto incapace di adeguarsi ai tempi, deprivato di risorse, e di fronte a una platea di studenti sempre più distanti dalla cattedra, i professori de La scuola (Daniele Luchetti, 1995, tratto da Ex cattedra e da Sottobanco) sembrano sempre più scissi tra vita personale e lavoro quasi impiegatizio da cui fuggire il prima possibile; nel film i professori hanno mille problemi che scaricano, ad esempio, sulla professoressa Majello, l’incaricata di stendere l’orario delle lezioni: l’esistenza vera, insomma, è fuori dalle aule scolastiche…
In questo contesto l’unico spiraglio di ottimismo arriva con Auguri professore (Riccardo Milani, 1997, tratto da Solo se interrogato), che ai docenti demotivati offre come soluzione quella di abbandonare l’inadeguato insegnamento cattedratico per creare un nuovo rapporto con gli alunni attraverso una comunicazione diretta (anche extra scolastica): è una tipologia di docente-amico che ha conquistato il posto d’onore in successive pellicole come La scuola è finita (Valerio Jalongo, 2011) che vede una coppia di insegnanti piena di buone intenzioni riversare i problemi personali su un giovane scapestrato sostituendosi (con conseguenze negative per tutti) ai genitori assenti.

La tipologia del docente-amico ha trovato collocazione anche in coeve serie televisive, che meritano però un discorso a parte, vista la quantità di titoli che da più di un trentennio hanno posto al centro l’ambiente scolastico e hanno di fatto monopolizzato l’intrattenimento televisivo. Esemplare come modello che rimaneggia materiali diversi è I ragazzi della III C10, che mette in mostra una galleria di docenti non troppo caratterizzati fisicamente ma dall’atteggiamento ingessato e dall’aspetto quasi impiegatizio. Per quanto riguarda la RAI, la costruzione dei protagonisti docenti appare migliore e meno caricaturale, anche se nel corso degli anni si è percepito (neanche troppo sottotraccia) un deterioramento nella prospettiva con cui si guarda alla scuola.
Punto di partenza è I ragazzi del muretto11, una sorta di Beverly Hills 90210 all’italiana, che racconta la quotidianità di un gruppo di liceali romani e, fra le problematiche, evidenzia il rapporto dei giovani con scuola e docenti, qui rappresentati principalmente da due figure antitetiche, quella dell’amichevole professor Testa e quella del collega Licitra. Il primo, di sinistra (è lettore de «Il manifesto»), nonostante le battute pungenti cerca di capire i ragazzi e li difende dalle miopi rigidità della presidenza; il secondo rappresenta un’istruzione di stampo meritocratico, e vede il permissivismo come una delle cause del vuoto di “valori e principi” della società12 Merito della serie è quello di evitare bozzettismo e scandalismo anche davanti a un tema “sensibile” come quello delle molestie, purtroppo d’attualità13.

Sergio Castellitto nella miniserie “O’ professore”, del 2008.

Servizio peggiore alla scuola e agli insegnanti viene fatto dalla serie Compagni di scuola14 adattamento della spagnola Compañeros15; nonostante la solida sceneggiatura di ogni episodio, l’immagine della scuola che emerge presenta diverse criticità, dal numero esiguo di protagonisti adulti16 all’aula professori trasformata in piazza di mercato dove si riversano dialogicamente, quasi come terapia di gruppo, tutte le frustrazioni personali ed extra scolastiche dei docenti.
Nel corso delle puntate, poi, la trama orizzontale si svilupperà su storie d’amore, rancori fraterni, tragica interruzione di gravidanza, tentativo di suicidio nei bagni della scuola da parte dell’insegnante di musica17 … un coacervo di situazioni tale da far scomparire tanta letteratura otto-novecentesca di stampo deamicisiano.
Nella serie anche i caratteri poco stereotipati tendono all’immutabilità: la sportiva professoressa di ginnastica Virginia non ha mai un moto di cambiamento, il vicepreside Felice Salina è un modello di insegnante autoritario, il docente di matematica Giorgio Baldanza, degno erede dei tanti insegnanti cinematografici che sognano di migliorare la propria condizione economica18, ripete come un mantra che lo stipendio è basso («per quei quattro soldi che ci danno») e viene spesso mostrato mentre gioca la schedina19.
Il terzo episodio Quando è troppo è troppo tocca l’argomento già segnalato delle molestie da parte di un docente; protagonista è Oldani, docente di inglese totalmente negativo fin dall’inizio sia nei confronti delle colleghe sia in quello delle studentesse20: una sorta di misoginia destinata a sfociare in tentativo di violenza ai danni di una studentessa che non vuole cedere alle sue lusinghe. Saranno i ragazzi, dopo l’inutile denuncia alla cautissima preside da parte di un altro docente, a risolvere il problema, filmando di nascosto le avances del professore.
Al di là purtroppo del recente caso di Cosenza e della verosimiglianza di alcune situazioni, l’aver caricato di tanta nequizia il personaggio contribuisce ad avvolgere il mondo della scuola in una nube di diffidenza e di ostilità; giocare sulla semplificazione per fare audience non è mai un buon servizio alla formazione di un giudizio obiettivo. Da questo punto di vista è significativa la lettera scritta nel maggio 2008 al «Corriere della Sera» dai docenti e dagli studenti del liceo Mamiani di Roma, che non si riconoscevano nella serie televisiva I liceali21 girata nel loro liceo perché questa diffondeva una «visione dei comportamenti della scuola non in linea con le finalità civili ed educative» dell’Istituto.
In effetti la serie, nonostante sia calata nella contemporaneità, è una successione di luoghi comuni22 concentrati soprattutto intorno al protagonista Antonio Cicerino, professore di italiano che ha abbandonato ogni legame con la scuola del passato, vive la professione in modo assolutamente anticonformista e mette il privato dei ragazzi prima della dimensione didattico-disciplinare:

E siccome è fiction, è piacevole accettare che tutto funzioni e tutto si risolva facilmente, pur con la consapevolezza che nella realtà le cose sono ben diverse […] La domanda è sempre la stessa: quand’è che l’insegnante deve farsi da parte e attenersi al già difficile compito di trasmettere l’amore per la materia senza superare il confine della discrezione? Cicerino arriva a fine anno senza aver parlato dell’Orlando Furioso, rincorre i problemi dei suoi studenti a casa, per strada e all’ospedale, la sua esuberanza didattica non rimane chiusa dentro le mura della scuola. E sembra volerci dire che è solo questo il modo per conquistarsi l’affetto dei ragazzi e tentare di capirli. Ma sarà poi così vero? Il dubbio rimane perché nella vita reale la sufficienza in greco va sudata23.

Tutte le serie televisive sembrano avere un denominatore comune nel trasferimento dentro la scuola di tutte le crisi sociali, quasi le aule servissero da cassa di risonanza per quel malessere che da docenti socialmente poco riconosciuti e al limite della nevrosi si trasferisce nella collettività24.
Emblema di questa crisi è l’incubo con cui prende il via la serie Fuoriclasse25, tratta dall’inesauribile repertorio scolastico del solito Starnone: la protagonista Isa Passamaglia (Luciana Littizzetto) sogna di essere interrogata e di dover ripercorrere, dopo diciotto anni come professoressa di lettere, le proprie tappe da studentessa (maturità, tesi, abilitazione, concorso) perdendo così il proprio stipendio. In maniera più significativa dei precedenti, anche qui l’aula docenti diventa punto di aggregazione, luogo in cui si condividono storie personali e piccole ripicche.
Gli insegnanti appaiono come adolescenti in corpi adulti, sembra passino il tempo in competizione tra loro (per ottenere il posto da vicepreside), a inseguire i pochi spiccioli di qualche progetto extracurricolare, a darsi del “mentecatto”; il loro atteggiamento presta il fianco a quel processo di delegittimazione della professione avviato da decenni: se i sondaggi26 ritengono i docenti italiani poco rispettati, il resoconto giornalistico infierisce serializzando l’escalation di violenza nei loro confronti.
Abbandonandosi alla cronaca, per un professore che, aggredito verbalmente da uno studente, lo schiaffeggia27, ne esistono decine che vengono bullizzati senza pietà: nel 2018 a Parma un ragazzo reagisce a un rimprovero prendendo l’insegnante a testate, nel 2019 tocca a una docente salernitana28 essere ripresa da un cellulare mentre una classe di liceali la deride, ma l’elenco potrebbe continuare di degenerazione in degenerazione.
A questa situazione, fenomeno reale o presunto, la fiction Fuoriclasse risponde con una resa, mostrando in diverse occasioni insegnanti pronti al compromesso pur di “sopravvivere” alla classe; come succede nel terzo episodio, quando una supplente, dopo aver cercato di affascinare i turbolenti discenti con il sexappeal, ascolta i consigli di una “veterana” che le suggerisce di farli divertire utilizzando per la lezione ciò che divertirebbe lei stessa… finirà quindi per accompagnare le parole della lezione con una chitarra, non discostandosi troppo, peraltro, dal cabaret messo in piedi dalla Littizzetto che spiega la storia di Paolo e Francesca come una soap opera29.

Impossibilitati o incapaci di ripensare le modalità educative, che andrebbero dirette al fine di formare individui autonomi e responsabili, in un presente in cui la «cultura edonistica […] vorrebbe, invece, un luogo formativo sempre accondiscendente e rassicurante nei confronti delle piccole sconfitte quotidiane»30, i docenti del grande e del piccolo schermo si abbandonano all’improvvisazione, adattando le proprie capacità al contesto, senza apparente pianificazione. Lo fa anche Alessandro Gassman nella recente serie Un professore31 tratta da una serie catalana32 in cui il professore di filosofia dalla vita personale irrisolta conquista l’uditorio adolescenziale facendo lezioni all’aperto e adattando meccanicamente la disciplina che insegna alle contingenze dei ragazzi33.

Questo legame meccanico tra scuola e vita è un bel gioco narrativo, ma non fotografa la realtà:

il mito della caverna si è realizzato, l’immagine cinematografica porta davanti ai nostri occhi non la realtà vera, che per noi non è mai esistita, ma una realtà culturale, artificiale, costruita sulle nostre proiezioni mentali e quindi… vera. […] Attraverso quel verosimile si comprende la storia, il suo fascino, la sua terribile potenza evocativa. Guai ai popoli senza memoria storica e senza capacità di produrre mitologia34.


NOTE

  1. Nelle pellicole italiane di questi anni è particolarmente rappresentata la condizione dei maestri elementari, ancora reclutati dai Comuni che disponevano di scarse risorse economiche; la statalizzazione avverrà nel 1911 con la legge Daneo-Credaro.
  2. Giampiero Frasca, Il cinema va a scuola, Le Mani, Recco (GE) 2010, p. 42.
  3. La leggerezza degli amori cinematografici tra studentesse e professori di queste pellicole, appare fasulla se confrontata con la drammaticità delle reali costrizioni sociali; nella prima parte di Antonia (Ferdinando Cito Filomarino, 2015) si ricostruisce per brevi sequenze il rapporto che la poetessa Antonia Pozzi (1912-1938) ebbe con il suo docente di latino e greco. La storia fu troncata per volontà del ricco padre di lei; nel film questi esprime disprezzo verso gli insegnanti, che con il loro misero stipendio possono permettersi libri preziosi solo a patto di “impalmare la prima studentessa ricca” trovata.
  4. Davide Boero, Storia cinematografica della scuola italiana, Lindau, Torino 2022, p. 67.
  5. Ancora nel 1946, in Mio figlio professore (Renato Castellani), il portiere di un liceo dedica la propria esistenza alla carriera del figlio, assicurandogli un mestiere stimato e gratificante.
  6. Recensione disponibile sul sito Mymovies all’indirizzo https://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=19303, ultima consultazione 30 agosto 2021.
  7. Boero, Storia cinematografica della scuola italiana, cit., p. 104.
  8. Nel film Bianca (Nanni Moretti, 1984) si immagina un corpo docente che, per risolvere i problemi della scuola di massa, si adegua ai gusti degli studenti e propone lezioni “informative” (per esempio sulla canzonetta italiana), rinunciando così agli aspetti culturali del proprio ruolo.
  9. Albino Bernardini, Un anno a Pietralata, La Nuova Italia, Firenze 1968.
  10. 1987–1989, Italia 1 (33 episodi). Tra gli sceneggiatori compare il nome di Federico Moccia, padre del giovanilismo letterario-cinematografico.
  11. 1991–1996, Rai 2 (52 episodi).
  12. L’amore quello vero, episodio 7, seconda stagione.
  13. In Il coraggio di dirlo, episodio 9, prima stagione, una ragazza incolperà il povero Testa di aver approfittato di lei; si scoprirà poi che l’accusa era falsa e che la giovane, invaghita del docente, si era inventata tutto.
  14. 2001, Rai 2 (26 episodi).
  15. Nel corso degli anni sono state distribuite diverse serie o pellicole scolastiche che adattano contesti nazionali diversi a un medesimo discorso sull’istruzione, quasi a stabilire, almeno a livello europeo, l’esistenza di un immaginario condiviso; il fortunato Notte prima degli esami (Fausto Brizzi, 2006) ha avuto una versione d’oltralpe (Nos 18 ans, Frédéric Berthe, 2008), il recente Arrivano i Prof (Ivan Silvestrini, 2018) è un film fotocopia del francese Les profs (Pierre-François Martin-Laval, 2013).
  16. La storia è ambientata a Roma in un liceo scientifico sperimentale, ma in scena appare solo un insegnante per materia, cosa impossibile anche in presenza di un’unica sezione.
  17. Voglio morire, episodio 4.
  18. Ricordiamo il protagonista di Scuola elementare di Alberto Lattuada (1954) ma anche il maestro Mombelli del già citato Il maestro di Vigevano.
  19. Anche nel film Liquirizia di Salvatore Samperi (1979), ambientato negli anni Cinquanta, un docente sogna la ricchezza attraverso le scommesse; credendo di aver fatto tredici sfoga tutta la propria frustrazione di vent’anni di insegnamento dichiarando agli studenti tutto l’odio che prova nei loro confronti.
  20. «I miei voti seguono l’andamento delle tue gonne, si restringono ogni giorno un po’ di più».
  21. Tre stagioni trasmesse dalle reti Mediaset dal 2008 al 2011.
  22. Per trovare qualcosa di diverso si deve guardare a Provaci ancora Prof! (2005–2017, ispirata ai racconti gialli di Margherita Oggero) e alla miniserie in due puntate ‘O Professore (Maurizio Zaccaro, 2008), liberamente ispirato al volume di Paola Tavella Gli ultimi della classe (Mondadori, 2000); si raccontano gli sforzi del professor Pietro Filodomini (Sergio Castellitto) nel combattere la dispersione in una scuola media del Rione Sanità di Napoli e allontanare gli studenti dalla microcriminalità.
  23. Nicoletta Dose, https://www.mymovies.it/film/2008/i-liceali/, ultima consultazione 2 marzo 2021.
  24. Non è casuale che un episodio de I liceali presenti un seminario sulla “sindrome da burn-out” descritta come un “lento logoramento fisico e mentale” in cui “non si distingue la vita relazionale da quella professionale”.
  25. Quattro stagioni su Rai 1 dal 2011 al 2015.
  26. Nel sondaggio (https://www.tuttoscuola.com/insegnanti-italiani-i-meno-rispettati-dagli-studenti-il-nostro-paese-al-33esimo-posto/, ultima consultazione 23 febbraio 2022) sullo status degli insegnanti nel mondo del Global Teacher Status Index (2019) il nostro Paese appare al terzultimo posto della classifica (solo il sedici per cento degli italiani considererebbe gli insegnanti nelle scuole ancora rispettati).
  27. Margherita Paolini, Prof perde la pazienza e schiaffeggia studente, 27 marzo 2013 (https://www.skuola.net/scuola/lite-prof-schiaffo.html, ultima consultazione 23 febbraio 2022).
  28. https://www.salernotoday.it/cronaca/docente-presa-in-giro-video-appello-genitore-difende-figlio-alunno-16-settembre-2019.html, ultima consultazione 23 febbraio 2022.
  29. Francesca abbandona «la casa, le amiche, la parrucchiera» e a Rimini si innamora del fratello del promesso sposo, «fotocopia sputata di Johnny Depp».
  30. Giorgio Cavadi, La scuola presa a sberle, 2 maggio 2018 (https://www.scuola7.it/2018/087/la-scuola-presa-a-sberle/, ultima consultazione 23 febbraio 2022).
  31. 12 episodi trasmessi da Rai 1 nel 2021.
  32. Il fatto che così tanti titoli (cinematografici o televisivi) nascano da format internazionali fa quasi apparire la scuola come un “non luogo” adattabile a ogni contesto culturale e in cui hanno maggior peso le vicende sentimentali di quelle educativo/didattiche.
  33. A titolo di esempio, nel quarto episodio (Platone) entra in casa di un adolescente hikikomori, che si è isolato dagli altri confinandosi nella propria stanza: Gassman lo convince a uscire sciorinando una lezioncina sul mito della caverna, paragonando le ombre proiettate dal fuoco con i graffiti sulle pareti della cameretta.
  34. Nicolò Scialfa, La scuola negata. La radiografia di un disastro e le ragioni di una speranza, Genova, De Ferrari, 2009, p. 66.
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Davide Boero

è docente di scuola superiore e ha dedicato al cinema articoli su riviste e volumi, fra cui “All’ombra del proiettore. Il cinema per ragazzi nell’Italia del dopoguerra” (EUM, 2013), “La poesia, il gesto, il suono. Invito alla riscoperta di Jacques Tati” (StreetLib, 2021), “Storia cinematografica della scuola italiana” (Lindau, 2022). Sempre al cinema è dedicato il sito https://davideboero.wordpress.com.

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