Lezione di riparazione: leggere a scuola “Il libro dell’incontro”

Tempo di lettura stimato: 7 minuti
Il titolo parla da solo: “Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto” (a cura di Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Caludia Mazzuccato, edito dal Saggiatore), 466 pagine per raccontare un lungo percorso di riparazione, condotto tra la fine degli anni Novanta e il 2015, nell’ignoranza dei più e nel fortunato silenzio della stampa, che ha così reso possibile la delicatissima gestazione del progetto e il suo non meno delicato trasformarsi nel tempo.
Uno degli incontri tra vittime e terroristi sulla tomba di Moro. Foto di Gerald Bruneau – fonte: Corriere della sera.

L’opera è complessa e articolata, come la situazione richiede: la aprono alcune premesse metodologiche e il dettagliato resoconto del lungo cammino che ha posto in dialogo vittime e familiari delle vittime con alcuni ex terroristi. In chiusura, un corredo di approfondimenti scientifici e metodologici sul tema della giustizia cosiddetta “riparativa” consente di inquadrare l’esperienza raccontata in un contesto più ampio. Il cuore di tutto, però, sono le centosessanta pagine del capitolo Voci, che (appassionante come un romanzo e intenso come una poesia) riproduce alcuni frammenti di oltre quindici anni di dialogo.

A guidare familiari delle vittime ed ex terroristi, in un confronto che immaginiamo forte di emozioni e domande non tutte destinate a trovare risposte, i tre mediatori e curatori del libro, che hanno scelto la via di un percorso riparativo secondo lo stile e il metodo della restorative justice, nel solco di esperienze uniche come la Truth and Reconciliation Commission (TRC) sudafricana.
Tra tante voci, colpiscono due scritti di straordinario valore testimoniale: la lettera degli ex terroristi che racconta il netto rifiuto della violenza nella risoluzione di conflitti, la fede nel valore supremo e inviolabile della persona umana, il percorso sofferto che è alla base del Insieme abbiamo scoperto e sperimentato che il riconoscimento che parte dal valore umano, dalla profondità dell’incontro, può generare a sua volta un valore sociale e diventare motore e stimolo di cambiamento.cambiamento, ma anche il valore di un’esperienza tanto ricca . Scrivono infatti: “Insieme abbiamo scoperto e sperimentato che il riconoscimento che parte dal valore umano, dalla profondità dell’incontro, può generare a sua volta un valore sociale e diventare motore e stimolo di cambiamento” (p.79). E la lettera di risposta a firma di alcuni familiari di vittime del terrorismo (vittime essi stessi), che così replicano (pp. 116-117): “Siamo convinti che oggi voi riteniate sbagliate e orrende le cose fatte allora; comprendiamo il vostro desiderio che venga riconosciuto da noi e dalla società il fatto che allora pensavate che quelle scelte – che sono e rimangono orrende – fossero funzionali a un progetto di liberazione e che le motivazioni che vi mossero erano motivazioni ideali… Riconosciamo in voi persone che farebbero qualsiasi cosa per non aver fatto ciò che hanno fatto allora e sappiamo che il vostro pentimento è sincero. Riconosciamo che le persone possono cambiare e che voi siete cambiati”. Una lettera splendida, che sarebbe giusto leggere per intero e che pure proviamo a sintetizzare nell’affermazione: “tutti noi crediamo nella logica dell’incontro”.

Un incontro, appunto: individui distinti, ciascuno con una propria storia, una propria soggettiva esperienza, disponibili tuttavia a costruire, nel racconto e nell’ascolto reciproci, una memoria condivisa e corale, fondamentale anche alla costruzione di una memoria pubblica.
Il libro dell’incontro testimonia questo percorso che in qualche modo raccoglie e prosegue una lezione di dialogo aperta dal gesuita padre Adolfo Bachelet all’indomani dell’assassinio del fratello Vittorio (ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980), accolta dall’opera di molti religiosi cappellani nelle carceri o volontari nel dialogo con i detenuti e infine confermata dall’azione pastorale del cardinale Carlo Maria Martini, non a caso destinatario del simbolico gesto di resa che fu la consegna delle armi dei terroristi in arcivescovado, il 13 giugno 1984. Riconosciamo in voi persone che farebbero qualsiasi cosa per non aver fatto ciò che hanno fatto allora e sappiamo che il vostro pentimento è sincero. Riconosciamo che le persone possono cambiare e che voi siete cambiati.Gesuita è uno dei tre mediatori, padre Guido Bertagna, da sempre attento ai temi della giustizia e del diritto (già direttore del “Centro Culturale San Fedele” di Milano e membro del consiglio direttivo dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”). Una competenza giuridica unisce invece gli altri due mediatori: Adolfo Ceretti, docente di Criminologia all’Università di Milano Bicocca e Claudia Mazzucato, professore associato di Diritto penale all’Università Cattolica, dove coordina le ricerche su “Giustizia riparativa” e “Giustizia e letteratura” del “Centro Studi Federico Stella sulla Giustizia penale e la Politica criminale”.

Dopo i primi incontri, al gruppo originario di familiari e degli ex terroristi si è unito il Gruppo dei cosiddetti Primi Terzi: inizialmente giovani trai venti e i trent’anni (studenti universitari o ragazzi vicini alle iniziative culturali dei gesuiti milanesi), poi anche persone di varia età ed estrazione culturale, chiamati a testimoniare, con la loro stessa presenza, un dialogo senza alcuna cornice istituzionale, forte soltanto del libero consenso dei partecipanti. Ai Primi Terzi si sono quindi aggiunti i Garanti: persone appartenenti al mondo delle Istituzioni, della cultura, dello spettacolo e del giornalismo, coinvolti a motivo della loro autorevolezza, perché vi fossero interlocutori esterni capaci di mettere in luce i rischi di eventuali passi falsi, di sostenere con il loro contributo i passaggi complessi del percorso e di garantire, appunto, in sede di dibattito pubblico, la serietà, l’autenticità e l’integrità del lavoro svolto.
Colpisce che tutto questo sia avvenuto al di fuori di un mandato istituzionale, senz’altro motore del riconoscimento soggettivo che vi fosse e vi sia un nodo da sciogliere e che si possa provare a scioglierlo attraverso le parole.Colpisce che tutto questo sia avvenuto al di fuori (in assenza) di un mandato istituzionale, senz’altro motore del riconoscimento soggettivo, da parte di chi ha condiviso il percorso, che vi fosse e vi sia un nodo da sciogliere e che si possa provare a scioglierlo attraverso le parole. Per inciso: sarebbe interessante chiedersi se questa via non istituzionale testimoni più la forza di una società che ha cultura e capacità per elaborare costruttivamente i suoi lutti o le mancanze di uno Stato troppo spesso distratto sulle questioni fondamentali della vita civile.

Per usare le parole di Valerio Onida, uno dei Garanti: “Una giustizia che non si fermi all’accertamento dei fatti e delle responsabilità, né all’arido conteggio delle sanzioni e dei risarcimenti, e nemmeno all’esteriorità dei proclamati pentimenti e perdoni (o non perdoni), ma riesca in qualche modo a “riparare” il tessuto personale e sociale lacerato, e a migliorare il futuro di tutti, è un ideale tanto impegnativo quanto ambizioso, a cui però non possiamo rinunciare se della “giustizia” vogliamo continuare ad avere, a coltivare e a promuovere un’idea degna del senso ultimo dell’essere umano” (p. 133).

Il libro dell’incontro è bello e necessario. Per il tema affrontato è particolarmente adatto ai nostri studenti quasi maturi, ma anche fruibile, nel racconto generale e nell’appassionante sezione delle testimonianze, anche da lettori un po’ più giovani, purché ben guidati nella lettura, come dovrebbe sempre accadere.
Tra le pagine si troveranno, io credo, alcuni di quegli spunti che possono rendere significativa e preziosa l’esperienza scolastica: affrontando contenuti che sono oggetto di studio (la storia e la memoria, il diritto, la legalità e la giustizia) si finisce per riflettere su cose che in realtà riguardano tutti e ciascuno.
Affrontando contenuti che sono oggetto di studio (la storia e la memoria, il diritto, la legalità e la giustizia) si finisce per riflettere su cose che in realtà riguardano tutti e ciascuno.Da quest’esperienza di giustizia riparativa si impara che la costruzione di un “noi” non è cosa banale, né facile né naturale; che ci sono scelte gravi e gravi responsabilità e nodi che sembrano insolubili, ma che vivere significa anche provare a sciogliere i nodi; che le persone possono cambiare e talvolta cambiano; che una memoria condivisa e aperta al futuro è quella che non teme di integrare i ricordi di ciascuno.
C’è dunque molto di quel che serve per fare di una lezione una lezione importante, in una scuola che voglia assumersi il rischio di educare davvero.

Postilla
Avevo scritto questa nota prima che le esplosioni nell’aeroporto di Bruxelles ci riportassero alle urgenze di questi giorni. Lo studio della storia e di temi come quelli qui proposti ci aiutano a guadagnare anche un’altra prospettiva sulla cronaca: le situazioni, anche le più terribili, evolvono nel tempo. Le piazze esplodono, ma poi i muri crollano, le case si ricostruiscono e, quando i valori civili sono solidi, resistono anche alle prove più dure.

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Elena Rausa

Docente di Lettere nei Licei e Dottoressa di Ricerca in Italianistica. Ha pubblicato tre romanzi: “Le invisibili” (Neri Pozza, dal 9 febbraio 2024), “Ognuno riconosce i suoi” (Neri Pozza, 2018), “Marta nella corrente” (Neri Pozza, 2014).

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