«Felicità raggiunta, si cammina / per te su filo di lama», recita un verso degli Ossi di seppia di Montale, a ricordarci come il sano appagamento di corpo e spirito possa nascondere oscuri lati taglienti e infausti.
Ne è ben consapevole Natalia Ginzburg, che coglie la disperazione insita nella felicità, quando distilla i termini di “felicità” e “soddisfazione”: «La felicità è infinita, perciò comprende anche la disperazione. La soddisfazione esclude la disperazione. Il linguaggio della felicità è universale. Il linguaggio della soddisfazione, privato e personale»1.
Riflettere sul benessere in letteratura significa in primo luogo evidenziare gli elementi contrastivi che il termine porta con sé, soprattutto se circostanziamo l’osservazione all’Età del benessere, quella della formidabile crescita economica italiana che, a partire dagli anni Sessanta, sarà destinata a mutare la produzione industriale, a tracciare da Nord a Sud grandi vie di comunicazione, a stravolgere l’urbanistica cittadina e a inventare una nuova architettura degli spazi quotidiani: tutti elementi che modificheranno lo stile di vita di milioni di persone.
Il boom economico, che nel giro di un ventennio trasforma un paese agricolo come l’Italia in una vera potenza industriale, innesca una profonda metamorfosi anche in campo culturale, e Gabriele Pedullà, nel capitolo L’Età del benessere nell’Atlante della Letteratura Italiana2, ricorda il peso internazionale che in quei decenni acquistano il grande cinema neorealista o l’Arte povera, ma anche il successo del teatro underground e di strada di Luca Ronconi, Carmelo Bene, Dario Fo e Giuliano Scabia, oltre al ruolo di primo piano che negli anni Ottanta l’Italia giocherà nel dibattito internazionale sul postmoderno, grazie a Eco, Vattimo, Portoghesi e Bonito Oliva.
«Quindici anni fa prevedevamo tutto, – dice Italo Calvino nel 1961 – tranne una cosa: che il mondo sarebbe entrato in una fase di belle époque. Adesso ci siamo dentro in pieno. C’è il boom economico, un’aria di cuccagna, ognuno bada ai suoi interessi. […] Così come oggi, nell’euforia di questa immeritata cuccagna, sappiamo che non possediamo veramente nulla, che tutto è un castello di carte e può crollare al primo soffio»3.
Anche leggere gli Scritti corsari (1975) di Pasolini può essere una chiave di accesso per capire l’Età del benessere. Del 17 maggio 1973 è l’articolo sulla civiltà dei consumi, dove si stigmatizza la lacerazione dell’anima del popolo italiano attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e in primis della televisione, mentre al 1° febbraio 1975 risale l’articolo sulla degradazione delle coscienze per il potere del consumismo, conosciuto perlopiù come l’articolo sulla scomparsa delle lucciole.
Segnato dal pessimismo per la sconfitta delle istanze sociali, Luciano Bianciardi ricorda con amarezza come tutto ormai sia valutato solo in rapporto alle medie nazionali: «il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo»4.
Nel giro di quei decenni, non sono molte le opere che raccontano dall’interno le fabbriche, gli operai, gli impiegati, i dirigenti e i capitalisti; fra queste, ve ne sono alcune particolarmente pregnanti per cogliere la distanza fra il mondo arcaico e rurale e la realtà delle nuove fabbriche “di cristallo”: sicuramente Tempi stretti (1957), Donnarumma all’assalto (1959) e Linea gotica (1963) di Ottiero Ottieri, assunto da Adriano Olivetti per l’ufficio del personale a Pozzuoli e a Ivrea, e poi Memoriale (1962) di Paolo Volponi, direttore dei servizi sociali della Olivetti. Entrambi gli scrittori daranno prova del sorgere di un senso di alienazione provocato dai ritmi di lavoro e da un’attività parcellizzata dalla catena produttiva, per cui diventa difficile cogliere il senso del proprio impegno.
In Donnarumma all’assalto l’analfabetismo, la disoccupazione cronica, la fiducia assoluta nell’energia dei muscoli renderanno inefficace la missione civilizzatrice dello stabilimento di Pozzuoli, che aveva preso corpo dall’immaginazione ideologica dell’architetto Luigi Cosenza, studioso dell’Illuminismo e della gran luce di Napoli, due motivi da cui traeva ispirazione la sua Teoria dell’Entusiasmo. Alla stregua delle scientifiche prove psicotecniche volute da Olivetti per la selezione del personale, la terapia urbanistica di Cosenza era sorretta dalla convinzione che l’entusiasmo e la razionalizzazione potessero sconfessare l’enfasi retorica del Mezzogiorno e trasformare il modo di essere di chi ci avrebbe vissuto. La bomba che Antonio Donnarumma farà esplodere davanti allo stabilimento ne rivelerà l’inefficacia. Si tratta di un episodio di cronaca avvenuto il 25 ottobre 1955 e riportato sia dai quotidiani sia dai manoscritti di Ottieri nel Quaderno XVIII: l’esplosione di una bomba-carta contro l’auto dell’ingegner Ferrera5.
La letteratura, il cinema, il teatro rappresentarono i grandi mutamenti innescati nella società da quell’Età del benessere, e la rielaborano attraverso il filtro di uno sguardo critico che sarà anche femminile, basti pensare a L’età del malessere (1963) di Dacia Maraini, al glaciale romanzo L’adultera (1964) di Laudomia Bonanni, su una psicosi che porterà al rifiuto della maternità, o alla commedia Ti ho sposato per allegria (1964), scritta per Adriana Asti da Natalia Ginzburg. In quest’ultima, il “benessere” di una coppia di neosposi si configura come un bagliore fugace e s’incarna in una giovane donna randagia, svagata e vulnerabile. Intensa anche l’interpretazione per la RAI di Giulia Lazzarini, un’attrice altrettanto amata da Natalia Ginzburg, sotto la direzione di Carlo Battistoni6.
Nel 1964 per Bompiani Umberto Eco pubblica il saggio Apocalittici e integrati, in cui mette a confronto le ragioni dei primi nel condannare l’omologazione culturale e la cultura di massa con quelle degli “integrati”, che invece quella cultura vorrebbero difendere, favorevoli come sono a una larga diffusione dei prodotti culturali a basso prezzo, seppure asserviti al consumismo. Per Eco l’industria culturale, che mette sul mercato libri, film, spettacoli teatrali, non è diversa da qualsiasi altra impresa asservita al guadagno e impegnata a orientare i gusti del pubblico.
Alla fine degli anni Sessanta, Elsa Morante e Leonardo Sciascia ricorrono alla parodia come “canto parallelo” (secondo l’etimologia del termine) perché meglio consente loro l’esercizio dello spirito critico nei confronti delle strutture di potere. Lo faranno con La serata a Colono: una parodia (1968) di Morante e con Il contesto: una parodia (1971) di Sciascia, due opere che segnano per entrambi un punto di svolta nell’arco della loro opera letteraria: un punto di non ritorno.
L’Edipo di Morante, in controcanto all’Edipo a Colono di Sofocle, è stretto da cinghie di contenzione in un ospedale psichiatrico (sono gli anni in cui si discute sui manicomi, e che porteranno alla legge Basaglia del 1978) ed è in pieno delirio autoaccusatorio, con un “coro di matti” antitetico al razionale coro sofocleo, sempre rispettoso del potere. Antigone è invece una ragazzina selvatica, che parla una lingua povera, piena di sgrammaticature, imbastardita da forme di ascendenza forse ciociara, ma senza essere un realistico dialetto. È un’analfabeta più vicina a Nunziata dell’Isola di Arturo che alla donna che tiene testa a Creonte nelle tragedie greche. Ogni sua battuta è priva di punteggiatura, e parla una lingua inusuale ma ritmica, perché giocata sulla ripresa anaforica di alcuni termini (il “che” pleonastico, ad esempio), a creare ritmi ossessivi o a rimarcare l’inutilità di comunicare con medici e infermieri: «S’inzogna che sempre è giorno signò che per questo non ce la fa a dormire… […] non lasciarmelo così messo / coi piedi verso l’uscita / che nella malatia non è buono di stare così che porta / disgrazia»7. Destinata a essere inascoltata da tutti, compreso Edipo, l’adolescente è una creatura piena di discrezione e di riservatezza, «voltata verso l’angolo del muro per timore di disturbare» (p. 53), ma mentre Edipo è stato interdetto dai figli maschi, Antigone nella sua innocenza adolescenziale e di genere si dedica alla sua cura con tutte le attenzioni filiali («me lo pigliasse io questo male vostro») e mai perde la venerazione del padre: «gli occhi vostri uguali a due belle stelle» (ivi, p. 52). Non dimentichiamo che l’opera viene inserita nel 1968 nella raccolta dal titolo esplicativo Il mondo salvato dai ragazzini.
La parola “parodia” ricorre in tutti e quattro i romanzi di Morante, come ricorda Lucia Dell’Aia8, e in modo particolare nell’Isola di Arturo, dove è presentata con la lettera maiuscola: «Vattene, Parodia»9, epiteto ingiurioso rivolto a Wilhelm Gerace dal giovane amante. Per Giorgio Agamben Morante, addirittura, «ha fatto di un genere letterario – la parodia – il protagonista del suo libro»10.
Anche Il contesto (1971) di Sciascia si fregia del sottotitolo parodia. Il clima che si respira a Palermo, quando esce in libreria il libro, è quello conseguente all’uccisione di Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo, il 5 maggio 1971. Il contesto si apre sull’uccisione di un magistrato e prosegue fino a annoverare ben tredici morti, ma l’assonanza fra fatti di cronaca e fatti narrati non deve trarre in inganno: la prima parte di Il contesto viene pubblicata a gennaio-febbraio 1971 sulla rivista siciliana «Questioni di letteratura», e nella Nota di postfazione Sciascia ricorda come l’opera fosse già da due anni in gestazione sulla sua scrivania. Parodia del genere poliziesco, Il contesto rinnova il romanzo italiano messo al bando dall’avanguardia del Gruppo 63, proprio esplorando il rapporto fiction-realtà. Senza saperlo, Sciascia finisce per intuire gli eventi storici che avrebbero insanguinato l’Italia negli anni di piombo e per cogliere l’insicurezza ontologica del mondo contemporaneo, che sarebbe seguito all’Età del benessere.
Molti scrittori protagonisti dell’Età del benessere usciranno di scena nel giro di una decina di anni: «Sereni (1983), De Filippo (1984), Banti, Calvino e Morante (1985), Parise (1986), Bassani, Cassola e Levi (1987), Bilenchi, Porta e Sciascia (1989), Caproni, Contini, Manganelli, Moravia e Samonà (1990), Natalia Ginzburg, Pratolini e Tobino (1991), D’Arrigo (1992), Testori (1993), Fortini e Volponi (1994). Anche per questo il Novecento letterario finisce su per giù a quest’altezza»11.
NOTE
- N. Ginzburg, La vita immaginaria, Einaudi, Torino 1974, p. 228.
- Einaudi, Torino 2012, vol. III, pp. 718-723.
- I. Calvino, La «belle époque» inaspettata, in «Tempi moderni», n. 6, luglio-settembre 1961, ora in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980, pp. 70 e 74.
- L. Bianciardi, La vita agra, [1962], Rizzoli, Milano 1980, p. 158.
- Cfr. C. Nesi, Note a “Donnarumma all’assalto”, in Opere scelte, Meridiani Mondadori, Milano 2009, pp. 1173 e ss.
- Oggi visibile su YouTube al link https://www.youtube.com/watch?v=GF6u9Bxgku4.
- Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi, Einaudi, Torino 1995, p. 38.
- La parodia nei romanzi di Elsa Morante, in «Cuadernos de Filologia Italiana», 21, 2014, p. 101-112.
- Opere, Meridiani Mondadori, Milano 2001, vol. I, p. 1299.
- Parodia, in Profanazioni, Nottetempo, Roma 2005, pp. 39-40.
- G. Pedullà, L’età del benessere, cit., p. 720.