Per cominciare, una ragazza è salita sul palco per leggere il messaggio scritto dall’attrice francese Isabelle Huppert per essere condiviso oggi nei teatri di tutto il mondo e tradotto in italiano da Roberta Quarta.
«Parlando qui io non sono me stessa, non sono un’attrice, sono solo una delle tante persone grazie alle quali il teatro continua ad esistere. È un po’ il nostro dovere. E il nostro bisogno. Come dire: noi non facciamo esistere il teatro, ma è piuttosto grazie a lui che esistiamo. Il teatro è molto forte, resiste, sopravvive a tutto, alle guerre, alle censure, alla mancanza di denaro». Così iniziava il discorso. E si concludeva con queste parole: «Il teatro per me è l’altro, il dialogo, l’assenza di odio. L’amicizia tra i popoli, non so bene che cosa significhi, ma credo nella comunità, nell’amicizia tra gli spettatori e gli attori, nell’unione di tutti quelli che il teatro riunisce, quelli che scrivono, che traducono, quelli che lo illuminano, lo vestono, lo decorano, quelli che lo interpretano, quelli che lo fanno, quelli che ci vanno. Il teatro ci protegge, ci dà rifugio…».
E in quest’amicizia tra attori e spettatori ci siamo poi riconosciuti, più tardi, verso la fine della mattina, quando una delle vincitrici del premio assegnato dal MIUR per il miglior testo teatrale presentato al concorso “Scrivere il teatro” ha invitato i ragazzi seduti in platea a salire sul palco per una foto di gruppo.
C’era Fabio Tolledi, regista e poeta, presidente del centro italiano dell’International Theatre Institute (ITI), l’organizzazione mondiale per le arti performative fondata nel 1948 dall’UNESCO. Tolledi ha tradotto in salentino il Cantico dei cantici, è abituato a parole come queste:
ce ssi beddha amica mia ce ssi beddha
intra li trini l’occhi toi turture suntu
comu a na gregge de crape
subbra le serre de Busciardu
li toi capiddhi
comu a na gregge de crape
ca saglie susu all’acqua
vane amparu li denti toi
nisciunu ete sulu.
Non poteva proprio perdersi in convenevoli, il presidente, né tantomeno avrebbe potuto togliere spazio ai veri protagonisti: gli autori e attori di “Ma c’è un emoticon per il terremoto?”, quegli alunni della scuola superiore di Norcia che hanno messo in scena i messaggi che si sono scambiati su un gruppo WhatsApp dopo la seconda potente scossa di terremoto che ha colpito il loro paese nel 2016.
Anche il funzionario del ministero che ha seguito il progetto, Renato Corosu, si è comportato da attore consumato, azzeccando i tempi, le entrate e tutte le battute. La lunga lettera inviata dalla ministra Fedeli è stata letta tutta d’un fiato, e ha contribuito a bilanciare l’emozione della sindaca di Cinigiano, Romina Sani, che a giudicare dai complimenti, dai sorrisi e dagli applausi ricevuti deve essere stata proprio un’ottima ospite.
I veri registi dell’evento, il regista Giorgio Zorcù e l’attrice Sara Donzelli, che da molti giorni lavoravano insieme ai ragazzi per l’allestimento dello spettacolo, sono rimasti sempre nell’ombra, dimostrando una grande consapevolezza del ruolo educativo che stavano giocando. Hanno lasciato parlare il teatro. E hanno affidato alla maestria di Paolo Pisanelli la ripresa di tutte le immagini che, si spera, saranno montate in un documentario.
Lo spettacolo, che mi è piaciuto, per fortuna non è stato un capolavoro. Né si può dire che i ragazzi abbiano tutti rivelato un grande talento per la recitazione. Ha funzionato, questo sì. Noi spettatori abbiamo avuto modo di ascoltare i messaggi recitati dalla viva voce dei ragazzi e della professoressa di filosofia, assistendo così al crescere e poi allo scemare della paura, al montare della rabbia contro le istituzioni, poi sostituita dal senso di comunità, al cambiamento graduale del linguaggio e delle emozioni, che dal negativo virano al positivo senza mai passare per l’indifferenza.
E che piacere, in questo giorni di sterile dibattito sulla grammatica, ascoltare il consonantismo e il vocalismo dell’umbro, e le frasi a metà, asintattiche a volte, sconnesse, eppure sempre efficaci, precise, oneste.
La scena finale, durante la quale la natura – il terremoto personificato – si rivolge direttamente agli uomini, ovvero agli spettatori e agli attori che nel frattempo sono scesi dal palco ad ascoltare, mi ha fatto ovviamente pensare alle Operette morali di Leopardi.
E allora ho capito, alla fine, tutto insieme, che cosa mi è piaciuto tanto di questa singolare esperienza. È stato come se, per qualche ora, contagiati tutti dalla straordinaria consapevolezza di questi ragazzi di Norcia, fossimo andati ad abitare in un paese veramente laico e razionale, addirittura ragionevole, in cui gli uomini scelgono in prima persona di costituirsi in comunità, di allearsi per far fronte non contro un nemico invisibile, non contro la natura selvaggia ma contro quegli uomini ancora preferiscono fingersi troppo deboli o troppo forti per affrontare la vita con serietà e con coraggio. Solidali con tutte le creature mortali.
Abituati a una vita addomesticata, per qualche ora siamo stati tutti Leopardi.
Il video dei ragazzi su YouTube.