Il recente romanzo di Carofiglio presenta una pluralità di livelli di lettura. Innanzitutto lo si apprezza come romanzo giallo-poliziesco, con alcuni risvolti tipici del noir. Il protagonista, il maresciallo Fenoglio, è un detective abile e deciso ma anche limpido e onesto, a tratti enigmatico e di commovente dignità. La storia investigativa è ben costruita e intrigante, ricca di colpi di scena che avvincono l’attenzione di chi legge.
L’intenzione comunicativa dell’autore, però, non è solo quella di intrattenere il lettore scatenando emozioni, ma quella di indurlo a riflettere su aspetti paurosi e inquietanti della natura umana, a valutare il confine tra il bene e il male, tra la giustizia e la criminalità.
Anche in questo romanzo, come nei precedenti dello scrittore barese, traspare la sua esperienza di magistrato: in particolare il linguaggio tecnico adottato per verbalizzare la deposizione del principale imputato si inserisce nella trama con naturalezza, rendendo asciutto ma avvincente il resoconto dei fatti.
Significativo è pure il contesto in cui il romanzo è ambientato: l’autore coglie l’occasione di ricordare tragici avvenimenti del passato, che riguardano la lotta alla mafia e che mai andrebbero dimenticati.
La storia
La situazione iniziale
La storia è ambientata a Bari, nell’ estate del 1992, tristemente famosa per gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, menzionati e ricordati nel corso della storia.
Nella città pugliese, arroventata dal clima estivo, presta servizio il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, piemontese trapiantato al sud, poliziotto integerrimo dall’animo sensibile. Il maresciallo deve fronteggiare, oltre ai consueti problemi di ordine pubblico, anche gli scontri tra bande mafiose in lotta per il predominio sul traffico di droga. Assassini, vendette, episodi di lupara bianca si succedono con particolare accanimento all’interno del gruppo mafioso che fa capo a Nicola Grimaldi, il tutto nell’apparente indifferenza degli abitanti, omertosi di fronte alle nefandezze compiute.
Fenoglio sa che questa escalation criminale deve essere fermata, e si impegna personalmente con i suoi uomini, tra cui l’appuntato Pellecchia, per vigilare su fatti e persone.
L’esordio
Mentre il commissario indaga, accade un fatto sconcertante: il figlio adolescente di Grimaldi viene rapito e, nonostante il pagamento di un riscatto milionario, il cadavere del piccolo viene ritrovato in fondo a un pozzo. L’indignazione per un tale delitto coinvolge e accomuna tutti, onesti cittadini e delinquenti abituali, e più di tutti il maresciallo: “Fenoglio aveva visto tanti morti. Se fai certi lavori è inevitabile. Ti abitui, ovvio. Ti devi abituare, per una questione di sopravvivenza. È quello che direbbe qualunque investigatore. Ma qualunque investigatore, anche il più indurito, ti direbbe che, però, c’è una cosa cui non ti abitui mai. La morte violenta dei bambini”.
Il senso della giustizia pretende la giusta ed esemplare punizione di chi si è macchiato di un simile delitto.
Le peripezie
Le indagini conducono rapidamente all’identificazione del responsabile: apparentemente si tratta di Vito Lopez, detto il Macellaio, un boss emergente, dapprima braccio destro ed in seguito rivale del capomafia Grimaldi, padre del piccolo. Lopez, che sa di essere braccato sia dalla polizia sia da Grimaldi, decide di diventare collaboratore di giustizia e, in un lungo e dettagliato interrogatorio, confessa al maresciallo Fenoglio e alla dottoressa D’Angelo, giovane e solerte pubblico ministero, una serie di delitti che guidano le forze dell’ordine ad arrestare una rete di malviventi, Grimaldi compreso. Vengono così scoperti i segreti delle “affiliazioni” della delinquenza locale, le diramazioni della malavita pugliese, i collegamenti con la mafia calabrese.
Senonché Lopez, pur autoaccusandosi di reati gravissimi, respinge in maniera assoluta, quasi moralmente sdegnato, l’accusa del rapimento e dell’assassinio del piccolo innocente. Fenoglio gli crede, e dà inizio ad un’indagine serrata, consapevole che questa porterà ad un esito insospettato.
La Spannung
La verità ha un sapore amaro: con un colpo di scena si apprende che nel rapimento del piccolo Grimaldi sono implicati due carabinieri, Ruotolo e Savicchio. Fenoglio e Pellecchia inducono il primo a confessare le proprie responsabilità, quindi decidono di trovare i riscontri alle dichiarazioni di Ruotolo, per utilizzarle nei confronti di Savicchio, uomo ben più subdolo e pericoloso.
La conclusione
Fenoglio e la dottoressa D’Angelo effettuano una perquisizione in casa del maresciallo Savicchio, certi di trovarvi nascosta l’ingente somma di denaro ricavata dal rapimento del piccolo Grimaldi. La perquisizione è lunga e accurata ma infruttuosa; dopo aver messo sottosopra la casa, i carabinieri stanno per rinunciare all’impresa. È Pellecchia ad avere l’intuizione risolutiva: un manifesto appeso alla parete richiama la sua attenzione. L’appuntato stacca il manifesto e comincia a battere le nocche sul muro che restituisce un rumore di cavità. Pochi colpi di piccone sbriciolano il pannello di cartongesso, mostrando un piccolo vano all’interno del quale sono nascosti denaro, pistole e brillanti. Savicchio è incastrato.
Il finale non dice se l’ormai ex-maresciallo sarà condannato per sequestro di persona, ma di sicuro – come scrive Fenoglio – “starà dentro per detenzione di armi clandestine, tra l’altro nascoste nel muro in quel modo, da criminale, da latitante. Solo per questo non prende meno di sei o sette anni. Poi ci sono i soldi e le pietre preziose, che non potrà giustificare in nessun modo. Mettiamola così: intanto siamo sicuri che per un bel po’ starà in carcere e che certamente verrà cacciato dall’Arma. Per il resto abbiamo modo di lavorare con calma”.
Una pista di lettura per gli alunni
Come sempre, forniamo agli alunni una scheda di analisi, in modo che essi colgano alcuni aspetti salienti, certe tecniche narrative e i temi sui quali intendiamo discutere a lettura conclusa.