Leggere romanzi di altre parti del mondo

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In un mondo globalizzato è importante conoscere le storie degli altri: Il ragazzo giusto di Vikram Seth e Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy.

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I romanzi ci stimolano a costruire mondi immaginari. Il lettore dei Tre moschettieri, o di Anna Karenina, o di Sandokan riempie i buchi e interpreta la traccia che il racconto offre alla sua immaginazione, usando le sue conoscenze e i suoi interessi. In cambio, il racconto gli fornisce informazioni e illuminazioni su mondi lontani nel tempo o nello spazio, o futuribili, o dichiaratamente fantastici come quelli del fantasy. Dal momento in cui siamo sempre più profondamente immersi in un mondo globale, che ci sorprende e ci disorienta, una guida può venire dai romanzi che raccontano di altri Paesi.
In realtà non è proprio vero che si tratti di “altri” mondi: esistono sempre una serie di traduzioni per cui l’“altro” non sta (solo) dall’altra parte dello steccato, ma è già qui, dalla mia parte. Nel leggere questi romanzi è bene evitare di usare le lenti dell’esotismo, che esalta le differenze come “tipiche” di Paesi primitivi, del pietismo, che enfatizza le condizioni di bisogno di popolazioni lontane, e dell’aperta denigrazione (che presenta gli “altri” come moralmente inferiori). Se rinchiudo l’altro in uno steccato da cui io rimango fuori, perdo l’occasione per immaginare le differenze come parte del mio mondo.
Consideriamo molto brevemente due romanzi che offrono degli spunti di conoscenza e di comprensione empatica sul subcontinente indiano, un crocevia di lingue e di tradizioni.

1951, Brahmpur: una ragazza indù cerca marito

Ilragazzo giusto di Vikram Seth, del 1993, è un romanzo di dimensioni monstre che ebbe grande successo in tutto il mondo. L’ambiente è Brahmpur, immaginaria città del nord del paese, nel 1951, un momento in cui la memoria viva delle lotta per l’indipendenza ottenuta nel 1947 si scontra con la sanguinosa eredità della partition, la divisione del territorio tra India e Pakistan, e con la delusione per la corruzione dilagante. Il ministro delle finanze risponde a un maestro, che accusa i politici di aver tradito gli ideali di chi aveva combattuto per l’indipendenza, che la politica è come il commercio del carbone: tutti quelli che ci hanno a che fare non possono fare a meno di sporcarsi le mani.

Il filo conduttore del romanzo è la ricerca del “ragazzo giusto” per Lata, diciannovenne studentessa, che coinvolge quattro famiglie di alto rango, una musulmana e tre indù. Tre ragazzi interessano Lada: Kabir, fascinoso studente musulmano, Haresch, imprenditore di livello sociale inferiore, e Amit, sensibile poeta di ottima famiglia. È Lata a decidere, ma la sua mamma vedova, Rupa Mehra, interviene pesantemente nella scelta: il romanzo esplora i limiti che il desiderio di autonomia della ragazza incontra nella tradizione vigente dei matrimoni combinati. Nella sua esplorazione, Lata si imbatte in uno dei maggiori problemi dell’India, il conflitto tra indù e musulmani, riacutizzato dalle recenti vicende della partition. Il ragazzo di cui si innamora è infatti impossibile per lei perché musulmano. Per Rupa Mehra il matrimonio della figlia con un musulmano è semplicemente «inconcepibile: un conto era mescolarsi ai musulmani in società, ma contaminare il proprio sangue e sacrificare la propria figlia era tutto un altro discorso».

“Vuoi sposarlo?” gridò Rupa Mehra infuriata.
“Sì”, rispose Lata, lasciandosi trascinare dall’ira, e andando sempre più in collera ogni secondo che passava.
“Ti sposerà, e fra un anno dirà ‘Talaq talaq talaq’ e ti ritroverai per la strada. Stupida ragazza ostinata! Dovresti annegarti in un bicchiere d’acqua per la vergogna”.
“Lo sposerò”, ribattè Lata, senza tentennamenti.
“Ti terrò sotto chiave, come quando volevi farti monaca”.
“Vorrei essermi fatta suora»” disse Lata, “Ricordo che papà ci diceva sempre di seguire il nostro cuore”.
“Rispondi ancora?”, esclamò Rupa Mehra, infuriata dall’accenno al papà. “Ti darò due ceffoni”.
Schiaffeggiò la figlia con forza, due volte, e subito dopo scoppiò in lacrime.

1997, Kottayam: amare un intoccabile

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Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy, del 1997, ci porta all’altro capo dell’India, nel Kerala, lo Stato meridionale affacciato sull’oceano indiano, nel 1969. L’unico Stato che ospita una consistente minoranza cristiana, l’unico che ebbe dall’indipendenza fino ad oggi un governo marxista, lo Stato che vanta il più alto livello di alfabetizzazione di tutta l’India, sorprendentemente uguale per uomini e donne. In questo primo romanzo, che vinse il prestigioso Booker Prize, l’autrice non scrive nell’elegante inglese-inglese di Vikram Seth ma mescola espressioni in malayalam (la lingua locale) con un curioso inglese filtrato dal linguaggio infantile dei narratori della storia, due gemelli di sette anni.
Mentre Il ragazzo giusto era permeato dell’educazione britannica di bramini che avevano studiato a Cambridge, come Nehru, avevano lottato con Gandhi e si erano trovati alla guida del Paese nei primi difficilissimi anni, i personaggi del Dio delle piccole cose si muovono in un ambiente dominato dal comunismo in versione locale, dai riti della Chiesa cristiana siriano-ortodossa del Kerala (diversa dalla Chiesa cattolica) e soprattutto dal sistema delle caste da cui nasce la tragedia che costituisce il cuore del romanzo. Velutha, l’uomo amato dalla madre dei gemelli, Ammu, separata dal marito, è un comunista e un Paravan, un dalit, un intoccabile. Ecco cosa significa essere un intoccabile:

Pappachi [il nonno dei gemelli] non permetteva che i Paravan entrassero in casa. Nessuno lo faceva. Non potevano toccare niente che venisse toccato dai Toccabili. Caste indù e caste cristiane. Mammachi [la nonna] diceva che si ricordava di un tempo, quando era ragazza, in cui si pretendeva che i Paravan camminassero all’indietro con uno scopino, spazzando le proprie impronte così che i bramini e i cristiano-ortodossi non si contaminassero passando accidentalmente su un’impronta di Paravan. Ai tempi di Mammachi i Paravan, come gli altri Intoccabili, non potevano camminare sulle strade pubbliche, non potevano coprirsi la parte superiore del corpo, non potevano portare l’ombrello. Dovevano mettersi le mani davanti alla bocca quando parlavano, perché il loro fiato non contaminasse coloro cui si rivolgevano. Quando gli inglesi arrivarono nel Malabar un certo numero di Paravan… si convertirono al cristianesimo e si unirono alla Chiesa anglicana per sfuggire al flagello dell’intoccabilità. Non gli ci volle molto per capire che erano caduti dalla padella nella brace: furono costretti a frequentare Chiese separate, con riti separati e preti separati. Come favore speciale ebbero perfino un loro vescovo paria.

Velutha non è “il ragazzo giusto” per Ammu. Al contrario. E lei è per Velutha un pericolo mortale. Al “dio delle piccole cose” a cui affidano la loro fragile felicità i due amanti chiedono solo di potersi vedere naaley, domani, perché «le cose possono cambiare in un giorno», e infatti all’improvviso precipiteranno nella tragedia, quando l’amore proibito viene scoperto. Nella prima delle poche notti che i due amanti passano insieme «Ammu si svegliò al rumore del cuore di lui che batteva contro il petto. Come se stesse cercando un modo per uscire. Una costola mobile. Un pannello segreto. Le sue braccia la circondavano ancora, sentiva i suoi muscoli muoversi mentre le mani giocherellavano con un ramo secco di palma. Ammu sorrise tra sé nel buio, pensando a quanto amava le sue braccia, la loro forma e la loro forza, e a quanto si sentisse al sicuro nella loro stretta, mentre invece era il posto più pericoloso in cui potesse trovarsi».

Il rispetto per l’altro: un buon investimento

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Chi leggesse questi due romanzi non potrebbe più tenere dentro di sé un’immagine stereotipata dell’India come di un mondo omogeneo. Se dopo aver letto questi due romanzi il lettore incontrasse un indiano, si chiederebbe subito a quel di questi due mondi appartiene. Inizierebbe a sospettare che di mondi in India ce ne siano forse anche più di due. Incomincerebbe a cercare altri romanzi, per conoscere altri ambienti, altre storie, altri periodi di tempo; e naturalmente troverebbe un mare di racconti. Diventerebbe curioso. Attento alle differenze. Rispettoso delle differenze. E l’“altro” si accorgerebbe subito di questo nuovo, insolito atteggiamento. Si sentirebbe trattato come una persona con una storia degna di attenzione e di rispetto, non come un vuoto.
L’insegnante che avesse la fortuna di sviluppare una passione per i romanzi e le storie delle altre parti del mondo sarebbe in grado di introdurre con maggior competenza i suoi alunni in un mondo che è sempre più globale e che conosciamo troppo poco. E gli alunni, e le loro famiglie, gliene sarebbero grati. La stima per la propria figura l’insegnante se la deve guadagnare, ora più che mai.

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Giuseppe Mantovani

Ha insegnato psicologia sociale all’università di Milano e poi in quella di Padova. Ha fatto ricerche e interventi sulle nuove tecnologie, le differenze culturali, l’educazione interculturale. Sull’educazione interculturale ha pubblicato L’elefante invisibile (Giunti, 1998), Intercultura (Il Mulino, 2004), Spezzando ogni cuore (2012). Per seguire il suo lavoro di ricerca si rinvia al sito: www.spezzandoognicuore.it.

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