Mi corre l’obbligo, per prima cosa, di ringraziare i due studiosi che si sono prestati a rispondere alle mie domande, inviate via mail a seguito di altri confronti. Sono studiosi caratterizzati da differenti approcci allo stesso tema/problema conoscitivo. Infatti Lucia Lumbelli rappresenta, in Italia, l’attenzione particolare ai pre-requisiti cognitivi che rendono la lettura possibile e piacevole per un soggetto; i suoi lavori sottolineano la necessità di approcci educativi non direttivi, nei processi di istruzione, al fine di non perpetuare l’ereditarietà di svantaggi culturali che rendono l’esperienza personale della lettura poco attingibile. Simone Giusti rappresenta un particolare orientamento degli italianisti, per il quale l’approccio al testo, fonte di esperienza mediata, repertorio di significati da attribuire alla propria esperienza, deposito di emozioni e di senso da attribuire a ciò che c’accade e ciò che facciamo, comporta, in ogni segmento formativo, la necessità di insegnare con la letteratura anziché di insegnare la letteratura (e più in generale, in una didattica centrata sui soggetti e i loro apprendimenti, insegnare attraverso l’uso delle discipline e non insegnare le discipline).
Che valore attribuisci, oggi, alla lettura?
Lucia Lumbelli: «Ci sono molteplici ragioni per attribuire valore alla lettura. Sono ragioni ripetutamente ribadite: dalla lettura come risorsa del tempo libero e garanzia di qualità della vita, alla lettura come condizione imprescindibile di cittadinanza informata, e quindi sottratta ai rischi della manipolazione e della disinformazione di cui si tende a ritenere responsabile soprattutto la comunicazione televisiva.
Quanto alla mia ricerca, con una drastica sintesi posso dire che il risultato principale è la segnalazione della complessità cognitiva della comprensione della lettura: capire non è soltanto decodificare quanto è espresso linguisticamente nel testo ma anche integrarlo e connetterlo con veri e propri ragionamenti. Ragionamenti che possono essere così semplici da sfuggire all’attenzione degli analisti, ma anche così difficili da rendere molto probabili rilevanti quanto ignorate incomprensioni. A questo risultato sono arrivata sia studiando un settore poco noto della psicolinguistica sia osservando lettori in difficoltà mentre pensavano ad alta voce leggendo. È una scoperta che, lungi dallo sminuire, rafforza le ragioni dell’urgenza di un impegno a favore della lettura, sia come risorsa esistenziale “privata” sia come strumento fondamentale per la partecipazione attiva e responsabile alla vita civile e produttiva. È un riconoscimento del valore della lettura che si combina con la constatazione del peso delle diseguaglianze sociali sulla possibilità di fruire di quella risorsa e di quello strumento. Concludendo, difendere il valore della lettura significa per me impegnarsi nella costruzione di progetti educativi che si fondino contemporaneamente sulla consapevolezza sia di quel peso sia della complessità cognitiva della comprensione della lettura».
Simone Giusti: «Per la mia attività, è ovvio, la lettura è tutto. Nella ricerca letteraria, che conduco soprattutto attraverso la rivista “Per leggere – I generi della lettura” ma anche attraverso la produzione di testi scolastici, la lettura è allo stesso tempo un processo e un prodotto: il processo conoscitivo che conduce il lettore esperto (lo studioso di letteratura) all’elaborazione di un prodotto (che può essere un commento, un’edizione critica, una lectio o un apparato didattico) che deve servire agli altri lettori a intraprendere un ulteriore processo di lettura.
Ultimamente, inoltre, mi trovo spesso a riflettere sul ruolo che ha avuto la lettura nella mia vita personale e professionale. Penso che il metodo di lettura che ho imparato dal mio maestro Domenico De Robertis e dal gruppo di lettori composto dai suoi allievi degli anni Novanta abbia fornito le fondamenta a tutte le competenze professionali che ho successivamente sviluppato anche in ambiti apparentemente lontani dalla letteratura. Inoltre, penso che l’incontro, anche casuale, con alcuni testi abbia orientato la mia vita al di là di ogni mia previsione. E adesso mi piace osservare, a ritroso, le tracce lasciate da quegli incontri».
Quale valore dà oggi alla lettura la maggior parte della popolazione?
Lucia Lumbelli: «Mi chiedo anzitutto: qual è la “maggior parte della popolazione”? E penso che forse sarebbe meglio domandarsi quali siano le categorie della nostra popolazione che hanno familiarità con la lettura, che vi riconoscono sia una risorsa esistenziale sia uno strumento di cittadinanza attiva, e quali siano invece le categorie che non le attribuiscono valore e non hanno familiarità con la sua pratica.
Ancora una volta non posso non rispondere rivendicando l’urgenza di fare parti più uguali tra la popolazione grazie a un investimento nella scuola che la renda efficace nel creare nella mente degli allievi più svantaggiati le premesse cognitive indispensabili per leggere con facilità, e anche per divertirsi leggendo. Le testimonianze di apprezzamento della lettura anche da parte di coloro che probabilmente appartengono a quei settori della popolazione che tendono a non darle valore sono secondo me altrettante dimostrazioni dell’urgenza che la scuola fornisca a tutti (e non solo ad alcune persone eccezionalmente dotate di motivazione in questo senso) le premesse cognitive indispensabili della lettura come esperienza di arricchimento esistenziale».
Simone Giusti: «Mi pare che la lettura sia considerata qualcosa di prestigioso (c’è ancora il pregiudizio per cui un lettore è considerato un intellettuale o comunque una persona colta) ma non davvero basilare per la gestione della vita quotidiana e, in definitiva, dell’esistenza stessa.
Ho l’impressione (non supportata da prove scientifiche) di vivere in un mondo che ritiene la lettura un fatto socialmente importante e utile per cavarsela nelle varie circostanze della vita, dal fare un check-in in aeroporto al leggere un contratto di lavoro. Tuttavia, ritengo sia sottovaluto l’impatto che la lettura può avere nella costruzione della vita di ciascuno».
Quale valore specifico ha la lettura ad alta voce?
Lucia Lumbelli: «Anche qui sento il bisogno di distinguere in base all’appartenenza socioculturale e di riferirmi anzitutto alle persone per le quali la decifrazione dello scritto può essere un problema, e un problema così rilevante da sottrarre spazio, nella memoria di lavoro, all’esecuzione di quei ragionamenti che fanno parte integrante del processo di comprensione. Mi riferisco anzitutto cioè a chi ha ereditato socialmente questa problematicità. Nel lavoro che ho condotto con insegnanti impegnati nella mia stessa direzione, i ragazzi venivano invitati a seguire il testo fruendo nello stesso tempo della nostra lettura ad alta voce. In quel caso, la lettura ad alta voce era un modo per liberare la loro memoria di lavoro dall’impegno nella decifrazione, permettendo alle loro menti di impegnarsi nei ragionamenti destinati a integrare e connettere le frasi del testo. Penso che questa funzione della lettura ad alta voce possa essere estesa a situazioni che non siano di didattica scolastica e che abbiano lo scopo di far vivere una esperienza di lettura il più possibile gratificante a chi non abbia le premesse cognitive per essere un lettore abituale. Diverso è il discorso a proposito di chi ha avuto l’opportunità di diventare un lettore esperto, e cioè possiede le premesse cognitive perché la lettura non sia una prestazione problematica. In questo caso mi sembra degno di nota l’aspetto d’interpretazione che chi legge ad alta voce associa alla lettura con le proprie scelte espressive. Il rapporto con il testo è mediato e la lettura può perdere quei caratteri di libertà e privatezza in cui vengono individuati i suoi vantaggi.
Se d’altra parte le scelte espressive del lettore che parla fossero in sintonia con il lettore che ascolta, all’esperienza di lettura si assocerebbe un’ulteriore fonte di gratificazione. In proposito mi sembrerebbe utile un’analisi di questa forma di lettura che la mettesse a confronto con l’esperienza del teatro come lettura di testi ad alta voce per eccellenza».
Simone Giusti: «Credo di aver sviluppato negli anni un vero e proprio culto per la lettura ad alta voce, intesa sia come attività solitaria, da svolgere per sé, sia come attività sociale, come ascoltatori o lettori. È innanzitutto un modo efficace per appropriarsi del testo, anche prima di averlo capito fino in fondo. Come accade con le canzoni, che si fanno risuonare con la voce anche quando non si capisce il significato del testo: ne prendiamo possesso, poi, un giorno, le comprenderemo appieno.
Leggere ad alta voce le poesie, per esempio, è uno straordinario allenamento della voce che cerca di imparare di nuovo a parlare, come fosse la prima volta, attraverso le parole di qualcun altro, che ci presta le sue per rendere la nostra voce più bella e interessante. Per questo non importa la qualità della lettura. Importa mettere in funzione la voce, agire con la propria voce sulla poesia, dare fiato ai polmoni, far vibrare le corde vocali. Rendere il testo vivo, facendolo passare attraverso il nostro corpo. Come fatto sociale, la lettura ad alta voce è uno straordinario strumento per costruire legami di fiducia. È alle fondamenta di ogni educazione alla lettura».
Quali sono le difficoltà, a proposito della lettura, che possono riscontrare le persone in generale?
Lucia Lumbelli: «Anche qui eviterei di parlare di persone in generale, sempre per le ragioni dell’incidenza della provenienza sociale sull’incontro con la lettura. Le difficoltà che contribuiscono alla demotivazione verso la lettura e alla preferenza per altri mezzi di comunicazione come la televisione, si possono toccare con mano non appena si cerchi di capire ciò che avviene nella mente del lettore non esperto. Sono difficoltà che non si limitano a quelle generalmente denunciate e debitamente affrontate quali la povertà lessicale o l’ignoranza della sintassi. Ripeto che si tratta di un tipo di difficoltà cognitiva che interessa processi che vengono eseguiti in modo automatico, non consapevole, e che pertanto danno luogo a lacune e distorsioni difficilmente avvertite sia dai lettori inesperti sia da insegnanti e analisti di testi. Il carattere automatico e sotterraneo di tali processi cognitivi permette di distinguerli nettamente dalla cognizione come processo interpretativo del lettore, quella con cui egli fa interagire il contenuto ricavato dal testo (prodotto di processi inconsapevoli) con le proprie esperienze extra- ed intertestuali, ricavandone quello che per lui sarà il senso del testo. A questo secondo livello le difficoltà possono derivare dai limiti di conoscenze culturali e di letture pregresse, ma si tratta di difficoltà suscettibili d’elaborazione consapevole e quindi molto più facilmente gestibili nelle interazioni tra lettori più o meno esperti, a partire da quelle che si svolgono nelle classi scolastiche».
Simone Giusti: «La difficoltà principale è collegata all’eccesso di informazioni e alla scarsa capacità di orientarsi. Non è facile individuare testi adeguati alle proprie esigenze e competenze se non si è lettori esperti. Occorre avere una guida, un mentore”».
Che cosa si guadagna leggendo?
Lucia Lumbelli: «In generale penso di aver già risposto a questa domanda a proposito della prima. Aggiungo qui un riferimento a quella che viene comunemente considerata come una specificità del mezzo, riformulando la domanda: c’è un guadagno specifico nel cercare le informazioni nella lettura di giornali piuttosto che nella televisione? C’è un guadagno specifico nel leggere un romanzo piuttosto che vedere un film, sia pure ricavato da quello stesso romanzo? Concisamente: penso siano in questione cose come la qualità dell’attenzione, e quindi anche dell’elaborazione dell’informazione, nel primo caso, e la concentrazione e la libertà del tempo di elaborazione nel secondo caso. È una risposta che è stata confortata da mie ricerche sperimentali con adulti e con allievi di scuola media superiore in cui ho confrontato la comprensione di testi scritti con quella di testi filmici e televisivi, mantenendo sempre invariato il contenuto dei testi da un lato e il livello di abilità di comprensione della lettura dall’altro.
Le persone che hanno operato come lettori, invece che come spettatori, hanno sempre dimostrato una comprensione del testo che era significativamente migliore che nel caso degli spettatori. Non ne ho mai tratto demonizzazioni di cinema e televisione, che viceversa ritengo possano essere efficacemente utilizzati per la loro attrattività e quindi proprio per quella facilità di incatenare l’attenzione dello spettatore che sembra avere come contropartita la debolezza dell’elaborazione. La specificità del mezzo, sia esso la lettura o la televisione, va riconosciuta come dato di fatto con cui fare i conti nella progettazione educativa, senza ricavarne conclusioni affrettate, come quando si considera la lettura di per sé come un valore, indipendentemente dal valore del contenuto del testo. Infatti, se è vero che la lettura ha il vantaggio di comportare una maggiore concentrazione rispetto ad altre forme di comunicazione, non è vero che il valore dell’esperienza di lettura sia completamente indipendente dalla qualità del testo letto».
Simone Giusti: Si mettono da parte risorse che utilizzeremo per dare un senso alla nostra vita, per orientarci nel mare delle informazioni e degli accadimenti. Attraverso la lettura acquisiamo storie. E la cosa straordinaria è che (a differenza delle epoche basate sulla narrazione orale) possiamo scegliere quali storie acquisire, modificando l’ambiente intorno a noi. Non siamo costretti a stare nel nostro gruppo familiare, nella comunità di origine. Possiamo scegliere altre comunità (Jedlowski ha parlato di comunità di pratiche narrative), cambiare cultura e, allo stesso tempo, avere strumenti utili a gestire i cambiamenti cui siamo sottoposti. Non mi pare poco».
Come si può facilitare un approccio alla lettura?
Lucia Lumbelli: «Ecco un’estrema sintesi delle linee operative dell’approccio alla stimolazione intensiva della comprensione della lettura che ho sperimentato con allievi degli ultimi anni della scuola dell’obbligo, per incidere almeno minimamente nell’eredità culturale con cui gli allievi socialmente svantaggiati sarebbero usciti dalla scuola.
Primo, ci vuole una rottura con la consueta condizione scolastica di passività e tendenza all’autoemarginazione, e quindi si tratta di istituire un contesto educativo totalmente centrato sull’allievo lettore. Il suo compito è leggere i brani successivi di un racconto e dire tutto quello che ha capito di ciascuno di essi, parlando liberamente e quindi presentando anche dubbi, incertezze e altre impressioni. Già in questa fase l’iniziativa del lettore è incoraggiata evitando domande, inviti e giudizi, che invece scoraggerebbero gli sprazzi d’elaborazione attiva e personale. Devo a Carl Rogers la soluzione del problema educativo di stimolare senza interferire con la libera lettura dell’allievo: è un atto comunicativo che consiste nell’attestare sistematicamente la propria attenzione e sforzo di comprensione, incoraggiando così l’allievo nella sua elaborazione autonoma.
Anche nella seconda fase dell’intervento si fa un uso sistematico di questo atto comunicativo, mentre il compito dell’allievo diventa (ovviamente nel caso di incomprensione accertata nella prima fase) quello di riesplorare il testo per trovarvi la base per l’autocorrezione. Solo se l’allievo non vi arriva autonomamente è prevista la soluzione del problema di comprensione da parte dell’insegnante. L’esigenza di fornire strumenti cognitivi viene così soddisfatta insieme all’istanza educativa di incoraggiare la concentrazione e motivazione del lettore».
Simone Giusti: «Fondamentale è un’azione di accompagnamento che possiamo paragonare al cosiddetto mentoring. Adulti che leggono ai bambini e che, soprattutto, si mostrano mentre leggono ai bambini, dimostrando piacere se non entusiasmo per quello che leggono. Non vi è niente di peggio che dire a un bambino di leggere mentre si è seduti davanti alla televisione».