Le storie siamo noi… dieci anni dopo

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“Voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che non avete sentito mai”. Il 6 e 7 ottobre, appuntamento a Follonica.

Il 6 e 7 ottobre a Follonica, lungo la costa della Toscana meridionale, si terrà la sesta edizione del convegno “Le storie siamo noi”. Si anticipa di seguito la pubblicazione dell’introduzione di Federico Batini e di Simone Giusti al libro “Empowerment delle persone e delle comunità. Quaderno di lavoro del 6° convegno biennale sull’orientamento narrativo” (Pensa Multimedia editore).Quando abbiamo iniziato la costruzione di questa comunità di pratiche, che si raccoglie sotto il nome “Le storie siamo noi”, disponevamo di molte idee da sviluppare, dei risultati di alcune ricerche e di una rete di persone che principalmente ruotavano intorno alle associazioni Pratika di Arezzo e L’Altra Città di Grosseto, ma anche all’ufficio istruzione della Provincia e all’ufficio scolastico provinciale di Grosseto e alla sua rete di scuole.

L’idea che ci teneva insieme abbiamo cercato di rappresentarla con una frase che ci accompagna fin da allora, ripresa da un libro di Daniel Taylor, Le storie ci prendono per mano, tradotto da Maura Pizzorno nel 1999 (il titolo originale è The Healing Power of Stories,1996):

Voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che non avete sentito mai. Hanno modellato la vostra visione di voi stessi, del mondo e del posto che in esso occupate.

Entrambi laureati in lettere, poeti, e poi, attraverso percorsi diversi, formatori, orientatori , ricercatori e insegnanti, abbiamo condiviso da subito l’idea che le persone per assumere un maggiore controllo sulla loro vita potessero e dovessero aumentare le proprie competenze narrative attraverso un costante esercizio di ascolto, di lettura, di narrazione scritta, orale, visiva e audiovisiva. 

Avevamo alcuni riferimenti comuni, dei modelli che consideravamo ineludibili: i libri di Jerome Bruner, di George Lakoff e di Oliver Sacks, innanzitutto, che più di altri hanno contribuito a dare stimoli per nuove ricerche e a mettere ordine in alcune idee che erano frutto di sensazioni che durante gli studi letterari – e quindi anche narratologici – non riuscivamo ancora a focalizzare. Abbiamo capito e scelto di considerare la letteratura come qualcosa di cui fruire per vivere meglio, come una risorsa – un’enorme riserva di narrazioni – a cui attingere per dare un senso alla vita, accettando l’instabilità di un simile percorso, che a ogni nuova storia mette sempre in pericolo le certezze acquisite.
Quando Tzvetan Todorov, nel 2007, anno del nostro primo convegno, ha dato alle stampe il suo La littérature en peril (tradotto nel 2008 da Garzanti col titolo La letteratura in pericolo), abbiamo capito di essere in buona compagnia.

La letteratura ha un ruolo vitale da giocare, ma può ricoprirlo solo se viene presa nell’accezione ampia e pregnante che è prevalsa in Europa fino alla fine del XIX secolo e che oggi è stata messa da parte, mentre sta trionfando una concezione assurdamente ristretta. Il lettore comune, continuando a cercare nelle opere che legge come dare un senso alla propria vita, ha ragione rispetto a insegnanti, critici e scrittori quando gli dicono che la letteratura parla solo di sé, o che insegna solo a disperare. Se non avesse ragione, la lettura sarebbe condannata a scomparire nel giro di breve tempo. 

Come la filosofia e le scienze umane, la letteratura è pensiero e conoscenza del mondo psichico e sociale in cui viviamo. La realtà che la letteratura vuole conoscere è semplicemente (ma, al tempo stesso, non vi è nulla di più complesso) l’esperienza umana.

Per noi e per le persone con cui lavoravamo era fondamentale riuscire a trasferire in ambito educativo e professionale – soprattutto nel lavoro sociale e socio-sanitario, pedagogico e orientativo – l’idea che attraverso la letteratura e le sue attività (lettura e scrittura), grazie alle potenzialità del pensiero narrativo, fosse possibile facilitare l’empowerment delle persone e delle comunità (questo fu anche il titolo della collana che fondammo in quegli anni per la casa editrice Erickson di Trento). 

Uno di noi, Federico Batini, aveva già dato forma a una teoria dell’orientamento – l’orientamento narrativo appunto – in due libri scritti insieme a Renato Zaccaria, Per un orientamento narrativo (Franco Angeli 2000) e Foto dal futuro (Zona 2002), e in un libro scritto insieme a Gabriel Del Sarto, Narrazioni di narrazioni (Erickson 2005), che nei primi anni di lavoro insieme hanno rappresentato il principale punto di riferimento per progettisti e operatori di percorsi di orientamento con approccio narrativo.
In estrema sintesi, si trattava di una metodologia di orientamento formativo che si collocava nell’ambito dei metodi qualitativi, non direttivi, centrati sull’utente. Il suo scopo dichiarato era – ed è ancora – l’empowerment delle persone, ovvero lo sviluppo della loro capacità di individuare i propri obiettivi e di reperire le risorse per raggiungerli, di ridare senso al proprio percorso di poterlo ri-scrivere e ri-leggere continuamente. Si trattava di aumentare il controllo e la percezione di controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte da parte delle persone coinvolte in un processo di fruizione e produzione di testi narrativi di vario tipo: racconti scritti e orali, storyboard, collage, sequenze di immagini, disegni, multimedia.

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In un continuo scambio tra prassi e teoria, tra studio delle discipline che potevano fornire elementi utili al nostro ragionamento – principalmente l’antropologia, la sociologia della vita quotidiana, la pedagogia sperimentale, la psicologia cognitiva e la psicologia culturale – abbiamo individuato e coinvolto in varia misura alcuni studiosi italiani che abbiamo in qualche modo scelto come maestri (a volte anche a loro insaputa): Brunetto Salvarani e Renato Zaccaria, che già avevano collaborato alle prime riflessioni sull’orientamento narrativo, Duccio Demetrio, Giuseppe Mantovani, Paolo Jedlowski, Andrea Smorti, Remo Ceserani, Davide Sparti, Anna Grimaldi.
Alcuni di loro hanno poi partecipato a singole edizioni del convegno, altri sono rimasti con noi dando vita al comitato scientifico, altri ancora se ne sono aggiunti nel corso degli anni, contribuendo a dare fiducia, con la loro autorevolezza scientifica, a tanti insegnanti, educatori e operatori “narrativi”.

Nel 2008, in seguito al primo convegno, facendo tesoro delle ricerche svolte e dei percorsi sperimentati, abbiamo scritto il nostro primo manuale specificamente dedicato a questa metodologia: L’orientamento narrativo a scuola. Lavorare sulle competenze per l’orientamento dalla scuola dell’infanzia all’educazione degli adulti (Erickson), seguito da un primo volume teorico intitolato proprio Le storie siamo noi. Gestire le scelte e costruire la propria vita con le narrazioni (Liguori 2009). Così iniziava l’Introduzione:

Le storie siamo noi è un titolo suggestivo, aperto a molteplici interpretazioni. Può fare riferimento alla possibilità del soggetto di costituirsi come storia: siamo disposti lungo un tempo, siamo differenti, soprattutto per la diversità delle nostre esperienze e per i significati che a quelle esperienze attribuiamo. Oppure, al trovarsi, ritrovarsi dentro alle storie altrui, quelle dei libri, quelle proposte dalle molteplici agenzie narrative, quelle che incrociamo ogni giorno durante le conversazioni quotidiane. Inoltre, ci piace pensare che il titolo contenga un elemento sociale e socievole, relazionale, interpersonale: le relazioni tra persone, culture, all’interno delle comunità e tra comunità creano storie e contribuiscono alla costruzione di una storia (e dalle storie prodotte e scambiate sono create e costruite).

Durante questo primo biennio di attività hanno preso forma e si sono consolidate alcune consuetudini che hanno dato forma al convegno così come oggi è concepito. Intanto, noi due – a volte nostro malgrado – siamo divenuti il punto di riferimento dell’organizzazione. A noi tocca il compito di tenere l’agenda, di gestire le relazioni e di trovare di volta in volta sedi e finanziamenti necessari a far funzionare l’iniziativa.
Inoltre, alle associazioni Pratika e L’Altra Città – visto che Le storie siamo noi è rimasto solo un marchio, un’idea guida – spetta l’onere di gestire le risorse (a volte, è capitato, con il supporto di istituzioni scolastiche), le attività di segreteria e di comunicazione. L’Associazione Insegnanti Solidarietà Educativa (AISE) di Grosseto, poi, è divenuta il perno delle attività di accoglienza, mentre l’associazione Nausika e la sua Scuola di Narrazioni forniscono un supporto alle attività di comunicazione.

Anche l’articolazione delle giornate e le diverse attività hanno trovato in questo periodo una forma che è rimasta pressoché intatta:
– Lezioni tenute da esperti di diverse discipline invitati dal comitato scientifico;
– Ricerche presentate in seguito a una call pubblica e selezionate (con il processo del referaggio a doppio cieco) da esperti del settore;
– Cantieri di pratiche, ovvero laboratori per gruppi di circa 20 persone tenuti da operatori esperti individuati dagli organizzatori e invitati a condividere il loro lavoro e a consentire l’apprendimento di una pratica narrativa già sperimentata;
– Narrazioni: letture ad alta voce, narrazioni orali, teatro di narrazione, mostre, canti eccetera.

Infine, a partire dalla seconda edizione (2009) abbiamo scelto di consegnare gratuitamente ai partecipanti un quaderno di lavoro come questo che avete tra le mani, pubblicato dall’editore Pensa Multimedia nella collana “Le storie siamo noi” (che ha prodotto da allora anche molte altre pubblicazioni, come quelle del convegno “Pensieri Circolari” di Biella e quelle dell’Altra Città e di Pratika, o di singoli operatori e/o collaboratori).

Negli anni successivi, nel corso dei convegni, abbiamo incontrato centinaia di persone provenienti da tutta Italia, con le quali abbiamo avuto occasione di confrontarci. Abbiamo intrapreso percorsi professionali diversi, certo, ma abbiamo scelto sempre, di volta in volta, di confermare questo appuntamento, che ora giunge al suo decimo anno grazie a quelle scelte ripetute e rinnovate, e quindi grazie soprattutto alle tante persone che ci hanno confermato che, in qualche modo, questo lavoro culturale aveva un senso per qualcuno.

Nel nostro lavoro di esperti, poi, abbiamo incontrato decine di migliaia di insegnanti e ci siamo, con loro, rafforzati nel convincimento che quanto abbiamo fatto, scritto, letto, ascoltato, sperimentato, ricercato, costituisca un serbatoio prezioso che può contribuire a rispondere alla domanda di senso e di apprendimenti reali della scuola e di coloro ai quali oggi è destinata (in coerenza con la normativa); abbiamo raccolto evidenze sugli effetti che i percorsi narrativi progettati con modalità narrativa attiva e attivante producono: motivazione, senso, facilitazione all’acquisizione degli apprendimenti e delle competenze trasversali e di base (con finalità esplicitamente orientativa o meno: il valore orientativo e identitario è una traccia che rimane, anche quando non affiora come evidente).
Sapendo, come scrive Simone Giusti in Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015), che i racconti e le storie sono «lo strumento attraverso il quale una comunità umana costruisce continuamente il fondale contro cui si stagliano e acquisiscono un senso le esperienze individuali. La stessa comprensione della realtà è mediata dalle narrazioni di cui le persone sono partecipi, come narratori e come destinatari».

«Scegliere una modalità o un’altra di orientamento – si legge in Verso una pedagogia dell’orientamento narrativo di Federico Batini (da Le storie siamo noi, 2009) – equivale a esercitare un’opzione per un’antropologia o un’altra (per una sociologia, una psicologia, una pedagogia)». Per noi che rimaniamo convinti – sulla scorta della lezione di Carl Rogers – che l’essere umano sia un organismo fondamentalmente degno di fiducia, capace di valutare la situazione interna e esterna, di comprendere se stesso, di fare scelte essenziali riguardo ai successivi passi nella vita e di agire in base a queste scelte, per noi che riteniamo che l’autonomia, la capacità decisionale, il controllo e il potere di ogni soggetto sulla propria vita e sulle proprie scelte siano dei valori fondamentali per la costruzione di società democratiche, e che crediamo fermamente che la mente non sia una macchina, ma che sia un “discorso” che si costruisce attraverso l’interazione tra le persone in determinati contesti, scegliere ancora una volta di essere qui insieme è quasi inevitabile. Anche quest’anno, nonostante le difficoltà, la stanchezza e la scarsità di risorse, tutto questo ci sembra necessario e sensato. E per noi tanto basta.

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