Le sirene invisibili di Elio Sparziano

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Un nuovo, avvincente giallo ambientato nella Roma del tardo impero, opera della scrittrice italo-americana Ben Pastor.

Elio Sparziano, ufficiale dell’esercito romano e storico di grande erudizione, sarebbe anche contento di condurre una vita più tranquilla. Una vita fatta per lo più di studi, di ricerca di libri rari, nonché di piccoli e fugaci piaceri (le terme, la buona tavola…); addirittura vorrebbe sposare Thermuthis, una bellissima donna egizia tenutaria di un bordello di lusso, che – in un certo senso ricambiato – egli ama per davvero. Ma – almeno nella versione “romanzesca” creata di Ben Pastor (ricordiamo comunque che il personaggio è realmente esistito) – il suo rango militare e la sua lealtà a un impero in verità ben più che traballante lo costringono sempre ad affrontare un mare di guai.

L’avevamo lasciato nel 2020 in Palestina alla ricerca di un tesoro, e invece nell’ultimo romanzo La morte delle Sirene. Un’indagine di Elio Sparziano, Mondadori Milano 2023, Elio è invischiato in altre due delicate questioni, che – pur diversissime – si intrecciano fra loro.

Una rischiosa missione politica

Ritratto di Massenzio, Parigi, Museo del Louvre.

La prima è una missione politico-diplomatica in Italia su mandato dell’Augusto Galerio (di stanza a Tessalonica), uno dei tanti imperatori – più o meno legittimi – che nel 306 d.C. rivendicavano l’eredità della Tetrarchia dioclezianea, dopo che Diocleziano Giovio e Massimiano Erculio si erano dimessi abbandonando la porpora (convintamente il primo, con riluttanza il secondo). Gli automatismi sperati di tranquilla trasmissione dei poteri ai successori designati, cioè gli Augusti Galerio e Costanzo Cloro e i Cesari Massimino Daia e Flavio Valerio Severo, non funzionarono anche (e soprattutto) per le ambizioni imperiali di Massenzio (figlio di Massimiano) e di Costantino (figlio di Costanzo Cloro). Se è qui inutile elencare tutte le tappe della lunge e sanguinose guerre civili che seguirono, è però opportuno ricordare come nel 324 d.C. Costantino – sconfitto Massenzio prima e Licinio poi – avocò a sé ogni potere, decretando di fatto il ritorno a una monarchia unitaria.

Tornando al 306 a.C. e al nostro Elio, va detto che nella fiction romanzesca Galerio lo aveva inviato a Roma proprio dal giovane e inquieto Massenzio, per invitarlo al rispetto dei delicati e complessi equilibri istituzionali. Sullo sfondo si intravvedono le trame più o meno nascoste dei vecchi regnanti Diocleziano e Massimiano ma anche dell’ambiziosa Elena (futura santa, ma nel frattempo donna di assai liberi costumi…) madre di Costantino, nonché la presenza di interferenze da parte dei pretoriani: quindi troviamo sicari spietati, soldati malfidi, doppiogiochisti d’ogni genere, etc. in un appassionante quanto perfettamente ricostruito contesto storico, politico e sociale.

Un presunto parricidio

Ma è ora di accennare anche alla seconda faccenda che vede impegnato Elio Sparziano, il quale prima di giungere a Roma dovette a lungo soggiornare nella bellissima quanto vivace località di Surrentum (oggi Sorrento). Infatti proprio durante la sua permanenza qui avvenne un presunto parricidio ai danni del ricco Pelagio Teodoro, chiacchierato uomo d’affari che sembra la versione riveduta e corretta del Trimalcione del Satyricon di Petronio: la sua uccisione viene quasi subito imputata al figlio Demetrio – tanto impulsivo e sciocco quanto muscoloso e violento – del quale è pure rivale in amore, anche se nella sostanza le cose non sono poi così semplici. In qualità di legato imperiale (in realtà in forma più ufficiosa che ufficiale) toccherà proprio al detective Elio cercare di vederci più chiaro: ma a tale riguardo, ovviamente, non anticipo nulla. Mi piace invece riportare un breve passo nel quale l’autrice descrive con la consueta verve la personalità del defunto, il quale oltre al prepotente Demetrio aveva (almeno) altri due figli: Giovanni, avvocato e Alessandro, in odore di cristianesimo:

A dar retta agli altri mercanti e ai cambiavalute, gli affari di Teodoro prosperavano. Non era nato ricco, ma era morto ricco. Ultimamente aveva diversificato i suoi commerci – iniziati con l’importazione di capperi e altri condimenti – impegnandosi in varie speculazioni e nella compravendita di immobili. Acquistava a prezzi irrisori casamenti inagibili, quando non fatiscenti, li faceva rabberciare alla meglio e li affittava. Per i benpensanti sorrentini erano traffici al limite della legalità, ma un figlio avvocato serve anche a questo. Pur essendo alquanto smodato nel bere e nel mangiare, tutti si aspettavano che il capofamiglia dei Pelagii raggiungesse la tarda età in un discreto stato di salute. Questa era l’opinione di amici e conoscenti, e qualsiasi giudice degno di tal nome sarebbe stato d’accordo. Una cosa è porre fine ai patimenti di un vegliardo, immalinconito dagli anni e dalle vicissitudini dell’esistenza. Ma Teodoro! L’anima della festa, il Trimalcione di Surrentum… (pp. 73-74).

Impossibile, dopo questa descrizione, non ricordare almeno l’iscrizione che il Trimalcione petroniano aveva ipotizzato per il suo sepolcro, e cioè:

Gaio Pompeo Trimalchione Mecenatiano qui giace. In sua assenza gli fu decretato il sevirato. Pur potendo essere in tutte le decurie di Roma, tuttavia non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla. Lasciò trenta milioni di sesterzi e non ascoltò mai un filosofo. Stammi bene – Pure tu. (trad. L. Canali).

Come si può vedere, entrambi erano nati poveri e morti ricchi, in virtù non della loro cultura, ma della loro intraprendenza e spregiudicatezza imprenditoriale.

Cosa c’entrano le sirene?

Baia delle Sirene, Massa Lubrens.

Forse il lettore si sta chiedendo ragione del titolo del romanzo e del ruolo delle sirene nella sua trama. Anzitutto va detto che Sorrento era anticamente considerata località abitata da queste figure mitologiche – mezze donne e mezzi uccelli – dal canto tanto melodioso quanto pericoloso; sì quello che Ulisse volle ascoltare legato all’albero della sua nave. Ancora oggi, tra l’altro, esiste una “Baia delle sirene” a Massa Lubrense, e il nome delle sirene compare in stabilimenti balneari, alberghi e ristoranti di diverse località della Penisola sorrentina.

Askos in bronzo a forma di sirena dalla necropoli delle Murgie di Strongoli, antica Petelia, Museo Archeologico Nazionale di Crotone.

Elio è come se da un lato percepisse con nostalgia gli echi delle lontane credenze e del culto di queste figure, e dall’altro ne comprendesse l’alterità rispetto alla mentalità e alla sensibilità del suo tempo. Un tempo nel quale i vecchi dèi pagani stavano cedendo il passo al nuovo dio cristiano quando non a un diffuso scetticismo. Un tempo nel complesso meno ricco di aspettative rispetto ai secoli passati, perché se è vero che il canto delle sirene poteva avere effetti disastrosi, è altrettanto vero che la disgrazia finale scaturiva da una condizione di sommo piacere, quasi di oblio di ogni umana bassezza.

Ma probabilmente all’epoca di Sparziano non è che le sirene siano davvero morte, è «che se ne stanno per conto loro, perché nessuno ci crede più, ormai», come afferma il brigante Còrimbo, che pure sosteneva di averle viste. E quando lo stesso furfante rincara la dose affermando che «non curarsene: quella è l’unica possibile morte delle sirene», Elio non può che pensare che questa è la sorte «forse di ogni dio», palesando ai lettori i dubbi religiosi che lo tormentano. Comprendiamo così il disorientamento di un uomo che serve lealmente un impero che dovrebbe essere eterno per consiglio divino ma che parimenti sente lontani o fallaci o addirittura inesistenti quegli stessi dèi che dovrebbero garantirne la durata.
Eric Dodds, nel suo celebre libro Pagani e cristiani in un’epoca d’angoscia (del 1965), ha fotografato benissimo questa confusa, talora drammatica, situazione esistenziale che ha condizionato intere generazioni; per Elio, però, non userei davvero la parola «angoscia» perché il nostro, guidato dalla sapiente penna di Ben Pastor, “galleggia” e gestisce la sua vita (complice la sua cultura e la natura godereccia di cui già ho detto) mantenendo la giusta distanza da questa condizione collettiva. Non è superficialità, la sua, è – si direbbe oggi – resilienza.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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