Non ho avuto molti dubbi, fin dal principio della mia attività di insegnamento, iniziata in maniera rocambolesca nel doposcuola del centro minori a rischio delle “Vele” di Lecce, durante il servizio civile, e proseguita tra università e istituti tecnici e poi, in seguito, tra centri territoriali permanenti per l’educazione degli adulti e istituti professionali. Tutti ambienti in cui la didattica delle competenze è una necessità riconosciuta e, inoltre, una risorsa preziosa, poiché consente di lavorare in modo sensato ed efficace. Con la differenza che all’università – in particolare nelle facoltà di lettere – si esercitano competenze tecnico-professionali specifiche del mestiere del critico letterario, del filologo o dello storico della letteratura, mentre nelle scuole si esercitano competenze di base e trasversali, non specifiche quindi di una professione ma fondamentali per la vita quotidiana di ciascuno.
In sintesi, significa che mentre all’università noi letterati avremmo il compito di insegnare la letteratura, allenando gli allievi affinché diventino essi stessi dei letterati, a scuola – e in particolare nella scuola del primo ciclo e nella scuola tecnica e professionale, come stabiliscono le nuove indicazioni nazionali – dovremmo insegnare con la letteratura, allenando gli alunni a parlare un italiano corretto, ma anche a servirsi con cognizione dell’enorme mole di informazioni disponibili in rete, a collaborare e rispettare le libertà e i diritti altrui ecc. In quest’ultimo caso, che è quello che ci riguarda da vicino, i saperi che noi laureati in lettere siamo stati chiamati a condividere coi nostri “maestri”, durante gli anni dell’apprendistato universitario, vanno utilizzati in modo consapevole e intenzionale allo scopo di favorire la crescita dei nostri alunni, la loro progressiva conquista dell’autonomia, affinché divengano persone capaci di affrontare la vita al meglio delle loro possibilità.
E può anche darsi che qualcuno diventi come il grottesco politico ritratto da Invidia nel suo articolo – d’altronde non abbiamo il controllo sul destino degli alunni, così come le opere della letteratura non hanno il potere di determinare il modo in cui saranno interpretate e utilizzate dai lettori, – ma quel che conta veramente è che anche a quel losco figuro sia stata data la possibilità di mettere a frutto l’enorme investimento di tempo e di risorse degli anni di scuola e, quindi, delle interminabili ore d’italiano.
A me è capitato – per riprendere ancora da Invidia il caso di Leopardi – di tenere un corso universitario sul poeta dell’Infinito. Scelsi le Operette morali, libro a me più congeniale e, a mio modesto avviso, più adatto dei Canti all’insegnamento che ho definito con la letteratura, e non ebbi a pentirmene. Proprio in queste settimane, per la seconda volta nella mia carriera di insegnante, mi trovo impegnato nell’insegnamento di Leopardi in una classe quarta. La prima volta, se non ricordo male, non dovetti fare molto meglio del mio insegnante delle superiori, che si limitava a fare delle gran lezioni frontali durante le quali raccontava con dovizia di particolari la vita degli autori, per poi soffermarsi sulla loro poetica e sui pareri dei critici più illustri. Di sicuro, fedele agli insegnamenti della mia “scuola”, devo aver letto molti testi, e chissà che non abbia fatto imparare qualche verso a memoria. Oggi, dopo quasi dieci anni, nonostante per la classe quarta non siano in vigore le nuove indicazioni nazionali, ho cercato – e ancora in questi giorni ci sto lavorando – di inventarmi qualcosa per insegnare con Leopardi, rinunciando definitivamente alla pretesa che gli alunni imparino Leopardi e accettando la sfida di usare Leopardi per simulare, nell’ambiente protetto dell’aula, alcune situazioni che probabilmente si troveranno a fronteggiare nel corso della vita. In questo modo, imparare Leopardi dovrebbe diventare una specie di “effetto collaterale” dell’insegnamento.
Ho cominciato chiedendo ai ragazzi e alle ragazze se ricordavano qualcosa del signor Leopardi. Utilizzando un po’ di trucchi del mestiere – che a tratti assomiglia a quello del detective – sono riuscito a scucire un po’ d’informazioni utili: diversi stereotipi (gobbo, triste, depresso, pessimista, deprimente…) e alcune poesie mandate a memoria o parafrasate durante il percorso scolastico precedente (L’infinito, A Silvia, Il sabato del villaggio). Leopardi, proprio perché già “conosciuto” (destino condiviso con Manzoni), è l’autore sul quale ho trovato maggiore ostilità. Di sicuro è l’autore, direbbe uno dei colleghi migliori, più “scuoloso”, uno di quelli di cui si parla, nella vita quotidiana, solo per riportare il voto preso all’interrogazione… Uno, insomma, che non ha avuto ancora il suo Benigni e che di fatto sembra non esistere al di fuori delle mura scolastiche.
A questo punto sono passato alla fase due del mio piano didattico (sempre aperto a un largo margine di improvvisazione, come è necessario per lavorare secondo l’approccio centrato sulle competenze): la presentazione di “prodotti” o contenuti leopardiani presenti sul web. È un mio pallino, questo di lavorare sulla letteratura come uno dei pilastri di quell’industria dei contenuti che produce canzoni, film, serie tv, canzoni, videogiochi e libri. Trovo sia utile a prendere consapevolezza delle potenzialità delle opere letterarie, potenti strumenti di storytelling capaci di modellare il mondo anche a distanza di secoli. Per farla breve, comunque, in questa fase ho cercato di lavorare su quello che mi piace chiamare l’“effetto Leopardi”: che cosa si trova oggi di lui? Quali informazioni, quali opere, eccetera. Lo scopo non è far capire le logiche delle poetiche postmoderniste o di analizzare il sistema dell’informazione, quanto semmai far prendere confidenza a tutti con i metodi e le strategie di ricerca su internet e a prendere confidenza con l’autore con cui saranno costretti a trascorrere qualche settimana. Poi, sempre in questa fase, ho cercato di piazzare il colpo decisivo: far toccare con mano l’opera poetica come “prodotto”, cioè come risultato finale di un processo di produzione e, allo stesso tempo, come oggetto finito, conchiuso, pronto per essere fruito dai suoi lettori (o ascoltatori, spettatori ecc.). Ho portato in classe una serie di prodotti esemplari, scelti non a caso tra i miei prediletti: un paio di edizioni tascabili dei Canti di Leopardi, tre lp della mia adolescenza (tra cui il doppio album di The Wall dei Pink Floyd, assai consunto e annotato) e due cd (Anima migrante degli Almamegretta e La morte dei miracoli di Frankie HI NRG). Abbiamo guardato le opere, ce le siamo girate tra le mani, le abbiamo sfogliate, abbiamo letto gli “indici” (ho provveduto a consegnare una scheda con l’indice dei Canti), e abbiamo definito i caratteri comuni ai diversi prodotti. Poi abbiamo studiato insieme i diversi modi di utilizzo, domandandoci come, in che situazione, a quale scopo, in quanto tempo e quando potrebbero essere usati. Io ho raccontato come usavo The Wall alla loro età, ascoltando in cuffia il disco e leggendo il testo inglese dall’interno della copertina. Un’esperienza, a giudicare dai racconti dei ragazzi e delle ragazze, che ancora non è scomparsa.
La fase tre, ancora in corso, è iniziata con l’assegnazione di un compito. Ciascun alunno, da solo o in gruppo, è stato invitato a individuare un prodotto da realizzare a partire dai Canti di Leopardi. Lo studio di Leopardi sarebbe dunque stato finalizzato ad acquisire le conoscenze necessarie a scegliere il punto di partenza (che cosa usare di Leopardi?) e a realizzare un prodotto finito più o meno buono. È stato un lavoro lungo e solo ieri sono arrivati i primi risultati che, come d’abitudine, sono stati illustrati al sottoscritto e ai compagni dagli stessi “produttori”. Ho raccolto due disegni (entrambi fittamente commentati nel retro), tre filmati, una presentazione con slide show, tre progetti scritti da realizzare, e una “imitazione” di Io qui vagando al limitare intorno, riscritta rispettando pedissequamente il metro leopardiano. I filmati, realizzati montando immagini, musiche e testi trovati su internet, sono stati realizzati a partire da Alla luna, La quiete dopo la tempesta, e da Uomo del mio tempo di Quasimodo. Ho chiesto il motivo di questa scelta extraleopardiana al mio alunno, il quale mi ha risposto, deciso, che gliel’aveva consigliato la sua ragazza. L’ho trovata una risposta carina, adeguata alla situazione e, in definitiva, competente. Nei prossimi giorni proverò a verificare se si ricorda ancora chi è Leopardi.