La maschera nel cinema

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Il cinema, come spesso accade, aveva già raccontato tutto. Nel 2011, alla 68esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, veniva presentato fuori concorso il film “Contagion” (2011) di Steven Soderbergh. In quel lontano settembre, in una sala del Lido, non mi aspettato di dover vivere un giorno la storia che stavo guardando sullo schermo.
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Contagion

Bisogna dare atto a Scott Z. Burn, autore del soggetto e della sceneggiatura, d’aver avuto un’intuizione profetica. Contagion inizia con le immagini di una donna americana che, di ritorno da un viaggio a Hong Kong, viene ricoverata in ospedale con sintomi influenzali. Si scopre ben presto che è affetta da un contagioso virus mortale, che colpisce le vie respiratorie e il sistema nervoso. Si scatena così una pandemia globale, accompagnata dalla ricerca frenetica di un vaccino.
La cosa più sorprendente è l’origine del virus. Durante un disboscamento, alcuni pipistrelli, costretti a lasciare il loro habitat naturale, trasmettono il virus a un maiale. Dalla carne del suino, la terribile infezione passa all’uomo con un salto di specie. Sembra la cronaca di un quotidiano dei nostri giorni.
Rivedere oggi il film è un’esperienza straniante, soprattutto per la sorprendente sovrapposizione tra il racconto cinematografico e le nostre esistenze. I volti di Marion Cotillard e Jude Law protetti da una mascherina non sono la materializzazione di una diafana luce su uno schermo, ma assomigliano a quelli che incrociamo, sospettosi, durante le rare uscite nelle nostre città deserte.
Ancora una volta il cinema mette in gioco il suo ruolo di affabulante confine tra la realtà e la proiezione dei nostri sogni e delle nostre paure: un territorio onirico di scambio e contaminazione, da sempre capace di accogliere le suggestioni dell’inconscio e del rimosso, che trova asilo nell’avvolgente buio di una sala.
Purtroppo dovremo abituarci a un futuro in cui le mascherine faranno parte della nostra quotidianità. Una situazione che richiama alla memoria altre epidemie e altre maschere, come quella dei medici della peste. Una maschera filtrante con un pronunciato becco pieno di spezie e di tessuti imbevuti d’aceto e d’altro, che avrebbe dovuto proteggere dal contagio. Sono passati secoli e oggi abbiamo imparato a distinguere i vari tipi delle moderne mascherine: quelle chirurgiche, che difendono soprattutto chi ci sta vicino da una nostra possibile infezione, quelle filtranti con valvola, che proteggono che le indossa, ma non gli altri, e quelle filtranti senza valvola, che tengono al riparo da possibili infezioni sia chi le indossa, sia chi sta attorno. Un universo di sigle ormai familiare: FPP2, FPP3, FK94, K95, KN95, con cui dovremo convivere fino al momento in cui non sarà disponibile un vaccino.

La realtà ci fornisce lo spunto per una riflessione più generale sulla presenza della maschera nel mondo del cinema.
La maschera è uno strumento di protezione, ma possiede anche un valore simbolico e rituale. Non a caso ha accompagnato l’esistenza dell’uomo fin dall’antichità. Senza addentrarci in un’analisi storica e antropologica, che meriterebbe ben altro spazio e approfondimento, ci limiteremo ad analizzare la presenza e l’uso della maschera nell’ambito cinematografico.
La maschera copre il viso, nasconde la vera identità. È uno strumento di trasfigurazione, che permette di celarsi dietro l’anonimato. Il cinema è ontologicamente rappresentazione, messa in scena, ambigua costruzione di altro rispetto alla realtà. Ancor più del teatro, dove la maschera denuncia fisicamente la sua natura, il cinema crea altre identità, mondi paralleli, è esso stesso una sorta di maschera traslucida e invisibile, che scorre davanti ai nostri occhi. «La verità 24 volte al secondo», diceva Jean-Luc Godard, per denunciarne la falsità e l’illusione.
Proprio per il connaturato rapporto confidenziale con la rappresentazione, è interessante vedere come il cinema ha usato quest’antico strumento. Ci limiteremo a scegliere alcuni tra i numerosi film della storia del cinema in cui appaiono delle maschere, cercando di proporre un percorso di lettura, inevitabilmente fatto di scelte e omissioni. Non ci occuperemo di supereroi, tanto meno di film come The Mask o di altri lungometraggi, a parere di chi scrive poco significativi e spesso di scarso valore artistico.

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La città verrà distrutta all’alba

La maschera, a volte, è solo un elemento scenografico, a volte un segno distintivo di un personaggio, altre volte è la protagonista di momenti narrativi fondamentali, o addirittura elemento indispensabile della narrazione, come ad esempio in Contagion. Molti anni prima dell’uscita di Contagion, con La città verrà distrutta all’alba (1973), George Romero aveva firmato un disaster movie, disegnando uno scenario apocalittico causato da un virus letale. Nel film la minaccia era causata da un aereo militare caduto mentre trasportava un’arma batteriologica segreta. Il virus contaminava ben presto gli abitanti di Evans City. In quel caso, la scelta delle autorità era radicale: isolare la città e raderla al suolo prima che l’epidemia si diffondesse al mondo intero. Anche in questo caso le maschere sono un elemento portante della storia, intrinsecamente legato allo sviluppo narrativo del film e, come in Contagion, strumento e simbolo di sopravvivenza in un ambiente ostile e pericoloso.

Cambiando completamente genere, una delle maschere più conosciute e popolari, tra le prime in assoluto ad apparire nel mondo del cinema, è quella di Zorro. Dietro la celebre maschera nera si nascondeva il nobile Don Diego de la Vega, che utilizza questa falsa identità per prendere le difese dei deboli contro le ingiustizie del potere. Eroe romantico e generoso, Zorro è stato portato sullo schermo diverse volte. Ci piace ricordare soprattutto l’interpretazione dell’acrobatico e atletico Douglas Fairbanks in Il segno di Zorro (1920) di Fred Niblo e il remake del 1940 firmato da Rouben Mamoulian con Tyrone Power.

Il genere horror ha utilizzato molto spesso la maschera in modo piuttosto rudimentale e semplicistico, solo per nascondere il volto dell’assassino o per renderne le fattezze più terrificanti, come nel caso di Freddy Krueger. Ne sono esempio alcuni film, che poi sono diventati vere e proprie saghe: Nightmare – Dal profondo della notte(1984) di Wes Craven, Halloween (1978) di John Carpenter, Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper, Venerdì 13 (1980) di Sean S. Cunningham, Scream (1996) di Wes Craven. Sempre per restare nell’ambito del cinema horror, chi può dimenticare la maschera fatta indossare a Hannibal “The Cannibal” Lecter nel celebre film Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme?

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Il silenzio degli innocenti

La maschera è anche spesso protagonista di film di rapine. Se nel primo film di genere, La grande rapina al treno (1903) di Edwin S. Porter, bastava un fazzoletto alzato sul volto, in seguito l’uso di vere e proprie maschere diventa l’abitudine. Solo per citare qualche titolo tra i più famosi: Rapina a mano armata (1956) di Stanley Kubrick, Vivere alla grande (1979) di Martin Brest, Killing Zoe (1994) di Roger Avary.
Tra i film di rapinatori mascherati, un posto di rilievo merita Point Break (1991) di Kathryn Bingelow. L’agente infiltrato dell’FBI Johnny Utah, interpretato da Keanu Reeves, dà la caccia a banditi che rapinano le banche nella zona di Los Angeles: la banda dei Presidenti. I 4 rapinatori, infatti, assaltano le banche armati di mitra e con il volto coperto da maschere in gomma di Johnson, Nixon, Carter e Reagan. È il film che ha svelato il talento di una delle registe più importanti del cinema moderno e resta uno dei capolavori del genere.

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Point Break

Un interessante film degli anni Quaranta utilizza l’escamotage di una sorta di maschera come elemento della narrazione. Si tratta di La fuga (1947) di Delmer Daves, intrepretato dalla coppia Humphey Bogart-Lauren Bacall e tratto dal romanzo Dark Passage di David Goodis. Il protagonista del film, Vincent Perry, fugge dalla prigione per vendicarsi di chi l’ha ingiustamente accusato di un crimine mai commesso. Durante la prima parte del film non verrà mai inquadrato e la sua presenza sarà percepita solo da lunghe soggettive. Solo dopo il cambiamento dei connotati, grazie a un intervento di chirurgia plastica, cominceremo a vedere il suo viso coperto da una sorta di maschera di bende, che solo in un secondo tempo svelerà il volto di Bogart. A parte lo splendido inizio in sottrazione, in cui non vediamo mai il protagonista pur guardando il mondo attraverso i suoi occhi, il film utilizza la maschera come elemento centrale della narrazione. Vincent Perry deve nascondere la sua vera identità, mascherandosi con le bende e un nuovo volto, per scoprire la verità e incastrare i colpevoli. La nuova faccia diventa una sorta di maschera agli occhi di conosceva i tratti originali del volto del protagonista. La salvezza di Vincent passa attraverso una falsa identità, una maschera permanente, unico mezzo per ristabilire la verità.

Altro film che gioca sul binomio identità-maschera e sulla necessità di travestirsi per scoprire la verità è Caccia al Ladro (1955) di Alfred Hitchcock. John Robie (interpretato da Cary Grant), un tempo ladro acrobata, conosciuto con il soprannome de Il Gatto, si è ritirato da tempo a vita tranquilla in Costa Azzurra. Improvvisamente, sui tetti appare nuovamente un ladro che ruba gioielli. Qualcuno, mascherandosi da John Robie, sta utilizzando la sua identità per incastrarlo. Sarà proprio approfittando di un ballo in maschera che John Robie eluderà i controlli della polizia per smascherare il nuovo Gatto. Anche in questo caso tutto il film ruota attorno al tema della sottrazione dell’identità e del tentativo di ristabilire la verità attraverso una maschera.

A volte la maschera può passare dal cinema alla realtà diventando un fenomeno sociale. È il caso del protagonista di V per Vendetta (2005) di James McTeigue. Dietro la maschera di Mister V si nasconde una sorta di giustiziere ribelle, che si batte contro le iniquità di un sistema violento e totalitario. La maschera di V per Vendetta è poi diventata il simbolo del movimento di protesta Occupy Wall Street, schierato contro i crimini del capitalismo finanziario e degli hacker del gruppo Anonymous.

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Le crociate

La presenza di una maschera può essere legata anche alla rappresentazione di personaggi storici. È il caso del film Le Crociate (2005) di Ridley Scott, dove Re Baldovino IV d’Angio appare sempre coperto da una maschera di metallo, che portava per nascondere i segni dalla lebbra.
Sempre di maschere di metallo e di re si parla ne La maschera di ferro (1998) di Randall Wallace con Leonardo Di Caprio. Siamo nella Francia del Seicento, e nel film si racconta la storia di un presunto fratello gemello del sovrano, fatto rinchiudere in una prigione segreta da Luigi XIV, coperto da una pesante maschera di ferro, che ne celi l’identità in modo da preservare il suo potere. In questo caso la maschera cela il doppio, l’ombra, identità che svelata può mettere in discussione la propria, in un gioco di scambi, sovrapposizioni e disorientanti riflessi.

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Colazione da Tiffany

Ci sono poi alcuni famosi film, in cui la maschera gioca un ruolo determinante in alcune scene indimenticabili, come in Colazione da Tiffany (1961) di Black Edwards. Chi può scordare i risvegli di Audrey Hepburn con la mascherina notturna sul viso o la scena in cui lei e George Peppard indossano le maschere di un gatto e di un cane rubate per gioco in un magazzino?

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Eyes Wide Shut

Chiudiamo con l’ultimo film di Stanley Kubrick. In Eyes Wide Shut (1999) la maschera assume il valore simbolico di una porta segreta, che permette l’accesso a un universo misterioso di sogni e fantasie, di identità nascoste nell’ombra, che si fanno spazio nella notte e nel sonno dei due protagonisti. Un misterioso territorio del non detto, dell’inconfessabile, in cui tutto vacilla e si confonde, nella vertiginosa oscurità dell’abisso dell’anima.

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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