La fine del libro (di testo)?

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Pinocchio e l’abbecedario in un’illustrazione di Emanuele Luzzati.

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I “libri di testo”: la famosa locuzione che ha accompagnato la biografia di intere generazioni, con quel sapore un po’ deamicisiano e fané che sa d’inchiostro e abbecedario collodiano, ma sempre così resistente e tenace anche nel lessico e nella vita scolastica di questo scorcio di XXI° secolo postindustriale. I libri scolastici-manuali-di testo: anch’essi scomparsi, dileguati, introvabili come gli studenti, i docenti, le aule e le lavagne nella scuola dell’emergenza covid19. Smaterializzati e dissolti nella didattica digitale, oppure dimenticati a scuola l’ultimo giorno prima del lockdown, ora irreperibili sotto i banchi o negli armadi polverosi di aule disabitate da mesi.

Due facce dello stesso destino: l’avversarsi di una profezia tecnologica che dissolve la materialità gutemberghiana del libro, e, simmetricamente, l’ipertrofia cartacea che si accumula e ingombra spazi vuoti di vita e di sapere, l’atto finale e la nemesi di uno spettacolo ahimè familiare negli ultimi decenni (quintali di libri scolastici mai usati o fuori produzione, affastellati in magazzini, sale insegnanti o corridoi in attesa del macero).

“Libri di testo”: anch’essi personaggi (con tanto d’autore) di una crisi culturale e pedagogica ben precedente all’emergenza sanitaria, che coinvolge i contenuti, l’organizzazione dei tempi e degli spazi della didattica, le forme di comunicazione e valutazione delle conoscenze. Non quindi l’apocalisse improvvisa, il “cigno nero” venuto dal nulla, ma il corpo del Re-scuola che infine appare nudo senza il velo di quella normalità fittizia che tutti facevamo finta di vedere e condividere.

Ecco quindi profilarsi l’occasione, questa sì inaspettata, di affrontare una volta per tutte, con una radicalità prima impensabile, i nodi irrisolti della didattica in Italia, e dentro di essa il destino del grande malato per eccellenza, il libro scolastico. Proviamo quindi mettere a fuoco le ragioni del suo declino e a formulare una diagnosi precisa del male che l’affligge.

1. Un libro, manuale, testo ponderoso e sottoutilizzato: gran parte dei suoi contenuti (la percentuale varia da disciplina a disciplina) non vengono toccati all’interno di un ciclo scolastico, centinaia di pagine (pagate) che rimangono inerti e inutili. Problema forse inevitabile con il libro cartaceo e nell’epoca del possesso materiale, ora facilmente ovviabile nel mondo digitale. Cosa impedisce, nell’era dell’accesso telematico, a un docente o una scuola di selezionare volta per volta gli argomenti di studio e scegliere on demand pacchetti di documenti e materiali didattici?

2. La fine del canone: non solo l’avvento del medium digitale sottolinea le rigidità del “libro di testo”, ma anche il venir meno dell’idea di un canone culturale e didattico precostituito. Un retaggio (storicamente importante) della scuola post-unitaria e novecentesca, ora superato dalla rivoluzione continua dei saperi e dall’affermazione (peraltro ancora timida) del principio liberale dell’autonomia scolastica.
Una svolta sancita con il passaggio (2012) dalla struttura rigida dei programmi ministeriali basati sui contenuti, alle indicazioni nazionali orientate su traguardi formativi generali e sulle competenze da sviluppare negli studenti. Il ripensamento culturale dell’idea di “programma” ha quindi accompagnato la crisi tecnologica del libro scolastico, pensato e usato ancora nell’ottica di una progressione lineare e standardizzata del sapere.

3. La crisi del testo. La rivoluzione, insieme tecnologica e culturale, degli ultimi decenni ha visto il crescente affanno del libro scolastico nello stare al passo dei mutamenti epocali che stiamo vivendo. Da qui la mimesi goffa della pagina web, con il testo sovraccaricato di immagini, rimandi intertestuali, schede di approfondimento, al fine di apparire più accattivante e à la page, ma con un esito globale poco convincente e soprattutto didatticamente inefficace.
L’errore di fondo è stato confondere il “testo” con l’‟ipertesto”, cercando di ibridare la lettura lineare del libro cartaceo con la dimensione “viaggiante” e multimediale della Rete: da questa operazione è uscito male il libro, svilito a caricatura statica di un sito web, e fondamentalmente disconosciuta la vocazione dinamica e “costruttiva” di sapere della didattica digitale.
Ecco quindi il format editoriale che viene proposto oggi a docenti e studenti: un ircocervo di testo, immagini e colori incapace di essere pienamente “libro” o di scegliere di essere finalmente “altro”, di esplorare con coraggio nuove vie e linguaggi (oscillazione amletica che sfocia infine nel compromesso storico al ribasso tra la forma cartacea e un set di risorse on line allegate al testo e puntualmente neglette nella prassi didattica).

4. Libro chiuso versus “opera aperta”. Di nuovo due visioni diverse dell’insegnamento e dei materiali didattici: l’una centrata sul docente e sul saper trasmesso ex cathedra, ha come correlato il Testo ufficiale che raccoglie i contenuti del programma da svolgere; l’altra, fondata sul ruolo attivo e creativo dello studente, non vede più l’apprendimento come un percorso cumulativo e lineare che si rispecchia in un testo, ma seleziona i suoi materiali in base a specifici percorsi didattici o casi di studio.
Una didattica calibrata sul “progetto” più che sul “programma”, sulle attività strutturate degli studenti invece che sui contenuti disciplinari, non sta più dentro il format sequenziale e canonico del “libro di testo”, e cerca nelle piattaforme digitali un ambiente di lavoro più dinamico, flessibile e partecipativo.

5. Il “peso del libro”. Il libro di testo (spesso) diviso in volumi. Il termine “volume” nella scuola perde la sua innocenza di descrittore bibliografico, per evocare peso (anche economico), ingombro fisico, inutilità. Come se la crisi culturale del libro scolastico accentuasse sempre più anche i suoi vizi pratici, che studenti e addetti ai lavori conoscono molto bene: zaini stracolmi ogni mattina di libri poi sottoutilizzati in classe (senza armadietti scolastici, tantomeno personali, per custodirli a scuola), libri dimenticati e a volte dispersi, libri venduti o regalati l’anno successivo, ennesime riedizioni aggiornate con pochi dettagli insignificanti, foreste di cellulosa immolate per una causa che non sembra più nobile come un tempo, oppure meglio servita con strumenti diversi.

Dopo il libro (di testo)

La lunga serie di incongruenze sopra descritte raggiungono, sommate assieme, una soglia critica che il libro scolastico non può più sostenere. Il libro di testo sembra quindi aver esaurito la sua funzione storica e con esso il modello di scuola che incarnava, basato essenzialmente sulla “trasmissione” di contenuti canonici consolidati in una serie di “programmi” da “svolgere” all’interno di un ciclo scolastico.

Il superamento del libro non potrà quindi prescindere da una profonda revisione del concetto di sapere e delle forme di apprendimento tradizionali, un ripensamento critico complessivo che la scuola italiana non può differire ancora per molto. Rimanere in mezzo al guado (nell’attuale forma ibrida del testo scolastico) significherebbe infatti mortificare sempre più la dignità e il valore cognitivo del libro e, nello stesso tempo, non esplorare compiutamente le risorse culturali e didattiche dei format digitali.

Il libro di testo come oggetto comprato in blocco è del tutto fuori fase rispetto alla rivoluzione del modo di produzione in atto, che sostituisce al possesso materiale definitivo l’accesso flessibile e differenziato a risorse culturali open source oppure on demand. Questo è un dato di fatto che può far inorridire, se frainteso, i puristi difensori del libro inteso come baluardo di un apprendimento lineare e logico-sequenziale, e va chiarito.

Sostenere la morte del libro di testo non significa abiurare all’esigenza di organicità e coerenza della cultura, né abdicare di fronte alla logica brutale del mercato e della rivoluzione tecnologica. Significa al contrario esaltare la capacità della scuola e dei docenti nel modellare i materiali di studio su progetti didattici complessi, che coniugano il profilo esperienziale e laboratoriale dei “casi di studio” con la sistematicità logica e l’unità delle discipline. Il libro di testo con la sua rigidità strutturale e il primato che conferisce ai “contenuti” rispetto alla varietà inesauribile dei problemi e delle procedure cognitive e pratiche per affrontarli, non è all’altezza di questo compito e può infine essere sostituito dal medium digitale.

L’utilizzo delle piattaforme web (largamente sperimentate in questo periodo di didattica a distanza) consente di far coesistere in forma ordinata e coerente la sequenzialità logico-concettuale degli argomenti disciplinari con la varietà di contributi multimediali disponibili sulla Rete, di diversificare anno per anno gli argomenti specifici e i “casi di studio”, di introdurre in corso d’opera nuovi materiali, di rendere gli studenti protagonisti attivi nella costruzione del sapere: lo strumento digitale (pensiamo in particolare al “sito web di classe” come contenitore strutturato di un progetto didattico) può realizzare la transizione dal libro di testo statico e subìto passivamente al testo-progetto costruito dagli insegnanti e condiviso dagli studenti.

La fine del libro scolastico non implica quindi uno svilimento della figura dell’insegnante, sostituito e accantonato (secondo una vulgata superficiale) dal software digitale e dalla potenza seduttiva della Rete: al contrario promuove la sua vocazione di professionista dell’apprendimento, la sua capacità di mediare le conoscenze disciplinari con le competenze sociali, organizzative e tecnologiche necessarie alla comunicazione del sapere nel nuovo millennio.

Anche l’editoria scolastica è chiamata ad uno sforzo inedito di innovazione coerente con la rivoluzione tecnologica in atto, rinunciando a difendere ostinatamente il libro di testo come principale asset strategico di mercato e contenitore principale delle risorse didattiche. Il suo futuro, alla stregua dell’industria discografica e cinematografica, si giocherà sulla proposta di prodotti integralmente digitali, utilizzando la formula on demand e differenziando la sua offerta formativa in una pluralità di risorse didattiche a disposizione di docenti e studenti, non più necessariamente raccolte e rilegate nella forma unitaria del libro cartaceo: documenti, esercizi, unità didattiche, suggerimenti multimediali possono essere utilizzati come moduli distinti, selezionati-combinati diversamente a seconda della scelte didattiche del docente e della singola scuola. L’editoria scolastica del XXI° secolo non potrà più cercare il profitto moltiplicando le edizioni aggiornate dello stesso libro di testo o nella sua sostituzione ex novo con un nuova proposta bibliografica, quanto nella creazione, promozione e tutela del proprio “dominio” digitale, competitivo sul piano di un’offerta didattica polivalente e dinamica.

Questo scenario non appartiene a un futuro remoto, ma è già nell’ordine delle cose presenti. La normativa italiana dal 2014 ha liberalizzato, nel quadro della scuola dell’autonomia, la scelta e anche la produzione in proprio dei materiali didattici; esistono da anni esperienze-pilota di libri digitali autoprodotti dalle scuole (Book in Progress); nella quasi totalità delle nazioni europee non esiste l’obbligo dell’adozione di libri di testo, che compete per lo più agli insegnanti e ai singoli istituti scolastici.

La scuola è investita in prima persona da una profonda rivoluzione tecnologica e sociale, di cui l’emergenza covid19 risulta essere un ulteriore fattore di accelerazione, e non può più sottrarsi a uno sforzo collettivo di revisione critica dei suoi fondamentali: tra tutti il “libro di testo”, l’architrave secolare, ma ora pericolante di un edificio culturale che ha bisogno di basi più solide e avanzate.
Perdonate l’enfasi: se non ora quando?

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Dario Siess

È docente e Presidente dell’associazione “Filosofi per Caso”.

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