La chimica della frase

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Superbo, / Il Verbo / Tratta da burattino / Il soggetto e il suo destino. / Ai miei ordini: / Un! Due! Tre! / Fa, / Subisce / oppure è. (Andrée Chedid, Fêtes et lubies. Petits poèmes pour les sans-âge, Flammarion, 1999).

 

Questa poesiola, mandata a memoria da molti bambini francesi, riassume bene l’identità del “soggetto” grammaticale: un sottoposto (dal lat. subiectum, derivato di subicere ‘sottoporre’) del verbo. All’interno di una frase, il soggetto ha poco potere: si limita a imporre al verbo l’accordo di persona e numero. Ma è sempre il verbo a decidere quale ruolo il soggetto dovrà interpretare sulla scena della frase: spesso il protagonista, ma altrettanto spesso un primus inter pares: un argomento tra gli altri, necessario per completare il significato del verbo.

In una frase come Paola coglie i fiori, i fiori sono importanti quanto Paola per mettere in scena l’evento descritto dal verbo (l’azione di cogliere, cioè “prendere qualcosa staccandolo”): Paola coglie non è una frase completa. In una frase come A Paola piacciono i fiori, del resto, è evidente che stiamo parlando ancora degli stessi personaggi (Paola e i fiori), entrambi necessari per la completezza della frase, ma la scena è diversa: i fiori (soggetto) non compiono nessuna azione e Paola si limita a recitare la parte di chi sperimenta una certa sensazione (come nella frase Paola ama i fiori, in cui Paola è in posizione di soggetto, ma non è l’agente, cioè la responsabile di un’azione, visto che amare non è un’azione, ma un sentimento, anche se comporta delle responsabilità, anche verso i fiori che si coltivano).

Questa visione della frase, che fa parte del patrimonio comune di tanti studenti francesi e tedeschi, e che noi stessi abbiamo applicato più o meno consapevolmente nella traduzione dal latino (partendo dal verbo e interrogandoci sulla sua costruzione: aliquis amat aliquem o aliquam rem, come si legge sul dizionario IL di latino alla voce amo, as, avi, atum, are), in Italia ha tardato e stenta ad affermarsi, almeno nella didattica dell’italiano, in cui si continua a fare la cosiddetta analisi logica partendo dal soggetto, facendo coincidere il predicato (“ciò che viene predicato, detto intorno al soggetto” col solo verbo (indipendentemente dal tipo di verbo in questione) e aggiungendo alla diade soggetto-predicato (spesso chiamata, sulla scia di Martinet, “frase minima”) una “selva” di complementi senza ordine e gerarchia – come scrive Francesco Sabatini nella sua Lettera sul ritorno della grammatica (2004).

Su questo tema riflette un piccolo e prezioso libro uscito recentemente per Carocci: La frase: analisi logica (Bussole, terzo volumetto della collana “Grammatica tradizionale e linguistica moderna”, 2012), opera di Giorgio Graffi, uno dei maggiori rappresentanti in Italia della corrente linguistica chiamata grammatica generativa: un modello formale di analisi della frase sviluppato negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso, grazie ai lavori di Noam Chomsky (1928-).

Negli stessi anni, in Francia, prendeva avvio un altro modello di descrizione della frase, basato sulla centralità del verbo, grazie ai lavori dello strutturalista Lucien Tesnière (1893-1954): la grammatica valenziale, così chiamata perché basata sulla metafora chimica della “valenza” o legame chimico: il verbo, come un elemento chimico, ha la capacità di legare a sé un certo numero di elementi (nomi o pronomi) per formare quello speciale composto che sono le nostre frasi. Quest’ultimo modello ha trovato sviluppi soprattutto in Germania (dove è nota col nome di “grammatica della dipendenza”) a partire dalla fine degli anni ’60, specialmente in ambito lessicografico. In Italia il modello è stato adottato a partire dagli anni ’70 dal latinista Germano Proverbio, e applicato alla descrizione dell’italiano da Francesco Sabatini in manuali scolastici di grammatica pubblicati a partire dagli anni ’80 dalla casa editrice Loescher (si veda, da ultimo, Sistema e testo, 2011) e nel dizionario italiano Sabatini Coletti, conosciuto come DISC (Giunti 1997, nuova ed. Larousse 2007), che descrive tutti i verbi a lemma secondo il principio della valenza.

I rapporti e le affinità tra i due modelli (in particolare per quanto riguarda l’idea che la frase si costruisce a partire dalle proprietà del verbo, e la distinzione tra elementi obbligatori ed elementi facoltativi della frase) sono chiarite da Graffi nel suo volumetto.

Se il modello generativista risulta però difficilmente proponibile nelle scuole, vista la complessità del suo formalismo, il modello valenziale risulta particolarmente efficace nell’insegnamento dell’italiano sia come lingua madre (L1) e sia come lingua seconda (L2). Su questo tema si è riflettuto venerdì 14 dicembre, nel corso di un convegno organizzato presso l’Università di Milano, intitolato: “Il ruolo della grammatica valenziale nell’insegnamento delle lingue straniere”.

I numerosi contributi, di linguisti italiani e tedeschi, hanno confermato la vitalità di questa corrente di studi e la sua utilità sia nella pratica lessicografica – come mostrano i numerosi dizionari bilingui tedesco-italiano della valenza verbale elaborati a partire dagli anni ’90 da Maria Teresa Bianco e Martina Nied-Curcio tra gli altri, e da ultimo la pubblicazione del Nuovo dizionario di tedesco di Luisa Giacoma e Susanne Kolb (Zanichelli, 2009) – e sia nella didattica delle lingue: riflettere sulle valenze dei verbi ci aiuta riflettere sulle specificità e sulle differenze sintattiche e semantiche tra due o più lingue. Come ha illustrato Fabio Mollica nella sua relazione, i “falsi amici” (parole di una lingua simili nella forma, ma diverse nel significato: come l’italiano fermare e il francese fermer “chiudere”) non riguardano solo il lessico, ma anche la sintassi: due verbi di forma e significato simile possono avere costruzioni diverse in due lingue vicine (es. italiano concentrasi su e spagnolo concentrarse en; it. interessarsi a/di e sp. interesarse por; it. telefonare a e sp. telefonar).

D’altra parte, nella didattica dell’italiano come L1, la grammatica valenziale permette di far vedere in modo semplice e intuitivo i confini della frase e i rapporti gerarchici al suo interno, grazie anche a una nuova modalità di rappresentazione grafica (gli schemi radiali elaborati da Francesco Sabatini) che rende in modo efficace il senso di profondità della frase, nascosto dalla disposizione lineare delle parole. Permette inoltre di collegare la prospettiva grammaticale (l’analisi “in laboratorio” di frasi sottovuoto, come Paola ama i fiori, o Le scarpe sono brutte) alla prospettiva testuale, fornendo una griglia di fenomeni linguistici che caratterizzano i diversi tipi di testo a seconda del grado di rigidità o di elasticità che presentano: in un testo giuridico, che vincola il destinatario a un’interpretazione tendenzialmente univoca delle frasi, tutti gli argomenti di un verbo saranno esplicitati (tutte le valenze saranno cioè “saturate”); in un testo letterario, invece, potremo incontrare una frase come La sventurata rispose, che lascia aperto lo spazio dell’interpretazione e dell’immaginazione narrativa.

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Cristiana De Santis

Ricercatrice di Linguistica italiana presso l’Università di Bologna (sede di Forlì). È coautrice della grammatica Sistema e testo (Loescher, 2011).

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