L’iperstoria e il suo paradosso: riflessioni sull’infosfera #1

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Luciano Floridi è docente di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford e direttore del Digital Ethics Lab. Nel suo “La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo” affronta il tema delle trasformazioni della tecnologia e perciò del nostro vivere quotidiano.

La tesi centrale del libro è che stiamo vivendo un’autentica rivoluzione a motivo del diffondersi delle ICT (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Essa ha conseguenze “pervasive, profonde e incessanti” (cfr. p. IX). Il testo, che si dichiara filosofico ma non riservato a filosofi, costituisce uno strumento utile per chiunque voglia riflettere sul rapido mutarsi sociale e antropologico messo in atto dallo sviluppo della tecnica.
In quanto segue e in due futuri interventi riprenderò, di volta in volta, uno dei molti temi presentati dall’autore.

Il primo capitolo del testo di Floridi è dedicato all’iperstoria. L’autore usa i tre concetti, preistoria, storia e iperstoria, non per marcare la linea del tempo, quanto piuttosto per designare dei modi di vita. Dopo tutto, ci sono ancora oggi delle popolazioni isolate che vivono preistoricamente, cioè senza registrare documenti. Altre popolazioni vivono invece storicamente, cioè usano le ICT, ma senza che queste abbiano preso il sopravvento. Solo rispetto ad alcune popolazioni, infine, si può parlare di “società dell’informazione” e ciò perché in queste il progresso e il benessere hanno iniziato a dipendere dall’efficacia e dall’efficienza nella gestione delle informazioni. La capacità che hanno i paesi sviluppati di elaborare l’informazione, generandola, registrandola, trasmettendola, manipolandola e usandola, tanto da trarne un’economia, giustifica che si parli per essi di iperstoria. Questa comporta, mi è parso leggendo il capitolo, nuovi problemi e nuovi pericoli. Vediamo in che senso.

Per quanto riguarda i problemi, mi paiono particolarmente rilevanti quelli relativi alla memoria e all’oblio. Mi limito a menzionarne tre. Il proliferare esponenziale dei dati crea un problema di gestione ed elaborazione dei così detti big data. «Nell’iperstoria, – scrive Floridi – salvare è l’opzione di default. Il problema diventa cosa cancellare» (p. 22). Infatti, nell’impossibilità pratica di salvare tutto, bisogna fare delle scelte. Se il criterio fosse che il più recente cancella il più vecchio, ne seguirebbe l’oblio del passato. Bisognerà dunque trovare delle soluzioni perché il processo non sia cieco, o forse sarebbe meglio dire «miope», cioè incapace di guardare lontano.
In secondo luogo, vi è il problema dell’obsolescenza dei dati, perché invecchiano rapidamente le tecnologie che li raccolgono (si pensi ai floppy disk) e li codificano (vedi i programmi). Esistono inoltre milioni di pagine internet “abbandonate”, perché una volta create nessuno più le aggiorna, e ciò si accompagna al problema della decadenza dei link, cioè di quei link che non rinviano più a risorse effettivamente disponibili.
Vi è poi, in terzo luogo, quello che Floridi chiama il paradosso della “preistoria digitale” (p. 19). Le ICT non conservano il passato, perché ciò che ci consegnano tende a non tenere conto delle manipolazioni intervenute e perciò si offre come un eterno presente: la pagina web o il documento che si aggiorna continuamente non conserva memoria delle versioni precedenti, perciò in esso va perso il momento storico. L’esito è ben chiarito da Floridi: «Il rischio è che le differenze siano cancellate, le alternative amalgamate, il passato costantemente riscritto e la storia ridotta a un perenne qui e ora» (ivi).

Quanto ai pericoli, mi pare rivelatore un esempio portato da Floridi e ripreso da un articolo del 2012 su Forbes (cfr. p. 17). La società americana di vendite Target aveva sviluppato una profilazione degli acquirenti, monitorando i dati di vendita di alcuni prodotti legati alla gravidanza e alla prima infanzia. Di fatto, l’analisi predittiva le aveva consentito di calcolare la data prevista per il parto di una cliente, e di inviare perciò gli appropriati coupon commerciali alla famiglia. Senonché, proprio l’invio dei coupon fu causa di gravi problemi, perché la ragazza non aveva fatto conoscere ai genitori la propria condizione.
L’esempio, come osserva Floridi, ha una valenza etica. L’elaborazione dei dati può portare a corsi di azione che creano conseguenze indesiderate, negative ed eticamente problematiche. Una società in cui i nostri dati personali fossero processati in maniera tale da sottrarre la nostra immagine sociale al nostro controllo causerebbe pericoli gravi e inediti. È perciò urgente cominciare a riflettere su questi temi per trovare soluzioni adeguate. Il testo di Floridi, con un understatement tutto inglese, si propone di “offrire qualche pezzo di legno” per costruire una zattera mentre stiamo nuotando (p. XIV).

Leggi la seconda parte: Giano ovvero la tecnologia: riflessioni sull’infosfera #2 e la terza: Il che cosa dell’istruzione elettronica: riflessioni sull’infosfera #3

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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