L’educazione alla parità di genere in Europa

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Il livello di impegno nella lotta contro gli stereotipi di genere è maggiore negli Stati in cui l’educazione sessuale è da tempo una materia obbligatoria nelle scuole. Solo in Polonia, Spagna, Grecia e Italia non lo è.

Il livello di impegno nella lotta contro gli stereotipi di genere è maggiore negli Stati in cui l’educazione sessuale è da tempo una materia obbligatoria nelle scuole. Solo in Polonia, Spagna, Grecia e Italia non lo è.

Dallo spettacolo “The Laramie Project”

Fra i suggerimenti in vista della parità di genere rivolti agli Stati dalle organizzazioni internazionali (ultima, ma solo in ordine di tempo, la relazione svolta lo scorso anno dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento Europeo), vi è il rendere obbligatoria l’educazione sessuale per gli alunni di tutte le scuole, dalle elementari ai licei. In effetti, la possibilità di sviluppare discorsi sulla parità di genere all’interno di corsi finalizzati al corretto esercizio della sessualità sembra dividere i Paesi europei in due gruppi, come spiega il documento Standard per l’educazione sessuale in Europa elaborato nel 2013 dal Centro Federale per l’Educazione alla Salute tedesco (BZgA) per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Al primo gruppo appartengono i Paesi scandinavi, il Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo), la Francia e la Germania, nei quali l’educazione sessuale svolta nelle scuole è giudicata «sufficiente o buona». Al secondo gruppo appartengono la Polonia, nelle cui scuole si evita qualsivoglia argomento connesso alla sessualità, e i Paesi mediterranei, Spagna, Grecia e Italia, i cui programmi scolastici sono in questo campo «carenti o inesistenti».

La Svezia all’avanguardia
La Svezia conferma la sua fama di Paese particolarmente attento agli stili di vita e alla lotta contro le discriminazioni. La sex och samlevnadsundervisning (impronunciabile traduzione di “educazione sessuale”) è praticata già dal lontano1955 in tutte le scuole, variamente declinata secondo gli indirizzi, ma obbligatoria per tutti i ragazzi dopo i 12-13 anni.
Nel 2011 nelle scuole svedesi è arrivato Sex på kartan (La mappa del sesso), un cartoon che risponde alle domande più frequenti che i giovani hanno sul sesso, prodotto dalla Associazione svedese per l’educazione alla sessualità, e dalla società pubblica Swedish Educational Broadcasting Company. Racconta la storia di cinque studenti che si ritrovano in biblioteca per un corso di matematica e invece seguono una lezione di educazione sessuale. I contenuti sono molto espliciti e non rinunciano a illustrare in modo realistico un rapporto sessuale fra due adolescenti, come si può verificare visionando il video, reperibile su YouTube.
Diversi cartoni animati finalizzati all’educazione sessuale sono trasmessi anche dalle televisioni svedesi. Il 17 gennaio Sveriges Television, la Tv pubblica, ha mandato in onda Snoppen och snippan (Pene e vagina), un breve cartone animato (un solo minuto) che mostra gli organi sessuali in versione cartoon che cantano e ballano. Il video ha diviso la società svedese. Su You Tube è subito diventato virale superando tre milioni di visualizzazioni, ma migliaia di genitori hanno lasciato commenti negativi. Con la stessa radicalità e con notevole impiego di risorse pubbliche (110 milioni di corone), a partire dal 2008 la Svezia ha affiancato all’educazione sessuale specifici programmi finalizzati alla parità di genere nel mondo dei bambini. Finora nessun Paese ha osato tanto.
Ne è un esempio il Nicolaigarden, un asilo pubblico di Stoccolma che dal 2012 ha introdotto il pronome neutro hen in luogo di lui (han) o lei (hon), e che propone ai bambini racconti i cui protagonisti sono genitori single, figli adottivi o coppie dello stesso sesso, invitando le bambine a non interessarsi solo alle cucine giocattolo e i bambini a non entusiasmarsi solo per i mattoncini Lego. Quando un maschio si fa male, gli insegnanti si premurano di confortarlo esattamente come fanno con le bambine. E tutti possono giocare con le bambole, alcune delle quali sono di colore. Il modello ha avuto tanto successo che due anni fa il Nicolaigarden ha aperto una succursale, chiamandola Egalia, a sottolineare l’impegno sul tema dell’uguaglianza di genere.

Dallo spettacolo “The Laramie Project”

Dalla scuola alla società
Anche se non esistono statistiche riguardo il numero di asili emuli del Nicolaigarden, è certo che numerosi maestri hanno autonomamente introdotto l’uso del pronome hen, desessualizzando così i protagonisti delle narrazioni scolastiche, così come evitano i termini boys e girls in favore del neutro children.
Certamente vi sono state proteste, ma deboli e comunque relativizzate da un ambiente complessivamente favorevole alle innovazioni. Di fatto la scuola svedese è riuscita a diventare un fattore di trasformazione civile, promuovendo una nuova mentalità influente su tutta la società.
Lo dimostra il caso dei giochi. Nel 2008 la multinazionale svedese Toytop è stata rimproverata dal garante per la pubblicità per aver diffuso un catalogo natalizio di giocattoli giudicato sessista perché raffigurante bambine vestite da principesse e maschietti travestiti da super eroi. Toytop ha deciso di modificare il proprio catalogo inserendo immagini di bambini che allattano bambolotti e di bambine che sparano con fucili.
L’esempio ha avuto effetti sul mercato. La popolare catena di negozi inglese Marks & Spencer dal 2014 ha modificato le etichette dei propri giocattoli in perfetto stile “gender neutral”, eliminando scritte come “Boy’s Stuff” (cose da ragazzi) e “Little Miss Arty”(signorina artistica). I creatori della popolare pistola Nerf hanno addirittura lanciato un modello speciale in versione rosa dedicata alle ragazze.

Dallo spettacolo “The Laramie Project”

L’educazione sessuale nei Paesi del Nord
Pur se in forme meno estreme, negli ultimi anni i temi connessi alla parità di genere sono stati inseriti nei programmi scolastici di tutti i Paesi del Nord Europa.
In Danimarca, in cui l’educazione sessuale è materia di studio obbligatoria già dal 1970, itemi di genere sono affrontati in modo trasversale nell’ambito di tutte le materie; in qualsiasi momento gli studenti possono fare domande sull’argomento e tutti i docenti possono farne oggetto di lezione quando vogliono o quando si inciampa in uno stereotipo di genere nello svolgimento del programma. Le scuole sono incentivate a invitare sia esperti, come sessuologie psicologi, sia adulti portatori di esperienza, come prostitute o omosessuali. I genitori non possono chiedere che i figli siano esentati, e in molti casi le scuole cercano di coinvolgerli direttamente nelle lezioni di educazione sessuale.
In Olanda i primi programmi di educazione sessuale nascono negli anni Sessanta. Oggi ve ne sono due in vigore. Per i ragazzi tra i 4 e i 12 anni nel 1990 è stato creato Relationship and Sexuality, adottato oggi da circa 350 scuole, il 10% del totale. Prevede 50 ore di lezione sui temi più disparati: conoscenza del corpo umano, nudità, differenze tra uomo e donna. Per i ragazzi delle superiori vi è Long Live Love, il cui teaching pack è messo a punto tra gli altri dal Rutgers Wpf, osservatorio sulla sessualità olandese, e dall’Università di Maastricht. È costituito da 6 DVD, una rivista, e un sito web; il programma prevede 6 lezioni in un anno in cui studenti tra i 13 e i 15 anni discutono di autopercezione, percezione dell’altro genere, amore, significato di sesso, abusi sessuali. Anche in Germania l’educazione sessuale è obbligatoria da molto tempo (1977). Pur regolamentata dai singoli Lander, comincia a 9 anni e prevede ore di lezione all’interno dei corsi di religione, educazione civica, etica e biologia.
Anche in Germania questi programmi sono stati aggiornati includendo temi connessi alla parità di genere. Qualche anno fa il ministero per la famiglia si è fatto promotore dell’istituzione di un “Gruppo di Lavoro Interministeriale per il Gender Mainstreaming”, che si avvale della consulenza del “Centro di Competenza Gender” presso l’università Humboldt di Berlino. Il materiale prodotto è distribuito gratuitamente a genitori, insegnanti, educatori, scuole e studenti.

L’esperienza francese
Particolarmente interessante è il caso francese, se non altro perché è quello cui guardano con preoccupazione le associazioni cattoliche italiane refrattarie alle innovazioni.
Il confronto, tuttavia, è viziato dal fatto che anche la Francia possiede una lunga tradizione nel campo dell’educazione sessuale. Già nel 1973 è stato creato il Conseil Supérieur de l’Information Sexuelle, CSIS (rimpiazzato nel 2013 dallo Haut Conseil à l’Egalité), un organismo consultivo composto per due terzi da rappresentanti della società civile (associazioni rappresentanti le famiglie, onlus attive nella pianificazione famigliare) e per un terzo da rappresentanti delle istituzioni, a partire dal ministero degli affari sociali, capocordata del progetto.
Nel 1996 il ministero dell’Istruzione ha introdotto la prevenzione dell’Hiv nei programmi scolastici, imponendo agli insegnanti di seguire un corso di aggiornamento di due ore l’anno sulle nuove politiche relative ai diritti e alla salute sessuale. Dal 1990 alle scuole è stato dato il permesso di avvalersi di agenzie extrascolastiche, ovviamente sotto certe condizioni. La data veramente importante è il 2001, quando l’educazione sessuale diventa una materia autonoma a tutti i livelli scolastici, a partire dall’età di sei anni, con almeno tre diversi cicli di lezioni durante l’anno, obbligatoria e senza possibilità di esenzione su richiesta delle famiglie, le quali d’altra parte sono spesso consultate in varie forme.

I genitori come problema
Fin dagli inizi si è imposta una visione olistica e trasversale per cui l’educazione sessuale deve integrare conoscenze biologiche, psicologiche, emotive, sociali, etiche e culturali e insegnare la prevenzione e riduzione dei rischi sessuali, la lotta contro la violenza e lo sfruttamento dei minori, l’omofobia e il razzismo. Per questo anche in Francia i corsi sull’educazione sessuale sono stati nell’ultimo decennio l’ambito in cui si è cominciato ad affrontare tematiche di genere.
Non senza qualche errore iniziale, ovviamente foriero di polemiche. Molto, ad esempio, si è discusso sul caso di Que font les petits garçons, un album illustrato di 40 pagine, scritto nel 2000 da Nikolaus Heidelbach ed edito da Seuil Jeunesse, indicato negli anni seguenti fra i libri di lettura consigliati per il terzo ciclo delle scuole elementari da numerose autorità scolastiche provinciali.
L’opuscolo, che si presenta come un abbecedario, affronta con illustrazioni fortemente esplicite due temi, come si legge nelle indicazioni per i maestri curate dall’Accademia di Lione, «assenti dalla letteratura per l’infanzia e volutamente provocatori: la sessualità e la morte». Tanto che la stessa istituzione consigliava ai maestri di usare questo materiale didattico di nascosto, senza che i genitori potessero vederlo: «È imperativo che la fase di scoperta [di questi temi] avvenga in classe, questo album non è fatto per essere portato a casa. Le reazioni molto negative di alcuni adulti verso i contenuti potrebbero compromettere il suo utilizzo». Ovvia l’indignazione dei genitori.

Il programma ABCD de l’égalité
Polemiche ancor più forti ha provocato il programma ABCD de l’égalité, lanciato dal ministro dell’Educazione nazionale, Vincent Peillon, e dalla ministra per i Diritti delle Donne, Najat Vallaud-Belkacem. Nel gennaio 2014 è stato proposto come sperimentazione in 275 scuole e circa 600 classi, rivolta ai ragazzi dall’ultimo anno di scuola materna (5-6 anni) all’ultimo delle primarie (10-11 anni). In dieci ore di attività nel secondo semestre gli insegnanti, con il supporto di materiale e indicazioni didattiche, hanno introdotto nei loro programmi curricolari, in particolare scienze, letteratura, storia, educazione fisica e attività sportive, temi finalizzati a «educare alla cultura dell’uguaglianza fra i sessi» per «eliminare pregiudizi e stereotipi che possono essere alla base di discriminazioni».
A questa sperimentazione annuale, tuttavia, non ha fatto seguito la prevista estensione del programma a tutte le scuole. La pausa di riflessione è stata motivata, secondo le rilevazioni del ministero, dalle difficoltà degli insegnanti, sia nell’affrontare temi su non sono adeguatamente preparati sia nel gestire il problematico rapporto con i genitori. Francesca Nicola è dottore in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

[L’articolo è uscito anche sul blog La letteratura e noi diretto da Romano Luperini.]

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