Merita di essere visitato in primo luogo per la sede (fig.1), il convento quattrocentesco dei Gesuati aggrappato al colle di San Pietro, dove era ubicato il primo centro abitato di Verona, a strapiombo su quel che resta del teatro romano e con vista sull’intera città, verso sud-ovest. Negli ambienti interni e negli spazi esterni dell’edificio conventuale è ora esposta la civica raccolta archeologica, costituita da ritrovamenti dal territorio e pezzi da collezione, non solo dunque di provenienza veronese e di epoca romana. Il riordino è avvenuto con il coordinamento scientifico di Margherita Bolla; l’allestimento, sobrio e funzionale, è di Alba Di Lieto.
Fino al 28 giugno 2016 il museo sarà aperto al pubblico al prezzo simbolico di 1 euro, e numerose sono state le scolaresche veronesi che negli ultimi giorni dell’anno scolastico appena concluso hanno approfittato dell’occasione per ristabilire un dialogo interrotto con quelle pietre così a lungo sottratte al confronto con la contemporaneità. Ritrovarle, vederle così ben sistemate è stato emozionante, non solo per chi ama il mondo classico e, come insegnante, si impegna quotidianamente per sviluppare una consuetudine con l’antico, ma, credo, anche per i tanti cittadini non ancora sordi a certi richiami. D’altra parte il Museo archeologico è contiguo al teatro romano, che proprio in questi giorni e nei prossimi mesi estivi propone un calendario fitto di incontri culturali (qui e qui).
Desidero con questa breve nota proporre ai lettori de La ricerca una visita del nuovo Museo. L’ingresso avviene dal rinascimentale palazzetto Fontana, sul lungadige Redentore. Attraversando l’orchestra del teatro e risalendo le gradinate della cavea, dopo aver osservato la struttura ancora perfettamente leggibile del teatro, si raggiunge il convento dei Gesuati dove il percorso museale si snoda su tre livelli.
- Fig. 1 – Sopra la cavea del teatro, a destra la chiesa di Santa Libera, a sinistra il convento dei Gesuati, sede del Museo archeologico.
- Fig.2 – Fontana in marmo da piazzetta Navona ornata con Tritoni.
- Fig.3 – Oggetti dalla tomba del medico di via Trezza.
- Fig.4 – Lucerna con maschera comica di vecchio barbuto.
- Fig.5 – Frammento di oscillum con vecchio satiro
- Fig. 6 – Ritratto in bronzo da Pestrino (fonte: Wikipedia)
- Fig. 7 – Refettorio: sala della scultura in marmo di provenienza veronese
- Fig. 8 – Statua onoraria seduta da piazza Duomo
- Fig. 9 – Statua mutila di imperatore
Il terzo livello: spazi e edifici cittadini
Si inizia dall’alto, dal terzo piano, con un’ampia sezione completamente nuova dedicata alla città romana e articolata in tre sezioni: “Abitare a Verona”, “Le necropoli”, “Gli edifici pubblici”.
La storia della romanizzazione del territorio veronese comincia con l’apertura di un’importante arteria nel sistema viabilistico della Gallia Cisalpina, la via Postumia, da Genova ad Aquileia, che prende il nome dal console del 148 a.C., Spurio Postumio Albino. Verona entrò poi nel sistema amministrativo romano come colonia nell’89 a.C. e come municipium nel 49 a.C., evento determinante per la crescita demografica e lo sviluppo urbanistico e monumentale della città.
Pavimenti musivi esposti nella Chiesa di San Gerolamo, integrata nel percorso museale al piano sottostante, arredi e apparati decorativi da abitazioni private, come l’elegante fontana con Tritoni da piazza Navona (fig.2) o la doppia erma con teste di baccante in bronzo, documentano un diffuso benessere fra la popolazione. Nei tratti extraurbani della Postumia e della Claudia Augusta, la cui costruzione fu da Druso avviata nel 15 a.C. per scavalcare le Alpi, sono state localizzate le affollate necropoli.
Da queste provengono le iscrizioni funerarie che si trovano all’esterno, nel chiostro e nella terrazza panoramica del secondo livello, mentre nella nuova sezione allestita all’interno si possono osservare alcuni corredi funerari.
Spicca quello della “tomba del medico di via Trezza” (fig.3), risalente al II secolo d.C. e rinvenuta nel 1910 in una zona in cui la fonte epigrafica attesta la presenza di tombe di liberti di origine straniera. Nella sepoltura a camera, con due urne cilindriche in calcare, contenenti le ceneri dei defunti, sono stati ritrovati oggetti inusuali (fig.3): piccoli contenitori in vetro di varie forme usati nell’ambito della farmacopea e strumenti in bronzo come pinze, bisturi, cesoie propri dell’esercizio della professione medica; rocca e fuso in ambra riconducibili all’attività della filatura, ventagli e vari monili tipici dell’universo femminile. Gli studi hanno ipotizzato che si trattasse della sepoltura di un medico e della sua giovane figlia, con un ricco corredo espressione della “voglia di apparire” di quel ceto libertino tanto bene Petronio ha descritto nel suo Satyricon.
Un apposito spazio espositivo è dedicato ad alcuni degli edifici di maggior rilievo dell’epoca romana: l’Arco dei Gavi e l’anfiteatro (rappresentati da due straordinari plastici lignei, rispettivamente ottocentesco e settecentesco), senza trascurare il teatro nei suoi vari aspetti (la ricostruzione della struttura, i documenti sugli spettacoli e i reperti dagli scavi).
Le raffinate sculture di pertinenza del teatro ne lasciano immaginare il ricco arredo, con oscilla, lucerne, erme, statue di divinità e onorarie (figg. 4 e 5): una grande varietà di oggetti destinati in parte alla sospensione, in parte a integrare l’architettura, in parte ad assolvere scopi decorativi o celebrativi del potere. Il percorso al terzo piano si conclude con una sezione sul Santuario di Iside e Serapide, situato nella zona del teatro, sulla sommità del colle di San Pietro, a testimonianza della importanza anche a Verona dei culti di origini orientale in età imperiale.
Il piano principale: il regno della scultura e del collezionismo
La visita prosegue nel piano principale, a partire dal nuovo spazio espositivo creato per la scultura in bronzo: la testa virile proveniente da località Pestrino d’età tardo repubblicana (fig.6), appartenente a un anziano cittadino veronese e chiaramente ispirata all’iconografia di Giulio Cesare, continua ad essere l’evidenza maggiore, ma accanto ad essa trovano posto alcuni frammenti bronzei di statue onorarie.
D’altronde un’epigrafe funeraria riportata alla luce nel 1996 menziona Q. Dellius Myro, un liberto, di professione statuarius: il termine designa chi realizza statue in bronzo di grandi dimensioni, attività che a Verona doveva avere grande rilievo.
Testimonianze dell’arte scultorea della Verona romana, ma non necessariamente prodotta in loco, sono esposte nel refettorio del convento (fig.7): dalla zona di piazza Duomo, dove sorgevano le terme, provengono un gruppo di statue femminili panneggiate, fra cui spiccano quella seduta del II sec. d.C., probabilmente copia di una statua della scuola di Fidia (fig.8), e un ritratto del giovane Ottaviano di altissima fattura. Non passa inosservato il busto acefalo di una statua onoraria di grandezza maggiore del vero di un imperatore loricato, con corazza e mantello, probabilmente un principe della famiglia giulio-claudia (fig. 9).
I restanti ambienti, i corridoi e le celle comunicanti del convento conservano alcuni pezzi da collezione: una galleria di sculture in marmo (alcuni ritratti, una grande statua di togato del I-II sec. d.C. con testa, non originale, attribuita ad Antonio Canova, un puteale con rilievo di Menadi danzanti e un’Artemide Efesia) e una cospicua raccolta di bronzetti di varia provenienza, d’età preromana e imperiale.
Questi materiali sono la prova di una straordinaria vivacità del collezionismo antiquario a Verona fin dall’età rinascimentale; il fenomeno ha la manifestazione maggiore nell’attività di Scipione Maffei, che nella prima metà del Settecento realizzò il primo museo pubblico d’Europa, il Lapidario Maffeiano, proprio a partire dalle epigrafi provenienti da collezioni private.
La raccolta epigrafica
Su due livelli è distribuita la collezione epigrafica costituita dai ritrovamenti veronesi ed ordinata per tipologia: al secondo piano all’aperto, nel chiostro e nella grande terrazza, sono esposte le iscrizioni funerarie e quelle onorarie, mentre nel livello inferiore, nell’oratorio e nella portineria del convento, le epigrafi sacre. Si tratta della sezione che meno è stata interessata dal riordino: sono evidenti su alcuni monumenti interventi di pulizia e restauro e certamente opportuno è stato lo spostamento delle are ad Iside nello spazio espositivo dedicato al culto egizio al terzo livello, mentre purtroppo ancora fra le strutture del teatro rimangono accatastate tante iscrizioni che potrebbero trovare una migliore sistemazione.
Mi rendo conto che la critica è forse troppo severa: Verona è una città davvero fortunata rispetto ad altre realtà perché centinaia di monumenti epigrafici, al Teatro Romano e al Lapidario Maffeiano, sono a disposizione del pubblico, di chi voglia studiare epigrafia o di chi, da insegnante, voglia far conoscere agli studenti le pietre che parlano, intrecciando nel suo percorso di lingua e civiltà latina fonti di diversa natura.