Kostas Charitos e la rivolta delle Cariatidi

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È da poco uscito l’ennesimo libro di Petros Markaris dedicato alle indagini del commissario Charitos che si intitola “La rivolta delle Cariatidi. Una nuova indagine di Kostas Charitos”, La nave di Teseo, Milano 2023. Dunque, come è avvenuto per molti altri precedenti, ne farò una breve riflessione su queste colonne.
L’Eretteo

Investimenti stranieri in terra di Grecia: fautori e oppositori

In quest’ultimo romanzo Kostas Charitos è stato promosso direttore delle forze di polizia dell’Attica, e il suo posto di responsabile della Squadra omicidi è stato preso da una giovane e preparata commissaria, Antigone Ferleki. Ai due, una vera e propria inedita “coppia” di investigatori, si presenta subito una grana molto complessa (anzi un insieme di grane…), dai risvolti non solo criminali, ma anche politici, sociali, morali e perfino culturali.
Il tutto inizia con l’arrivo in Grecia di alcuni imprecisati investitori stranieri che hanno – a loro dire – un duplice scopo: da un lato rivitalizzare il turismo locale tramite la valorizzazione delle antichità classiche, dall’altra reinventare (non si capisce bene come…) l’antica democrazia ateniese. La promessa (in realtà un po’ fumosa) è quella di iniettare nell’economia ellenica fiumi di denaro e di dar vita a progetti (per lo più edilizi) di vario genere, e questo divide la pubblica opinione: alcuni sono infatti entusiasti, altri sono scettici, quando non veri e propri oppositori.

La resistenza delle Cariatidi, la serie di delitti

Tra questi ultimi troviamo delle giovani donne, che si fanno chiamare «le Cariatidi» (come le note statue-colonne dell’Eretteo), le quali danno vita a una serie di manifestazioni e campagne social per sensibilizzare la popolazione e – in qualche misura – provare a convincerla dell’inopportunità di questa “svendita” del loro Paese a capitali stranieri. Ne consegue una scia di delitti, che vedono come prima vittima proprio una delle Cariatidi più attive: si afferma infatti in Grecia una linea di opinione che vede in queste ragazze (tutte assai colte e specializzate in archeologia o storia antica) un ostacolo allo sviluppo economico nazionale.
I due investigatori e i loro collaboratori, muovendosi tra il web, le piazze ateniesi, i locali per giovani, le facoltà universitarie, vengono a poco a poco a capo di questa delicata questione: lo fanno con acume, fermezza, ma anche con quella umanità che Charitos ha sempre avuto e che sembra essere la caratteristica più evidente anche della sua giovane sostituta.

L’umanità di Charitos nel contesto del giallo mediterraneo

Umanità, si diceva. Che poi è quella che traspare pure nel Charitos “familiare”, nei rapporti con la moglie Adriana – ottima cuoca –, la figlia Caterina, il genero Fanis, l’adorato nipotino Lambros che in ogni nuova puntata della saga del commissario (ora direttore) diventa sempre più protagonista. Così come nient’affatto secondaria è la presenza di Lambros Zizis (omonimo, anzi eponimo del nipote) – militante comunista e antico “rivale” di Charitos, ma ora suo grande amico – che ha aperto ad Atene un centro modello di accoglienza per stranieri, dove l’umanità (lo ripeto ancora…) è di casa in ogni gesto e in ogni spazio.

Gli originali delle Cariatidi, al Museo dell’Acropoli

Insomma, ancora una volta abbiamo una manifestazione di quel «Giallo mediterraneo» (così lo ha definito talora la critica), con protagonisti i vari Maigret, Montalbano, Charitos, Pepe Carvalho, i quali non solo (al contrario, ad esempio, dei loro colleghi “nordici”) hanno doti empatiche che consentono loro di interloquire con vittime e carnefici, ma possiedono anche quella joie de vivre (soprattutto a tavola) che li fa sentire vicini alle debolezze dei loro lettori. Chi infatti non ha mai invidiato l’anatra all’arancia preparata dalla signora Maigret al marito, i pomodori ripieni (ghemistà) che Adriana Charitos appronta a tutta la grande famiglia allargata, o gli spaghetti con il nivuro di siccia che Montalbano mangia in silenzio da Enzo? Lasciamo perdere, poi le elaborate ricette di Pepe Carvalho e del suo aiutante Biscuter, che sono roba da ristorante stellato!

La duplice eredità della Grecia classica

C’è comunque una significativa novità in questo libro rispetto ai precedenti, e cioè il richiamo alla grecità classica, che sembra accomunare sia i presunti investitori stranieri sia le loro giovani rivali. Ma se nel primo caso è evidente che si tratta di un pretesto artificioso, nel secondo Markaris non nasconde che possa esistere un filo rosso che leghi la fierezza dei Greci dell’età di Pericle a coloro che a quell’epoca si rifanno apertamente, nel nome e anche nel coreografico abbigliamento. Si tratta di un atteggiamento non già di chiusura alla modernità, ma di rispetto di un passato che non può che essere percepito come identitario, così da vincolare chi vive in Grecia a custodire gelosamente quelle lontane memorie. Ciò appare chiaro già nella parte finale di una dichiarazione che le Cariatidi assegnano al web e così si conclude:

Non lasceremo che Zeus, Atena, Solone e Fidia siano ridotti a decorazioni sul trenino per turisti. E non permetteremo neppure che il tempio di Poseidone diventi lo sfondo panoramico di un porto turistico. Non consentiremo che gli antichi greci, tra cui anche i maschi che ci hanno torturato, vengano spediti nello spazio con astronavi specializzate in delivery.  Siamo le Cariatidi, ma non siamo ornamenti, bensì colonne. Da colonne delle case diventeremo colonne della nostra civiltà. Oggi è stata una giornata di lutto. Da domani inizia la lotta. Chiamiamo tutti a ribellarsi e a combattere con noi (p. 58).

Un recente saggio di Giusto Traina

Così il lettore, mentre segue Charitos nel traffico di Atene a bordo della sua Seat, riflette come gli antichi siano spesso stati (e ancora lo siano) “tirati per la giacchetta” in direzioni diverse. Ne abbiamo visto qualche esempio anche in alcuni miei passati articoli (tra gli altri uno su fascismo e romanità e un altro sull’uso dei classici in chiave razzista), e ne troviamo una casistica assai più ampia nell’interessante volume di Giusto Traina, I Greci e i Romani ci salveranno dalla barbarie?, Laterza, Roma-Bari, 2023. In quest’ultimo caso il punto interrogativo è d’obbligo, poiché il legame con la tradizione classica, più che salvarci dalla barbarie, è spesso servito a giustificarla, come è avvenuto anche da parte del regime nazista, che ha fatto un uso strumentale della grecità quale manifestazione archetipica della (cosiddetta, ovviamente) superiore «razza ariana». Scrive infatti Traina nel Capitolo I del suo libro (Radici):

In nome delle radici classiche dell’Occidente si sono giustificate e tuttora si giustificano brutte cose. L’esempio più evidente è l’operazione condotta da Hitler e altri gerarchi nazisti nei confronti della Grecia classica. Un momento chiave è rappresentato dalle Olimpiadi di Berlino del 1936, per cui Johann Chapoutot ha parlato a buon diritto di «annessione dell’antichità», una vera e propria annessione razziale dell’antica Grecia. Il tradizionale filellenismo della cultura tedesca veniva così adattato all’ideologia nazista (p.12).

Se poi passiamo al Capitolo II, intitolato La polis ci ha stressato, in fondo ci tuffiamo nella tematica che è tra i fili conduttori del giallo di Markaris: perché dalla polis classica ciascuno – con maggiori o minori ragioni – ha voluto trarre gli spunti o gli insegnamenti che voleva e che erano per lui più vantaggiosi. E se la nostra grande simpatia non può che andare alle Cariatidi e non ai famelici (quanto “pataccari”) investitori stranieri appassionati del regime democratico dell’antica polis, in fondo non possiamo che considerarli come diverse facce della stessa moneta. Una moneta che rappresenta simbolicamente la rilettura dell’antico con gli occhi del presente; una moneta passata nei secoli in mani assai diverse e – credo – ancora per molto tempo destinata a non essere riposta nel salvadanaio; una moneta che gli studiosi seri maneggiano con cura, prudenza, circospezione e anche (a buon diritto) con una certa dose di sospetto, ma della cui circolazione (continua la metafora numismatica…) debbono comunque essere ben consci.

In realtà il volume di Traina appena citato sia apre nel finale anche a considerazioni di più ampio respiro, e termina con un invito ai classicisti a non chiudersi nella torre d’avorio dell’iper-specialismo disciplinare, che è a suo dire una delle cause prime della crisi degli studi antichistici (pp. 84-88). Mi pare proprio, però, che non sia questa la sede per aprire una discussione su un tema così complesso, che ho più volte – parlandone con importanti studiosi o leggendone gli studi – visto affrontare da diversi punti di vista, invero tutti degni di attenzione e rispetto: perché se è vero che gli eccessi di tecnicismo e filologismo soffocano l’ariosità della tradizione classica, è altrettanto vero che si debbono evitare i rischi di un pressapochismo che i nostri Greci e Romani (e pure i barbari d’antan che essi hanno combattuto…) non si meritano proprio.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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