Sabato 21 settembre, inizio della nuova stagione astronomica, ha coinciso con la fausta nascita di Kosmos, nuovo spazio espositivo dedicato alle Scienze Naturali del Sistema Museale dell’Università di Pavia. Nel settore scientifico l’Italia non sfigura a confronto con gli altri paesi europei per numero di musei, sempre più apprezzati dal pubblico, se, ad esempio, il Museo di storia naturale di Londra è addirittura al sesto posto assoluto fra quelli più visitati d’Europa. In Italia, nello specifico, ci sono una quarantina di musei di storia naturale e in Lombardia 5 (a Bergamo, Sondrio, Lodi, Milano, Villa d’Almè).
Ora, Pavia e la sua Università, che sono luoghi dove la scienza come ordinamento del mondo è passata lasciando una traccia indelebile, hanno la possibilità di raccontare, con un linguaggio espositivo originale e all’avanguardia, la grande avventura umana di fronte al mistero dell’universo. Una “cospirazione” di istituzioni pubbliche ha infatti dato vita a quello che il rettore Fabio Rugge ha definito «non un semplice museo, ma l’esplorazione curiosa ed entusiasmante dell’universo creato dall’uomo».
Per far vivere questa esperienza nello “spettacolo del mondo”, si è scelto come contenitore un edificio fiore all’occhiello dell’urbanistica della città, già capitale di un regno: palazzo Botta Adorno, edificato nel 1702 dal marchese Luigi Botta, e residenza ambita da personaggi illustri quando visitavano Pavia; fra i tanti, Napoleone Bonaparte, Francesco I d’Austria, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, il maresciallo Joseph Radetzky, Vittorio Emanuele II di Savoia. A fine Ottocento, acquisito dall’Università, fu anche sede dell’Istituto di Patologia Generale in cui il premio Nobel Camillo Golgi studiò la struttura del sistema nervoso e dell’istituto di Anatomia comparata dove il neolaureato in medicina Vittorio Erspamer scoprì la serotonina.
Dunque un’équipe di studiosi e tecnici, appassionati e forse un po’ visionari, con i piedi saldamente ancorati al passato e con gli occhi acutamente rivolti al futuro, in circa tre anni ha realizzato Kosmos, spazio espositivo di 1200 metri quadrati, costato 4 milioni di investimenti pubblici, dove si coniugano tradizione e innovazione, pregiate teche e sofisticati strumenti multimediali interattivi.
Sono stato presente anch’io al cosiddetto “taglio del nastro” e, con lo spirito del semplice lettore , e non dell’addetto ai lavori, vorrei riportare alcune suggestioni che questa esperienza mi ha saputo suscitare, soprattutto una volta tornato a casa nella mia riposante biblioteca.
Le attuali 11 luminose, ampie, accoglienti sale espositive partono dal concetto di viaggio come impresa scientifica (oltreché avventura), attraverso le figure di Spallanzani, Linneo, Cuvier, Humboldt, Darwin e altri importanti naturalisti. Gli oggetti, cioè gli oltre 2300 pezzi che per il momento si è deciso di esporre a fronte dei 482.000 circa presenti nel deposito del museo Spallanzani, sembrano quasi assecondare la variabilità della Natura. È stato inoltre opportunamente accantonato il criterio che provoca ben presto la saturazione della mente del visitatore e con il quale quasi tutti i musei di Storia naturale nel mondo sono disposti, ovvero prima le sale dei mammiferi, poi quelle dei pesci, e così via. Qui, infatti, la biologia, ben connessa alla storia, si offre come se fosse un insieme di avventure, tanti capitoli di un libro che ha costruito la modernità del mondo in cui siamo immersi. Non mancano particolari sottolineature che collegano opportunamente ciò che si visita agli argomenti che quotidianamente occupano le pagine dei giornali o del web: cambiamento climatico, evoluzione ed estinzione della vita sulla Terra, specie aliene e così via. Argomenti a volte ostici per il grande pubblico, ma che in questo museo troverete raccontati in maniera piuttosto accattivante.
Mentre mi aggiravo ammirato negli ambienti di Kosmos, più che tentare di assimilare qualche concetto o informazione scientifica – pur riportata ben in vista su pannelli o cartigli –, ho cercato di far riaffiorare alla mente alcune pagine di libri a me cari, che una volta a casa ho ripreso in mano e di cui vi citerò qualche passo.
Di fronte al grande pannello, nella sala 2, che rappresenta gli itinerari dei numerosi viaggi scientifici e di ricerca compiuti da Lazzaro Spallanzani, il ricordo mi è corso all’ incipit diCostantinopoli 1786: la congiura e la beffa, Bollati Boringhieri 2004, variegato e bel saggio divulgativo di Paolo Mazzarello, oggi presidente del sistema museale dell’Università di Pavia e instancabile promotore di questa impresa culturale.
Al romper dell’alba del giorno 31 d’ottobre, alla distanza di 16 miglia circa, si cominciò a vedere in barlume Costantinopoli.Il profilo frastagliato delle mura, dei minareti, delle torri, delle case e del Serraglio emergeva in chiaroscuro quando, alla distanza di circa tre miglia, l’occhio del sole spuntò dalle montagne dell’Asia illuminando in un baleno l’immensa città. L’abate Lazzaro Spallanzani pensò che difficilmente per il resto dei suoi giorni, avrebbe potuto vedere un altro luogo altrettanto sorprendente e spettacolare e che nelmodo stesso commuova l’anima e i sensi miei. Peccato che lo spirito scientifico e la pur raffinata penna si dimostrassero insufficienti a descrivere tanta magnificenza, che avrebbe richiesto un poeta al quale affidare ciò che in quel punto entrò pe’ miei occhi, e si trasfuse alla mia immaginazione. (op.cit. p. 13)
Nella sala 3, intitolata “Svelare la natura”, il pannello che, con efficace animazione, rappresenta gli studi dell’abate di Scandiano sulla fecondazione artificiale della rana esculenta, ha una vivace anticipazione sempre nelle pagine del già citato libro di Mazzarello.
L’esperimento [da parte di René-Antoine Ferchault de Réaumur di far indossare delleculottesdi taffettà cerato o di vescica di animali al rospo maschio per impedire che lo sperma venisse a contato con le uova sgravate dalla femmina durante l’accoppiamento] falliva perché il maschio, muovendo le zampette, si liberava del bizzarro indumento e dalle uova si sviluppavano regolarmente i girini. Spallanzani, più abile del francese, riuscì a far indossare ai suoi anfibi gli stravaganti pantaloncini per tutto il periodo della copula e lo sperma ottenuto risultò sufficiente a condurre alcuni esperimenti preliminari di inseminazione della rana e del rospo […] Dimostrando nel rospo che questo processo richiedeva il contatto fisico tra sperma ed uovo, egli riuscì a smentire le antiche teorie che vedevano in una ipotetica aura spermatica, una sorta di effluvio emanante dallo sperma, il fattore fecondante. (op. cit. p. 58)
Ma altri celebri viaggi all’inizio del XIX secolo permisero una sistematica esplorazione del globo terracqueo e il raggiungimento di grandi scoperte scientifiche. Nella sala 6 ecco dei suggestivi riferimenti iconografici e documentali su Alexander von Humbolt. Il poliedrico ingegno berlinese raccolse il suo testamento intellettuale in un’opera intitolata proprio Kosmos Entwurf einer physischen Weltbeschreibung(Il cosmo, progetto di una descrizione fisica del mondo). Ma la memoria libresca me ne ha proposto un altro ancora: il fortunato e ben congegnato romanzobiopicdi Daniel Kehlmann, La misura del mondo, Feltrinelli 2006.
Presto si lasciarono alle spalle le ultime tracce dell’agglomerato di case. Vedevano coccodrilli dappertutto: stavano nell’acqua come tronchi, sonnecchiavano sulla riva e spalancavano le fauci, sulle loro schiene trotterellavano piccoli aironi […] Ormeggiarono la barca, e mentre Bonpland raccoglieva delle piante, Humboldt fece una passeggiata. Si arrampicò su alcune radici, si fece strada fra i tronchi, si scostò dal viso i fili di una ragnatela. Colse fiori dagli arbusti, con un colpo sicuro spezzò il dorso di una farfalla particolarmente bella e la posò con cura nel suo vascolo. Solo allora si rese conto che davanti a lui c’era un giaguaro. (op. cit. p. 90)
E ancora
Là dove si stavano recando, non c’erano più piante, solo licheni giallognoli sulle pietre sporgenti dalla neve. […] La neve diventava sempre più alta. Bonpland scivolò e cadde, dopo poco capitò anche a Humboldt. Per proteggere le mani scorticate dal freddo, le avvolsero nelle sciarpe. […] Presto la neve gli arrivò fino alle ginocchia. Improvvisamente furono avviluppati dalla nebbia. Humboldt misurò l’inclinazione dell’ago magnetico e calcolò l’altezza con il barometro. Se non andava errato, il sentiero più breve per raggiungere la vetta era in direzione nord-est lungo il pendio poco ripido e poi un po’ a sinistra, e poi sempre diritto verso l’alto. (op. cit. p. 140)
La ricca dotazione di reperti del “fondo Spallanzani” si è potuta realizzare grazie alle ricerche di esploratori e viaggiatori che fra XIX e XX secolo hanno scandagliato ogni angolo del pianeta. Con sorpresa ho ritrovato il protagonista di un vecchio libro della biblioteca paterna che mi ha sempre incuriosito, citato nella sesta sala fra “gli esploratori”: Luigi Robecchi Bricchetti, pavese (1855 – 1926). Tornato a casa ho ripreso il libro in mano e l’ho sfogliato. Si tratta di un volgarizzamento – a opera di Ettore Fabietti e edito nel 1940 da Paravia – dei diari di viaggio scritti dall’esploratore. Eccone un saggio:
– Perché – diceva a Robecchi un capo della tribù dei Merehan, che pur non mancava di un certo discernimento – perché vuoi andare a cercare l’Uebi ? Che cosa credi di trovare? Un’acqua, che non è più larga da qui a quell’albero. Che t’importa di vedere una sì piccola cosa, se è vero che hai dovuto navigare più di quindici giorni in mezzo all’acqua per venire alle nostre coste? Quella era un’acqua grande; l’Uebi, in confronto, non è che un filo d’acqua che si muove. – E alla risposta dell’esploratore che per conoscere il paese bisognava lo vedesse, il capo tribù insisteva: – Che ci guadagnerai? Ci sono tante mosche, tanti insetti cattivi: perderai i cammelli e […] troverai gli stessi alberi, la stessa terra, e nulla di diverso da quello che trovi qui. – (op. cit. p. 95)
Subito dopo, come ritrovarmi di fronte a una vecchia amica è stato l’incontro nella sala 7 con Shanti, l’elefantessa del Bengala offerta in dono a Luigi XVI e rimasta per nove anni nella ménagerie di Versailles come attrazione per gli ospiti reali. La sua sagoma tassidermizzata, una ventina d’anni dopo la sua infelice morte (1782), fu spedita da Napoleone come gesto di apprezzamento al Museo di Storia Naturale di Pavia e qui è rimasta, e vi è ancora esposta. Vorrei citare molte pagine del libro L’elefante di Napoleone – un animale che voleva essere libero, Bompiani 2017, scritto con penna accurata e delicata da Paolo Mazzarello in occasione del laborioso restauro del reperto di due anni fa. Ma il suggerimento è di leggerselo tutto questo breve, empatico saggio che intreccia la commovente storia del pachiderma con le esaltanti vicende della scienza naturalistica settecentesca.
Sono così arrivato alla sala 9, denominata “Le vie della Natura”, dove campeggiano la figura e l’opera di Charles Darwin. Di fronte al pannello che riproduce il lungo viaggio di circumnavigazione dell’intero pianeta da lui compiuto nel 1831 a bordo del brigantino Beagle, durante il quale raccolse molti elementi che gli permisero successivamente di teorizzare la selezione naturale, ho ritrovato le emozioni di lettore di uno dei più appassionanti libri di science fiction scritti in Italia: Dilettanti – quattro viaggi nei dintorni di Charles Darwin, Sironi 2004, del genetista Guido Barbujani.
Eccone un breve stralcio:
Guardi questo pesce ancora vivo, capitano [è FitzRoy, comandante del Beagle]. Si chiama Diodon antennatus. Non ho mai sentito nulla di simile. L’hanno estratto, così come ora lo vediamo lei e io, dallo stomaco di un pescecane. Praticamente indenne. Adesso stanno terminando di aprire il mostro e presto ne sapremo di più. È chiaro tuttavia che questa bestiola è riuscita, dio sa come, a non farsi dilaniare dai denti acuminatissimi e a ritrovarsi salva là in fondo. Già questo non può non stupire. Ma ciò che è davvero sbalorditivo devo ancora dirglielo: dall’interno, il Diodon stava scavandosi una via d’ uscita. Aveva già forato le pareti gastriche e stava apparentemente aggredendo i muscoli dei fianchi del suo ospite. I pescatori l’hanno trovato [il pescecane] che girava in circolo, quasi in superficie, evidentemente preda di un tormento inaudito. (op. cit. p. 28)
Dunque Kosmos è un museo che non solo mostra, ordina, esplora e rende gli oggetti dei concetti, ma sa anche raccontare e divulgare la Scienza, alimentandone i fondamentali valori etici ed estetici.