Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà

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Nato in Inghilterra da una famiglia operaia, dopo gli studi universitari Ken Loach comincia la sua carriera nel mondo dello spettacolo dedicandosi alla regia teatrale. In seguito lavora per diversi anni alla BBC, firmando molti documentari su scioperi e altri temi di carattere sociale.

Esordisce nel cinema nel 1967 con Poor Cow, ma il grande successo arriva con Riff Raff (1991) e Piovono pietre (1993). Due film che denunciano le drammatiche conseguenze sulla condizione della classe operaria delle dure politiche neoliberiste di Margareth Thatcher.
Sempre schierato dalla parte dei più deboli: operai, disoccupati, immigrati, oppressi, il cinema di Ken Loach è spesso un atto d’accusa all’ideologia capitalista e all’autoritarismo, che tende a opprimere e sfruttare i più deboli, privandoli di diritti, dignità e mezzi per vivere in modo decente. Per la sua visione della società, ispirata ai principi del socialismo solidaristico, è ovviamente poco amato in patria, ma è una delle poche voci nel panorama del cinema mondiale che hanno il coraggio di denunciare le ingiustizie, i soprusi subiti dagli ultimi della società, in difesa della giustizia, dell’uguaglianza e della libertà. Fuori e contro il sistema, il suo cinema è un esempio d’intelligente e appassionato impegno sociale; una denuncia di un mondo che sta diventando sempre più individualista, spietato ed egoista.
Ken Loach mette in luce le distorsioni nefaste del neoliberismo finanziario che ha generato l’attuale crisi economica. Una crisi che il “sistema” ha poi deciso di scaricare e far pagare alle classi più deboli della società. A una ristretta élite di privilegiati si contrappone una sempre più vasta popolazione, che scivola lentamente verso la povertà, verso una vita fatta di lavori precari e mal pagati, di rinunce e stenti. Ken Loach è dalla parte degli operai londinesi (Riff Raff), dei disoccupati di Manchester (Piovono pietre), dei più deboli (Ladybird, Ladybird), di chi combatte contro la dittatura fascista (Terra e libertà), dei Sandinisti in lotta per la libertà in Nicaragua (La canzone di Carla), di chi cerca di uscire dal tunnel dell’alcolismo e della tossicodipendenza (My Name is Joe), dei clandestini messicani (Bread and Roses), degli operai che perdono diritti e tutele sindacali (Paul, Mick e gli altri), di chi deve fare i conti con povertà, disoccupazione e delinquenza (Sweet Sixteen), degli immigrati (Un bacio appassionato), di chi lotta per l’indipendenza e la libertà (Il vento accarezza l’erba), dei clandestini (In questo mondo libero), degli ultimi della società (La parte degli angeli).
Ken Loach mette in luce le distorsioni nefaste del neoliberismo finanziario che ha generato l’attuale crisi economica. Il suo cinema è fatto di un linguaggio asciutto, essenziale, a volte duro, che privilegia il realismo della narrazione, ma è capace di appassionare ed emozionare lo spettatore. Difficile restare indifferenti di fronte ai suoi film. Le sue opere sono destinate a dividere e a far discutere, a scuotere e a far prendere posizione nei confronti della visione della società.
Non è un caso che il suo ultimo film si apra con una sequenza di immagini dedicate alla grande depressione americana del 1929. Un richiamo al passato, che ci porta inevitabilmente al presente, allo spettro di rivivere in Europa le stesse drammatiche conseguenze di una spregiudicata speculazione finanziaria, con l’aggravante che non abbiamo più Roosevelt, ma Renzi e la Troika Europea.
Siamo in Irlanda, nel 1932. Dopo dieci anni di esilio e a causa della crisi americana, Jimmy Gralton torna al suo paese. Durante il periodo della guerra civile aveva dovuto abbandonare l’Irlanda per aver creato una sala da ballo e un centro culturale, inviso alla chiesa e ai latifondisti conservatori e bigotti. Il ricordo di quella breve parentesi di libertà è però ancora presente tra i vecchi amici e tra i ragazzi che ne hanno sentito parlare dai genitori. Nonostante i propositi di vivere una vita tranquilla, Jimmy non resiste all’idea di riaprire la sua vecchia sala, che ben presto diventa un centro d’aggregazione per chi vuole ascoltare jazz, leggere libri, dipingere, tirare di boxe e coltivare idee di libertà. Ma la ventata di vitale e trasgressiva allegria rinnova l’ostilità della Chiesa e dei ricchi proprietari terrieri, che vedono in quell’esperienza comunitaria un pericolo sovversivo per l’ordine sociale. Temono, infatti, più che la musica e le danze, ritenute moralmente sconvenienti, soprattutto la diffusione delle idee di libertà, eguaglianza e giustizia.
La reazione sarà dura e violenta, come sempre accade quando chi detiene il potere e il controllo sociale si sente minacciato e vuole riaffermare il proprio primato. Più che le note sincopate del jazz e dei suoi balli scatenati, Chiesa e ricchi latifondisti sono terrorizzati dal Comunismo, dal pericolo di dover cedere qualcuno dei loro privilegi a coloro che non detengono alcun diritto, tanto da poter essere cacciati di casa e buttati per strada in qualsiasi momento. Questo è il mondo che i poteri conservatori vogliono, che ritengono giusto in nome di Dio. Questo il mondo che ha vinto, purtroppo, non solo in Jimmy’s Hall.

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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