Queste serie sono state realizzate negli anni ’80 e ’90. Le opere più imponenti sono tele alte anche due metri, le carte più piccole fogli di una trentina di centimetri.
I lavori di maggior impatto, tela o carta che siano, sembrano un libro aperto, con le due pagine affiancate. Un libro di righe e non di parole, con il colore tirato dall’interno all’esterno, a partire dal centro, in un’unica pennellata che si fa meno densa man mano che raggiunge i margini. I colori sono il rosa, oppure il blu e l’azzurro. Il rosa è il colore dell’individuazione, dell’orientamento, dell’analisi e dell’attesa. Il blu è invece perentorio, è il colore non più dell’attesa ma della decisione. Colore dell’inchiostro, quindi della scrittura. Dell’infinito, dell’utopia. Associazioni che vengono dalla voce dell’artista, non dalla mia.
Quale che sia, rosa o blu, il colore scelto, al centro dell’opera è più scuro, poi va rarefacendosi: «dal pieno al vuoto», dice Irma Blank, «come un viaggio dall’inizio alla fine, nascere e morire».
Il percorso artistico di Irma Blank è imperniato da sempre sul linguaggio. Il linguaggio come heideggeriana casa dell’Essere, il linguaggio come modo della nostra umanità – autentica e inautentica, aggiungo.
Afferrata la presenza di Heidegger – evocato dal vocabolario che utilizza Blank (casa dell’Essere, esser-ci, nulla, silenzio sono parole sue) – è inevitabile pensare subito al tempo. E infatti: «La scrittura nasce nel presente, porta con sé il passato e rimanda al futuro. Praticamente è un andare con il tempo», dice l’artista. Un tempo che diventa spazio, un tempo restituito nello spazio della tela, della carta, della tavola, del libro – le superfici che ha utilizzato dagli anni ’60 a oggi (tedesca, classe 1934, nata a Celle, è giunta in Italia negli anni ’50 e qui è rimasta; ha cominciato a esporre dalla fine degli anni ’60; vive a Milano).
Il segno utilizzato nei Radical Writings è un segno estensivo: l’artista parte da sé e va oltre – all’infinito, o all’altro, all’ipotetico interlocutore. Una relazione, ma anche un viaggio, qualcosa che ha un inizio e una fine. «E all’interno è la vita, con piccolissimi accadimenti».
Ma questa è molto più di una metafora: la vitalità di questo segno estensivo va presa alla lettera: «Mi accorgevo che scrivevo ed espiravo. E allora ci ho fatto caso… Ogni segno corrisponde al ritmo della respirazione, cioè scrivere è essere, e vivere. Non c’è più distanza tra fare ed esistere: si fa perché si esiste. E si esiste facendo».
Ecco che questi lavori, mentre mostrano il tempo concreto dell’artista, il tempo impiegato sull’opera, la traccia del suo respiro, delle ore, degli anni, fondano intanto uno spazio di silenzio (o di nulla) perché quelle tracce sono scrittura senza linguaggio – quindi silenzio come modalità del linguaggio.
- Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writings, Dal libro totale, 10-3-83», 1983, acrilico su tela. Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writings, Drawing of breath, 6-8-87», 1987, acrilico su tela. Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writings, Lonesome story, pagina destra, D-1», 1986, acrilico su carta trasparente pergamena 5 pagine. Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writings, One way, 1991», olio su carta trasparente, 25 pagine (particolare). Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writings, One way, 1991», olio su carta trasparente, 25 pagine. Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical writings, Schrift-Atem-Bild 3-2-93», 1993, olio su tela, dittico, cm.160×100 ciascuno.Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Radical Writing, Schrifzug=Atemzug vom 4-8-1988», 1994, acrilico su tela, dittico, cm.200×130 (x2) Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Gesetztafel I-VII», 1993, acrilico e olio su tavola. Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
- Irma Blank, «Gesetztafel II», 1993, acrilico e olio su tavola.Courtesy the artist e P420. Photo credit: Carlo Favero
Il modo di lavorare di Irma Blank rimanda alla meditazione e alla performance, è una pratica ascetica. In un’intervista, Luca Lo Pinto le chiede se la natura ripetitiva del suo lavoro vada inquadrata nell’idea di matrice warholiana e lewittiana del corpo dell’artista che diventa macchina o se non abbia, come invece pensa lui, più a che fare con la soggettività e l’esistenzialismo. «È come dici tu. È meccanico perché c’è lo sforzo di arrivare a non pensare. Ma a quel punto tutta una serie di esperienze e sensazioni entra in gioco», risponde.
La ripetizione è fondamentale, per Irma Blank.
L’arte ha spesso a che fare con la ripetizione, perché l’arte autentica è una necessità, è rispondere alla stessa chiamata un giorno dopo l’altro, finché non si è compiuta un’esplorazione seria, cioè finché un’esplorazione è possibile. Anche la meditazione ha a che fare con la ripetizione, è provare a dimenticare sé stessi in favore di qualcosa di più essenziale, è un esercizio quotidiano di apertura mai del tutto raggiunta, ricerca ostinata di una qualità di presenza, di una resa, quasi nel senso di un arrendersi, affinché il reale possa riversarsi in noi.
Il segno di Irma Blank è tutt’altro che meccanico, quindi, è uno stare con-la-cosa, una dedizione vigile alla pratica nel momento in cui i pensieri mollano la presa – i pensieri-ragione, il logos, la ragione discorsiva. Il linguaggio.
I suoi primi lavori esposti risalgono alla fine degli anni ’60. Lavora per serie, lavorerà sempre per serie. Questo significa che affronta un concetto alla volta e ci resta, lo esplora, lo estende, fino a esaurirlo. Ogni serie prende anni.
Comincia con la serie Eigenschriften, la scrittura «forse più silenziosa» che abbia mai fatto. Il segno qui è segno primordiale, originario, prima che sia codificato in significato (e anche in significante). Un segno a mano, ripetuto, che da lontano sembra scrittura – e invece è silenzio.
«Un segno che non si legge, ma si guarda», ha scritto Luca Cerizza, che l’ha definito anche un segno «auto-referenziale», forse pensando al fondo di sfiducia da cui è scaturito, quello nei confronti dell’abuso della lingua, con la conseguente necessità del silenzio. Ma io sono più portata a pensare che non ci sia auto-referenzialità in Irma Blank, perché non c’è narcisismo. La sua severità non diventa alterigia, Blank resta aperta alla relazione.
Piuttosto, quello degli Eigenschriften è un linguaggio aperto, con un «significato altro che in parte è affidato anche a chi legge, perché può proiettare dentro il proprio testo: […] si rivede, si rispecchia», dice lei.
- Courtesy the artist e P420.
- Irma Blank, «Trascrizioni, Poesie fur Jedermann», 1975, china su carta pergamena, dittico, 2 fogli piegati in 36 pagine, Courtesy the artist e P420.
- Irma Blank, «Eigenschriften, (Self Writing)», Pagina 45, 1970, pastello su carta.Courtesy the artist e P420.
- Irma Blank, «Hyper-Text, 23-4-1998», 1998, scrittura digitale, tecnica serigrafia su tela, esemplare unico. Courtesy the artist e P420.
- Irma Blank, «Ur-schrift ovvero Avant-testo», 15-4-99, 1999, biro su poliestere su telaio in legno. Courtesy the artist e P420.
Se le Eigenschriften descrivono una dimensione personale, interiore, le Trascrizioni sono più orientate all’esterno, prendono in considerazione il libro, per riprodurlo e negarlo. Qui il tratto resta indecifrabile, ma recupera una struttura, il ritmo del libro, la gabbia della pagina con le sue regole.
A seguire, la serie Radical Writings, dove la componente percettiva è molto affascinante.
Due cicli vanno visti in parallelo, Hyper-Text e Avant-testo.
Nel primo, Hyper-Text, lo sguardo è puntato sulla società, dove un esubero di informazioni si traduce in mancata messa a fuoco. Blank prende un testo scritto in tre lingue, nelle sue tre lingue (tedesco, italiano e inglese), e sovrappone le tre versione con la tecnica serigrafica. Il risultato è una sorta di stele di Rosetta al contrario: tre lingue note sovrapposte annullano la leggibilità.
Nel secondo invece, Avant-testo, lo sguardo è completamente rivolto verso il dentro, verso il non-detto, verso il nostro io più profondo. Il segno che emerge da questo magma si fonde, ancora una volta, con il corpo in azione. Un fascio di biro per mano, l’artista ricopre un foglio con un gesto rotatorio, che parte dal corpo e torna al corpo, e procede finché la superficie del foglio non è omogenea. «La voglio chiudere, perché quello che abbiamo dentro è uno spazio denso, densissimo, e bisogna portarlo alla luce». Anche in questo caso, fare – cioè vivere – pare coincidere con la ricerca di un’apertura, di uno svuotamento, con quella ricerca di silenzio che poi, negli anni, diventerà ricerca del niente.
Circa una settimana dopo l’inaugurazione della mostra, Christine Macel, curatrice della 57ma Biennale di Venezia, ha presentato gli artisti chiamati a esporre: dei 120 nomi, 6 sono italiani. Tra questi, Irma Blank.
La mostra alla galleria P420 dura fino al 18 marzo.
Ringrazio la galleria, e soprattutto Chiara Tiberio, per aver risposto alle mie domande e per avermi dato accesso a materiali d’archivio.
Per scrivere questo articolo ho attinto da varie fonti. In particolare mi sono stati utili: il saggio di Luca Cerizza, dal catalogo della mostra Senza Parole, galleria P420 di Bologna (2013), e l’intervista di Luca Lo Pinto a Irma Blank, dal catalogo a cura di Alfredo Cramerotti, edizioni Cura, della mostra Breath Paintings, MOSTYN Museum di Llandudno (2014).