Avevo per altro maturato la medesima opinione a proposito di Noi credevamo.
Perché dico questo? La mia impressione è il pubblico sia spinto a vedere – e poi magari a discutere – film di questo tipo per la curiosità di verificare come essi ricostruiscano e rappresentino una realtà culturale nota e condivisa, perché oggetto di un percorso scolastico – e magari universitario – pregresso, quando non di interesse personale più profondo e articolato.
Insomma: capisce davvero film come questi chi conosce già gli argomenti che essi trattano, perché sono numerosissimi e determinanti per la comprensione i riferimenti impliciti. Tale approccio costituisce per altro la sfida allo spettatore, che dovrà intenzionalmente mobilitare il proprio patrimonio culturale per dialogare con l’opera, interpretarla, formarsi un giudizio, formulare un proprio commento, condividere una recensione e così via. Un buon film, insomma, è come un buon libro.
Un buon film, insomma, è come un buon libro.
Gli studenti, in linea di massima, non possiedono invece le competenze necessarie alla piena fruizione dei due film di Martone: tra di essi è probabilmente in grado di apprezzarli solo chi abbia già affrontato Leopardi e il Risorgimento a scuola e acquisito conoscenze significative in merito. Per chi non sia in questa condizione, sarebbero probabilmente molto più indicati video a impostazione didascalica e vocazione prettamente informativa, molto lontani dall’espressione artistica.
Ci sono però alcuni strumenti che possono forse farci immaginare e progettare attività di mediazione didattica (intesa come spiegazione, esplicitazione guidata di contenuti e relazioni e così via) che utilizzino anche materiali con le caratteristiche de “Il giovane favoloso”.
Sto parlando in primo luogo di VideoAnt, Video Annotation Tool messo a disposizione sul Web dall’Università del Minnesota, che funziona in modo molto semplice. Si indica l’URL di un video, presente per esempio su Youtube, e un’interfaccia molto immediata ci consente di affiancare alla sua visione nostre annotazioni, il cui scopo può essere appunto la messa in evidenza del tessuto concettuale e dei rimandi culturali necessari a comprendere il significato del filmato, che sarà da qual momento rafforzato dai commenti dell’insegnante e/o della comunità ermeneutica costituita dalla classe.
In modo analogo funziona ThingLink, che consente di rendere interattivi video e immagini aggiungendo loro una rete di collegamenti, mentre con EdPuzzle è possibile realizzare classi virtuali a cui proporre video arricchiti mediante note audio in voce e corredati di domande le cui risposte sono monitorate in automatico. Tra le varie opzioni vi è poi quella di delimitare e far vedere soltanto una parte del filmato, in modo da ottimizzare il tempo di fruizione, fattore essenziale perché le attività di questo genere siano davvero sostenibili.
Gli ambienti che abbiamo rapidamente descritto non risolvono certo tutti i problemi: in particolare, una didattica che volesse sfruttare la dimensione iper-mediale della conoscenza dovrebbe ovviamente risolvere in primis la questione dei diritti d’autore. Essi aprono però una prospettiva operativa, cognitiva e culturale abbastanza chiara e promettente, su cui sono augurabili investimenti professionali ed editoriali.