Il ritorno dei fabbri

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Riportiamo il testo di un’intervista a Lidia De Federicis e Remo Ceserani, quindici anni dopo la pubblicazione della prima edizione de “Il materiale e l’immaginario”, uscita sulla rivista «Belfagor» nel marzo 19941. Un dialogo che mette in luce il progetto e le fasi della sua realizzazione, e in cui le voci e le personalità di entrambi gli autori emergono con una vividezza e una tridimensionalità che ben rendono l’eccezionalità della «fabbrica» dell’opera.

 

A questa conversazione, guidata dalle domande di un moderatore, hanno preso parte gli autori di un libro che ha contribuito fortemente a rinnovare l’insegnamento della letteratura nella nostra scuola ed è stato esaltato, bistrattato, imitato, criticato, discusso: Il materiale e l’immaginario. Il libro è uscito presso Lœscher in successive forme ed edizioni a partire dal 1979, e a integrazione e completamento di esso è ora stato pubblicato un Manuale di letteratura, che offre un racconto filato e sintetico, per linee ordinate, della storia letteraria italiana. Remo Ceserani e Lidia De Federicis, stimolati dal moderatore, riflettono qui sul loro lavoro, ne ripercorrono la storia interna, rispondono a dubbi e a domande che si sono sentiti spesso rivolgere in tutti questi anni.

MODERATORE: Dagli anni Settanta agli anni Novanta, dalla prima idea del Materiale e l’immaginario alla sua ultima recentissima revisione e al Manuale che sta ora circolando, sono passati quasi due decenni. Sono tempi lunghi, nei quali Il materiale e l’immaginario non ha mai cessato di sollevare domande. Non vi è mai venuta voglia di rispondere in modo pacato e disteso, al di là delle dichiarazioni o precisazioni provocate da qualche critica sviante? 

LIDIA DE FEDERICIS: In realtà noi siamo intervenuti più di una volta sul nostro lavoro, con le introduzioni, con gli articoli e le interviste, con qualche saggio più ampio di teoria letteraria, con la presenza nelle scuole, nei convegni, nei corsi e nei progetti di aggiornamento degli insegnanti, là dove si discuteva di didattica della letteratura in anni in cui eravamo convinti che questo fosse il punto critico della disciplina e che offrisse perciò buone occasioni di verifica e di svolta. Abbiamo attraversato momenti diversi di un dibattito che, oltre ad accompagnare l’opera, si riaccendeva e riformulava in rapporto con le vicende della cultura: per esempio, nel 1982 e 1983, quando i due volumi sul Novecento chiudevano la nostra prima edizione e Asor Rosa lanciava la Letteratura italiana di Einaudi; nel 1989, quando abbiamo presentato La ricerca letteraria e la contemporaneità e nello stesso tempo è uscita, in giornali e riviste, una serie di bilanci sulle attività intellettuali dei tre decenni precedenti; nel 1993, quando abbiamo pubblicato il Manuale e si sono infittite le discussioni sulla legittimità e il significato della storia letteraria.

MODERATORE: Una cosa sorprendente è che il vostro libro ha cominciato a essere oggetto di storicizzazione, con saggi sulle riviste, articoli sui giornali, interventi nei convegni. Che effetto vi fa essere voi stessi sottoposti a processo, vedervi «collocati» in un periodo storico, vedere il vostro lavoro distinto in fasi? 

REMO CESERANI: L’effetto è stato spesso di imbarazzo. Non solo perché abbiamo sentito non poche forzature della nostra reale esperienza, ma anche perché abbiamo avvertito, in molti interventi, la pressione più o meno consapevole degli interessi editoriali: dietro la tendenza a presentarci come l’espressione di una fase storica ormai conclusa, e quindi a imbalsamarci, pronunciare il nostro elogio e trasformarci in monumento, c’era naturalmente l’interesse di molti a fare spazio per le proprie iniziative, presentate come «nuove», ma spesso rivelatesi assai poco innovative, anzi non poche volte di pura restaurazione. È anche un effetto dei tempi: tu sai quanti pericoli di conservatorismo e trasformismo sono dietro la diffusa retorica del «nuovo».

DE FEDERICIS: In ogni caso non ci è mai piaciuto – né lo vorremmo fare ora – rispondere direttamente, in dialogo o in polemica, ai nostri recensori o avversari, che hanno le loro posizioni da sostenere e difendere. Può essere invece utile il nostro contributo su qualcuno dei problemi più significativi emersi dal confronto fra Il materiale e l’immaginario e il mondo della scuola e della cultura.

MODERATORE: Su un punto i pareri risultano concordi: Il materiale e l’immaginario ha fatto irruzione nei luoghi di elaborazione della storia letteraria e ha interrotto la continuità di un genere di storiografia come grande narrazione che risaliva a De Sanctis. Molti aggiungono che ha segnato il distacco anche dallo storicismo, idealistico o gramsciano, supporto fino ad allora dell’insegnamento della letteratura in Italia e dei più diffusi e migliori manuali (di Mario Sansone, di Natalino Sapegno, di Luigi Russo, di Giuseppe Petronio nell’Attività letteraria in Italia del 1964, di Alberto Asor Rosa nella Sintesi del 1972). Ma per sostituirvi che cosa? Come si è caratterizzata la nuova impresa culturale e pedagogica? Secondo alcuni è sociologia della letteratura e abbassa il valore della specificità letteraria, perché nella letteratura vede principalmente una funzione della storia. Secondo altri, invece, pecca di iperculturalismo ed esagera nell’applicare a qualsiasi fenomeno una chiave di lettura letteraria. È un’opera fortemente guidata dall’ideologia, oppure è troppo eclettica, è un labirinto senza centro? È un’opera ambiziosa, forse utopica, o si arrende alla complessità risolvendosi in smisurato catalogo? E qual è poi il destinatario a cui interessa davvero, lo studente o l’insegnante (o lo studioso, o il giornalista)? 

DE FEDERICIS: La prima edizione del Materiale e l’immaginario, in otto volumi, è apparsa dal 1979 al 1982. Per ricostruirne lo sfondo bisogna però risalire almeno ai cruciali anni Sessanta, quando – nella ricerca letteraria, nella teoria e nella manualistica, nel rapido avvicendarsi delle correnti culturali – è diventata chiara la crisi del modello fissatosi con la tradizione italiana e dell’apparato istituzionalmente predisposto a trasmetterlo. Si incomincia con un insieme di libri esteso e frammentato, di cui lo studente e l’insegnante sono tenuti a valersi per la propria formazione: accanto al manuale di storia della letteratura italiana (e oltre a quelli di storia generale, e di storia della filosofia, dell’arte, delle letterature antiche) stanno una storia e antologia delle letterature straniere, una storia della letteratura contemporanea, varie antologie, e almeno un’antologia della critica spesso in più volumi. L’antologia della critica, una novità, è il primo segno di indebolimento del primato del manuale. L’equilibrio della sintesi affidata al pensiero e all’abilità espositiva dell’autore-scrittore si è scomposto nel difficoltoso affiancamento di storie e voci separate, irrelate, specializzate. Valorizzazione della letteratura critica, mentre permane la subalternità dei testi, staccati dagli strumenti d’analisi e dal disegno storico, messi a parte nell’apposita antologia, vecchio genere di minor prestigio.

MODERATORE: Ricordo molto bene quella situazione: tutti noi abbiamo avuto a disposizione quei tre strumenti quand’eravamo al liceo, con un uso, se vale la mia memoria personale, abbastanza squilibrato: si studiava intensamente il manuale, si facevano letture selezionate nell’antologia, si adoperava in realtà pochissimo l’antologia della critica. Poi la scuola è cambiata; gli istituti superiori, tecnici, commerciali, industriali hanno avuto una grossa espansione; i licei sono divenuti una porzione ridotta del sistema scolastico secondario. C’è stata una grande infornata di insegnanti. È allora che sono cambiati anche gli strumenti di lavoro? 

DE FEDERICIS: Sono d’accordo con quanti sottolineano l’importanza del tentativo di Carlo Salinari e Carlo Ricci, la loro Storia della letteratura italiana uscita nel 1969: un’opera di compromesso la cui fortuna annunciava il cambiamento di tendenza. Nato nella sua parte di storia letteraria con una destinazione non scolastica, ma divulgativa, il libro di Salinari e Ricci ha offerto un impianto semplificato, che l’ha reso bene accetto nella scuola in tumultuosa espansione; accoglieva il manuale più l’antologia e l’antologia della critica, ricomponendoli dentro un unico contenitore senza trasformarne però le usuali modalità d’impiego. In quegli anni abbiamo visto accentuarsi l’orientamento sociologico e il rifiuto di una lettura che non traducesse il testo in documento: ecco allora la fioritura della saggistica storica e delle scienze sociali e umane, le antologie interdisciplinari che accompagnano quelle soltanto letterarie, le collane di volumetti a integrazione e sostituzione dei manuali che molti editori apprestano nei primi anni Settanta. Il manuale di storia letteraria era stato il libro principale della scuola italiana, un libro-guida. Strumento didattico debole, perché non prevedeva procedure d’apprendimento che non fossero la ripetizione, aveva invece una provata efficacia nel trasmettere visioni del mondo, gerarchie, giudizi e valori, e inoltre nel proporre una particolare forma del rapporto fra letteratura e società, fra testi e storia, fra linguaggi e altro: qui è evidentemente il tratto distintivo sul quale si misura ogni opera di ricostruzione dei sistemi letterari. Noi non volevamo ridurre la letteratura alla critica dell’ideologia letteraria e alla sociologia e neppure alla linguistica (che per qualche anno avrebbe avuto pretese totalizzanti), ma salvarne e spiegarne le buone ragioni. L’abbiamo fatto attraverso il doppio criterio della centralità dei testi e dell’attenzione antropologica, creando una rete più fitta ed elastica di mediazioni e collegamenti fra la letteratura e le altre espressioni storiche.

CESERANI: Dovresti usare quel termine di immaginario che abbiamo introdotto nel titolo, e che ha poi subìto di recente un processo di inflazionamento.

DE FEDERICIS: Nel nostro titolo vale specialmente la bipolarità, dell’immaginario e del materiale. Preferisco per ora ricorrere alla nozione di cultura come area in cui si producono fenomeni che hanno a un estremo gli strati profondi delle mentalità e i modi della convivenza praticati dai soggetti sociali, e all’altro le idee, le ideologie, la scienza, il sapere organizzato, le istituzioni, l’attività dei gruppi intellettuali. In quest’area seguivamo il formarsi e formalizzarsi dei linguaggi e sistemi letterari. Abbiamo avuto già all’inizio una costellazione abbastanza ampia di riferimenti teorici: non solo Lucien Goldmann, ma gli storici francesi; non solo Jakobson e i formalisti russi, ma i semiotici di Tartu e principalmente Lotman; non solo Bachtin, ma gli esempi che venivano dalla ricerca psicoanalitica e antropologica e Jauss e gli studi sui problemi dell’interpretazione e della ricezione: nomi noti e oggi quasi consumati, che allora cominciavano appena a circolare. Attraverso i nuclei tematici, i campi semantici, i sistemi retorici vedevamo la storia entrare nei testi, non come contenuto grezzo bensì nei modi e con la ricchezza conoscitiva della rappresentazione letteraria. Durante le successive edizioni e il completamento dell’opera, il progetto si perfezionava e si autocorreggeva. Via via che al nostro interno procedevamo dal medioevo verso i tempi prossimi, dal Settecento all’Ottocento, dall’Ottocento al Novecento, l’ideazione originaria doveva adattarsi a realtà nuove e passaggi difficili. E all’esterno c’era, e ci trascinava tutti, un generale sommovimento del sapere e delle cose; s’infittivano le svolte e i contributi teorici (dallo strutturalismo alla semiologia, alle teorie della ricezione, all’ermeneutica, alla ripresa d’interesse per la storia letteraria e per la critica tematica, al dibattito su moderno e postmoderno); cambiavano i paradigmi culturali e, fatto più importante, cambiava con imprevedibili accelerazioni e straordinari colpi di scena il referente oggettivo, lo stato mondiale. L’impianto a tre dimensioni (storica, antropologica, letteraria) ha mostrato una notevole duttilità nell’ammettere anche ritocchi, anche nuove accentuazioni e aperture di spazi autonomi; ci ha evitato gli accostamenti troppo facili e meccanici, conservando però i punti di forza che hanno permesso di cogliere e assorbire il mutamento.

CESERANI: Il libro ha saputo adattarsi plasticamente alle trasformazioni (il nuovo clima culturale, la caduta delle ideologie forti, il rinnovamento dei metodi) che i tempi portavano con sé. Noi siamo intervenuti continuamente, con aggiornamenti, integrazioni, sostituzione di testi e percorsi, nuove proposte di lettura; ma la gabbia iniziale è rimasta, nella sua elasticità, sostanzialmente la stessa.

MODERATORE: Viene naturale la curiosità di sapere: quanto hanno pesato nella costruzione dell’opera le vostre diversità, gli interessi particolari, anche di natura critica e teorica, di ciascuno di voi due? Chi dei due ha avuto interessi più decisamente formalistici, chi interessi più sociologici, chi ha avuto una passione più forte per Bachtin, chi è stato più aperto alle suggestioni della teoria della ricezione, chi più coerente e fedele a un metodo critico privilegiato, chi più eclettico? 

DE FEDERICIS: Voglio ripetere un’ovvietà: noi autori abbiamo stretto entrambi un legame duraturo con II materiale e l’immaginario, ma intanto abbiamo continuato a lavorare e a pensare, a volte insieme, a volte seguendo ciascuno la sua strada.

CESERANI: Veniamo da storie diverse, eppure abbiamo imparato, nei lunghi anni di collaborazione, non solo a fare insieme, ma spesso addirittura a essere intercambiabili. Per questo quando hanno cercato nel nostro lavoro di riconoscere la mano dell’uno o dell’altro non sono riusciti a soddisfare la pur legittima curiosità; noi, per parte nostra, quando abbiamo ricevuto delle critiche abbiamo avuto una certa difficoltà a riconoscere a chi dei due poteva essere rivolto un rilievo. È d’altra parte vero quanto diceva poco fa Lidia: che la nostra vita di studiosi non si è riversata né risolta totalmente nel Materiale e l’immaginario. Ciascuno ha continuato a fare altre cose, nella scuola, nell’università, nella cultura. Abbiamo continuato ad abitare in città diverse e a risentire di diversi interessi, abbiamo avuto interlocutori diversi e un diverso impegno nell’attività editoriale, in quella dell’insegnamento, in quella giornalistica. Nulla d’altra parte di quel che ciascuno di noi due ha fatto in questi ultimi anni è avvenuto prescindendo totalmente dal Materiale e l’immaginario: quell’esperienza ha condizionato per entrambi le esperienze successive, anche quelle più divaricate. Per questo io ho provato non poche difficoltà a riconoscermi nella ricostruzione che Emanuele Zinato ha tentato, pur con grande passione intellettuale e anche adesione e simpatia umana, delle varie fasi del nostro lavoro. Egli legge la periodizzazione storica che abbiamo costruito nel Materiale e l’immaginario, quella in particolare dei volumi sull’Otto e il Novecento, alla luce di un dibattito intellettuale nel quale io solo di noi due sono stato intensamente coinvolto, in anni recentissimi, in concordanza o in contraddittorio con amici come Luperini e Fortini e in adesione alle tesi di Fredric Jameson: il dibattito attorno a moderno e postmoderno. Con Zinato potrei, naturalmente, discutere a lungo sulla lettura che egli dà – e che a me pare viziata da ideologia e wishful thinking – della mia proposta di interpretazione storiografica delle vicende culturali degli ultimi trent’anni (che è la proposta anche di Jameson e di tanti altri studiosi, ormai). Potrei dire che il fatto di giudicare epocale la trasformazione avvenuta nella società e nella cultura nel corso degli anni Cinquanta, almeno nei paesi del mondo industrialmente sviluppato, non implica né la convinzione che le straordinarie potenzialità innovative manifestate, insieme a quelle distruttive e catastrofiche, dal mondo della modernità sono state tutte spese ed esaurite, né un’adesione cieca ed entusiastica alle forme postmoderne dell’americanizzazione, alle superficialità e leggerezze del mondo della postmodernità. Implica semplicemente l’uso di categorie di analisi storica elaborate sia da gruppi di studiosi dell’economia (come avviene per la categoria del modo di produzione) sia da gruppi di studiosi della storia delle mentalità e delle sensibilità collettive (come avviene per l’attenzione agli effetti dei nuovi mezzi di comunicazione di massa). Si può naturalmente discutere, e molto, sia sull’uso di tali categorie storiografiche sia, e ancor più forse, sulle conclusioni interpretative che ne vengono tratte, tenendo anche conto del fatto che quella a cui esse vengono applicate è una realtà sociale e culturale estremamente complicata, difficile da capire per chi ci vive dentro e si sente spesso disorientato, privo di bussole e strumenti di misura (fra i più lucidi, sono forse quelli approntati da Italo Calvino per le Lezioni americane, alle soglie della morte). Quel che in ogni caso mi pare che non si possa fare è di proiettare quelle mie posizioni all’indietro, sul lavoro svolto, insieme con Lidia De Federicis e in un periodo antecedente, per Il materiale e l’immaginario. La ricostruzione che lì abbiamo fatto del periodo della modernità e delle sue scansioni, sia rispetto agli altri periodi sia interne, come risulta chiaramente anche dal Manuale, è innovativa la sua parte e può anche risultare discutibile e controversa, ma nasce, come le altre scansioni del libro, da un confronto delle posizioni storiche, da un’ampia analisi dei fenomeni strutturali di base, da un’esplorazione attenta dei sistemi retorici, di quelli formali e di quelli tematici, ricavati dai testi.

MODERATORE: Posso chiedervi, a questo punto, di raccontare senza reticenze come avete organizzato la fabbrica del libro e il lavoro a due che si è protratto per parecchi anni? Qualcuno ha parlato, per analogia, di Fruttero e Lucentini (o altre coppie di autori di romanzi gialli o d’avventura), di Lotman e Uspenskij (o altre coppie di studiosi che hanno scritto libri di saggistica e critica letteraria in collaborazione). 

DE FEDERICIS: Ne dirò qualcosa io. Lascio da parte gli aspetti di progettazione comune, di scambio intellettuale e discussione, che in una collaborazione paritaria si danno per scontati, anche se spesso non lo sono: enunciati sì, ma di rado messi in pratica con il tenace affiatamento che è del nostro caso. Mi preme di più far notare certi modi di spartirci il lavoro che hanno determinato la configurazione dell’opera. Uno è il seguente. Quello di noi che si assumeva l’incarico di un argomento, lo trattava poi per intero, utilizzando tutta la gamma dei registri a disposizione: il paragrafo più o meno ampio; la scelta dei testi con il loro contorno; le proposte di lettura e ricerca; il rimando a cartine, tabelle, grafici, riquadri informativi. Ciascuno di noi ha quindi potuto svolgere con compiutezza il filo di un suo discorso, distribuito in spazi e strumenti numerosi, ma coordinati fra di loro: dall’inquadramento d’inizio alla scelta dei testi campione e delle pagine critiche; dalle notizie brevi date nei cappelli alle analisi che mettono in circolo, appoggiandosi alla concretezza della lettura testuale, i risultati degli studi; agli esercizi pensati in parte come verifica della comprensione e in parte maggiore come impulsi a ulteriori e autonomi approfondimenti; alle indicazioni di percorsi trasversali e alle indicazioni bibliografiche mirate su temi precisi. Questa linea che collega la didattica alla ricerca, e che mantiene le sue caratteristiche anche nelle riduzioni e revisioni, è distinta dalla linea dell’informazione neutra, raccolta in una rubrica fissa. Vengo così a un secondo elemento organizzativo. La «fabbrica» ha messo in moto energie e competenze disparate e vaste. Le abbiamo governate noi soli. Quando ci è parso necessario abbiamo però coinvolto amici e studiosi: come Cesare Pianciola, che ha collaborato ai volumi sull’Otto e Novecento, e parecchi altri ai quali ci siamo rivolti per averne contributi e consulenze specialistiche. La «fabbrica» collettiva non avrebbe potuto realizzarsi senza la struttura editoriale, da cui abbiamo avuto supporti e servizi e una redazione di generosità ed efficienza, che per anni è stata al nostro fianco. Ritengo che in questo Il materiale e l’immaginario segni un bel momento del lavoro editoriale, che ha oggi un’altra articolazione e conosce altri problemi. Nella memoria gli anni di lavoro si confondono in una serie interminabile di fatiche e piaceri, di incontri, chiacchiere, fisionomie amichevoli, in un’immersione totale.

MODERATORE: Spesso i vostri interlocutori e i vostri critici hanno parlato di una eccessiva complicatezza del libro, di una sua struttura labirintica, di una sua voluta e programmatica «difficoltà», particolarmente se rapportata alle nuove esigenze didattiche della scuola secondaria di massa. Altri hanno parlato di atteggiamento illuministico, quasi utopico. 

DE FEDERICIS: Il materiale e l’immaginario propone un gioco ampio, una pluralità di voci e significati: voci d’epoca in ogni periodo, e voci successive che attestano gli usi molteplici della letteratura, le vicende dell’interpretazione e il formarsi nel tempo della storiografia stessa e della critica letteraria. La quantità e qualità dell’informazione oltrepassa le misure solite, ed è sembrata eccezionale – per esempio, a Franco Fortini. Tuttavia è frutto di una nostra scelta, e la scelta comporta sempre una volontà sottesa di mettere ordine, un atto ambiguo. Non è questa l’ambiguità di qualsiasi atto educativo? Le regole del gioco – rispondo specialmente a Luperini – noi le abbiamo dichiarate. Nell’autoritarismo dell’insegnamento abbiamo introdotto almeno due correttivi: rendere esplicito il criterio delle nostre proposte, cercando il confronto di posizioni critiche e corredandole di indicazioni non solo metodologiche ma sulle tendenze, le appartenenze, i presupposti ideologici; trasformare il libro di scuola in «laboratorio», una parola della nuova didattica a cui siamo affezionati. Perciò dentro la nostra scelta ne abbiamo disseminate molte altre eventuali di programmi differenti (per autori, generi, temi, ampiezza) e, fuori della nostra scelta, altre ne abbiamo prospettate, chiamando lo studente a un saper leggere e a un saper fare, a un contatto ravvicinato (ma non senza guida) con la filologia, l’interpretazione, la tradizione e la materialità del testo. Una volta nella scuola c’era sempre un insegnante che parlava; ora può capitare, teorie della ricezione aiutando, che qualche insegnante sia disposto a buttar lì la domanda «c’è un testo in questa classe?» e poi a mettersi in ascolto (sarà bene? sarà il disastro? si leggano in proposito i piacevoli resoconti e le osservazioni di Guido Armellini). Personalmente non ho difficoltà a riconoscermi in un progetto illuministico – penso ancora a Franco Fortini che ce lo attribuisce…

CESERANI: Nemmeno io ho delle difficoltà a riconoscermi illuminista, anzi…

DE FEDERICIS: A patto naturalmente che per illuminismo si intenda un atteggiamento mentale che incoraggia il desiderio di sapere nella presunzione che esso abbia a che fare con il divertimento e con il famoso diritto alla ricerca della felicità. Siccome degli «ismi» prendiamo quel che vogliamo, ci tengo a dire che il mio illuminismo resta fedele al proposito della ragionevolezza, della tolleranza e del dubbio critico.

CESERANI: Io sarei tentato di aggiungervi una certa dose di eclettismo. Mentre nelle questioni logiche e filosofiche mi sembra che il rigore e la coerenza assoluta siano d’obbligo, in questioni di storia, di metodologia delle scienze umane, di confronto critico fra le interpretazioni, sono del parere che una sana dose di eclettismo sia di grande giovamento.

DE FEDERICIS: Io aggiungo che quel progetto illuministico sta sul versante del riformismo e ne accetta i limiti in quanto intervento terapeutico che rinuncia a visioni catastrofiche, risposte definitive (e lascia in parentesi i fini ultimi); ma certo non rinuncia all’utopia grandiosa del farsi strumenti di esperienza e di conoscenza per gli altri. L’utopia del Materiale e l’immaginario si è mescolata alla realtà di una larghissima circolazione in mezzo a studenti, insegnanti, lettori, e i suoi quindici anni di attiva presenza ci confortano nello scartare l’ipotesi di un fallimento. Non mi disturba che il libro sia stato adoperato anche in maniere parziali, riduttive e difformi dal disegno; è un effetto previsto, e non un difetto, della sua impostazione.

CESERANI: Semmai preoccupa il fatto che, mentre non sono mancati gli imitatori e, tra gli autori di nuovi testi, parecchi si sono ispirati, con maggiore o minore convinzione, al lavoro da noi fatto e hanno proposto anch’essi libri aperti, problematici, basati sull’idea del laboratorio (e questo è successo anche nei territori affini dell’insegnamento della storia, della filosofia, delle letterature classiche, di quelle straniere), si è invece registrato, negli ultimi anni, un ritorno ai modelli antichi, si sono visti non pochi esempi di restaurazione. A questo proposito si aprono una serie di questioni delicate che riguardano la storia e l’organizzazione della nostra scuola secondaria, le sue differenziazioni interne e il ruolo che ha avuto in esse per tanto tempo l’insegnamento della letteratura: un ruolo combinato di educazione linguistica, culturale, storico-nazionale, etica ed estetica al tempo stesso. Il problema riguarda anche i possibili (o impossibili?) interventi di riforma e per esempio la progettata differenziazione, nelle scuole sperimentali e forse nella futura scuola unificata, fra le discipline di area comune e quelle di approfondimento. Si tratta anzitutto, a me pare, di giungere a precisare e difendere alcuni obiettivi formativi di portata generale: fissare, per esempio, un programma minimo di alfabetizzazione culturale e uno di alfabetizzazione letteraria nella scuola media superiore; e poi fissare un obiettivo minimo e generale, una specie di denominatore comune: una conoscenza, richiesta a tutti i giovani italiani che escono da questa scuola, della grammatica di base dell’immaginario, il possesso di un minimo di strumenti di analisi critica dei testi (letterari, teatrali, figurativi, filmici), una capacità di inquadramento storico ecc. Ma c’è anche un problema più squisitamente didattico: come si fa a trasmettere un’idea della complessità? Fino a che punto le tecniche di trasmissione del sapere che si affidano a procedimenti di sintetizzazione, riassunto e semplificazione dei grandi problemi finiscono, scendendo sotto una certa soglia, con il deformare la verità, darne una visione falsata? È davvero un’utopia pensare che anche le questioni più complicate e complesse possono, con un certo sforzo e una giusta concentrazione e gradualità di presentazione, essere correttamente insegnate, senza rinunce o deformazioni? Forse tu, Lidia, puoi dire qualcosa sul tipo di lettore che avevamo in mente preparando Il materiale e l’immaginario.

DE FEDERICIS: Il lettore a cui ci siamo indirizzati ha avuto subito una doppia figura. Uno era il lettore, per così dire, di grado zero: lo studente appunto, poco interessato o interessato solo per stanco obbligo, a una letteratura che produce altra letteratura. Rispetto allo studente ci assumevamo il compito di ricominciare con lui il percorso storico, di fronteggiare il suo distacco e la sua differenza, rendendogli plausibile il costituirsi dell’enorme complicatezza letteraria. L’altro lettore era l’insegnante, al quale abbiamo chiesto molta fatica e un impegno coraggioso. Pensavamo a un insegnante che riscoprisse la letteratura e ne riprendesse le bandiere. Un insegnante che, nella crisi dei modelli pedagogico-politici, fosse disposto ad abbandonare la rigidità dei formulari ideologici per sostituirvi la plasticità di una ricognizione ampia del patrimonio degli studi, esponendosi all’avventura che ha inizio quando il libro non ci dà solo conferme del nostro modo di vedere le cose, ma ci porta altrove e ci stacca dalla ripetizione del già saputo. Tale è il libro che diventa esperienza vera e personale: ho rubato le parole a un’amica psicanalista, Rosa Elena Manzetti, per arrivare a dire che Il materiale e l’immaginario tendenzialmente vuol essere un libro di questo genere.

 

«L’Asino d’oro» – rivista semestrale diretta da Franco Brioschi, Remo Ceserani, Lidia De Federicis, Costanzo Di Girolamo, Giulio Ferroni, Franco Marenco e Giuseppe Sertoli. Direttore responsabile Remo Ceserani. Maggio 1990 – maggio 1994, Loescher Editore, Torino
Dalla Presentazione nel numero 1: «La rivista è pensata come strumento di discussione di problemi nell’ambito della teoria e della storia letteraria, e in quello più ampio della storia della cultura, in prospettiva interdisciplinare e internazionale. Essa non vuole essere accademica e “di scuola”; vuole invece raccordarsi con il dibattito critico italiano e straniero, vuole “dar aria alle stanze”. Vuole evitare sia l’omogeneità ideologica e metodologica delle riviste di tendenza, sia il carattere miscellaneo e “di varia umanità” di tante riviste accademiche. La rivista si pone come luogo di confronto e di lavoro collettivo tra studiosi con esperienze e atteggiamenti metodici diversi».

MODERATORE: Eppure non sono mancate, negli interventi polemici sul Materiale e l’immaginario, le accuse di una chiara appartenenza ideologica, una evidente aderenza alle posizioni della sinistra marxista. 

CESERANI: Si tratta, francamente, di accuse fra le più ingiuste, a volte mosse con ingenuità, a volte con una dose di malafede. L’impianto stesso del libro come laboratorio ha consentito il continuo confronto tra le diverse posizioni filosofiche e storiche, fra i diversi metodi e le diverse posizioni critiche: ci ha permesso di comparare e far comparare fra loro i testi e le interpretazioni, di ricondurre e far ricondurre giudizi e commenti alle situazioni concrete da cui muovevano e alle ragioni ideologiche che le ispiravano, mettendo così in mano agli insegnanti uno strumento che per sua natura era alieno da posizioni rigide, univoche e autoritarie. Essendo il libro, e la forma di insegnamento da esso promosso, basato su una sistematica molteplicità di prospettive ideologiche, potremmo definirlo «prospettivistico», prendendo a prestito un termine di Ortega y Gasset applicato agli studi letterari da René Wellek. Lo stesso nostro Manuale, che pure presenta una sintesi ordinata e una narrazione filata della letteratura italiana, si sforza di mantenere, di fronte alla complessità del fenomeno storico-letterario, una posizione multiprospettica, mettendo in collegamento fra loro i diversi fenomeni (della storia sociale e culturale, di quella delle istituzioni e delle forme, dell’evoluzione stilistica e di quella tematica della letteratura) senza assumerne uno come dominante. E soprattutto si sforza di evitare i soliti giudizi sintetici e multiuso che liquidano in una formula da enciclopedia opere e autori (del tipo: «autore dalla ispirazione sincera e commossa, esprime con parole preziose e raffinate un sentimento accorato per la infelicità umana, giungendo talvolta a una essenzialità ricca di senso drammatico e tragico»), cercando di tenersi ai fatti, ai fenomeni, alle descrizioni. Per questo devo dire che, paradossalmente, il lavoro al manuale è stato uno dei più impegnativi e duri che abbiamo dovuto affrontare: la necessità di mantenere una scrittura di informazione e racconto chiara e bene ordinata senza cadere nelle banalità, di dare una buona quantità di notizie e al tempo stesso far risaltare le linee storiche importanti, di tener distinte le diverse serie di fenomeni senza appiattirli e confonderli in un pastone omogeneo e indigeribile, di introdurre anche il più possibile un’ottica nostra, di lettori viventi alla soglia della fine del millennio: è stata una vera sfida.

MODERATORE: Quando è comparsa l’edizione blu, che conteneva i capitoli del manuale di storia letteraria, non sono stati pochi quelli che hanno reagito con un certo fastidio e vi hanno accusato di avere a vostra volta rinunciato all’utopia e ascoltato le sirene del ritorno all’ordine. Ma come? Gli autori del libro aperto, dei percorsi liberi e labirintici, improvvisamente si sono convertiti al vecchio genere manualistico, al racconto filato e ordinato della storia letteraria? 

DE FEDERICIS: L’elaborazione del Materiale e l’immaginario si è distesa tempo. Alla grande edizione è seguita subito una riduzione scolastica, in cinque volumi, che ne conservava integralmente l’impianto alleggerendo la quantità della materia. Verso la fine del 1988 è uscito il volume La ricerca letteraria e la contemporaneità, che ha un impianto più sciolto. Manca all’inizio la nostra consueta proposta di un modello interpretativo economico-sociale; non per una revisione di metodo, ma per la necessità di adeguarsi alla misura breve del periodo preso in esame (dal 1960 in poi, meno di trent’anni) e alla sua attualità, due motivi per muoversi con prudenza senza azzardare un forzato allineamento dei fenomeni e una compiuta sistemazione dell’età in cui siamo immersi. Ora, assieme a un’edizione aggiornata e rinnovata del laboratorio, esce il Manuale di letteratura. Perché un manuale? Perché, cito Anna De Palma, una «Breve descrizione delle opere» di Boccaccio se c’è già nel laboratorio un Boccaccio fatto per temi e problemi? A me pare di leggere nella domanda un’implicita risposta: proprio perché nel laboratorio i temi e i problemi e la plurivocità del discorso critico prevalgono sull’aspetto sistematicamente informativo, ci siamo decisi a costruire il manuale. Sapevamo, accingendoci a quest’operazione, che avremmo creato sconcerto in qualche insegnante, e tuttavia proprio alle richieste degli insegnanti abbiamo voluto rispondere, e anche ai suggerimenti che venivano – in una situazione culturale profondamente cambiata – da studiosi a noi vicini. Ricordo Nicola Tranfaglia che ci chiedeva, già anni fa, di passare dalla grande opera a un libro sintetico, «con le stesse idee e gli stessi criteri di metodo». Tentiamo dunque, con questo nostro libro, ancora una scommessa: trasferire nella forma manualistica l’originalità e le componenti del Materiale e l’immaginario.

CESERANI: Io ci terrei, proprio poggiando sui risultati del manuale, a rivendicare la natura schiettamente storiografica che ha sotteso tutto il lavoro del Materiale e l’immaginario. Ho l’impressione che qualcuno dei nostri critici abbia scambiato il prospettivismo del nostro atteggiamento metodologico, lo sperimentalismo aperto e dialogante del nostro progetto didattico e la forma retorica di rappresentazione scelta (che a suo tempo abbiamo definito di tipo «modernistico», rievocando gli esperimenti narrativi di tipo multiprospettico di alcuni scrittori del Novecento) con una nostra adesione inconscia alle mescolanze intertestuali e ai pastiche da nouvelle cuisine delle scritture postmoderne (il che non impedisce, almeno a me personalmente, di considerare quei pastiche e quelle scritture un fenomeno culturale importante, di cui è necessario capire le motivazioni profonde e conoscere gli eventuali risultati). Nessun compiacimento, nel nostro progetto, per quello che è stato definito il sentimento di dissoluzione della storia o il recupero puramente nostalgico del passato. La nostra è stata, coerentemente, fin dall’inizio, una battaglia contro gli storicismi e a favore di una forte ricerca di storicità. La rivendicazione dello spessore storico, sia interno che contestuale, dei testi letterari, condotta in un periodo di assolutismi strutturalistici e di rivendicazioni dell’autonomia del significante, si è ispirata a esempi di ricerca storica molto vitali e importanti, come quelli della scuola francese delle «Annales» o quelli, da noi, di un’ampia schiera di nuovi storici (dell’economia, della materialità, delle strutture sociali e familiari, delle istituzioni, dell’oralità, della scrittura, dell’immaginario) che si è allargata ben oltre il gruppo riunito attorno a «Quaderni storici». Nel preparare il manuale ci siamo anche direttamente rifatti ad alcune proposte di recupero della dimensione storica della letteratura avanzate nella loro stagione estrema dai formalisti russi, perseguite dagli strutturalisti praghesi, riprese in Germania dagli studiosi della ricezione e, con altre prospettive, in America dagli studiosi del «New Historicism» e della rivista «Representation». Il ritorno, che viene da più parti annunciato, della critica di tipo tematico potrebbe anche dar forza a una scelta che abbiamo a suo tempo fatto, organizzando i testi letterari presentati nel laboratorio in una serie di capitoli tematici.

DE FEDERICIS: È una scelta che abbiamo ripreso nel manuale e che lo caratterizza.

CESERANI: Abbiamo infatti introdotto sistematicamente, nella ricostruzione storica di ogni epoca, anche un capitolo dedicato alla descrizione del sistema tematico che sottende la produzione dei testi letterari più importanti e diffusi.

MODERATORE: Vi ringrazio. Mi è piaciuto lasciarvi parlare. Ho visto che bastava sollecitarvi con una domanda o due e poi il discorso è continuato quasi da solo e non c’è quasi più stato bisogno di domande. Qualche volta un dialogo vero e proprio si è acceso, oltre che con i vostri interlocutori reali o immaginari, anche fra voi due, confermando la lunga abitudine che avete a parlarvi, a confrontarvi, a cercare insieme le risposte. Davvero vi ringrazio.


NOTE

1. Remo Ceserani e Lidia De Federicis, Il ritorno dei fabbri: «Il materiale e l’immaginario» in un dialogo, «Belfagor», 49, 2, 31 marzo 1994, pp. 221-232, Casa Editrice Leo S. Olschki.

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Lidia De Federicis

(Torino 1930 – 2011) ha insegnato per anni in un liceo classico torinese. Si è occupata attivamente di teoria e pratica della letteratura, di sperimentazione didattica, di preparazione e aggiornamento degli insegnanti. È autrice, oltre che di testi scolastici, di pubblicazioni sulla didattica della letteratura. Ha fatto parte del comitato direttivo de «L’asino d’oro» e de «L’Indice». Tra i suoi scritti ricordiamo Letteratura e storia, Laterza, Roma-Bari 1998, Del raccontare. Saggi affettivi, Manni, Lecce 2005, E tu fingi? Cronache dell’immagine narrativa in sette anni (1995-2002), Trauben, Torino 2002.

Remo Ceserani

(Soresina, 1933 – Viareggio 2016), allievo di Mario Fubini a Milano, si è perfezionato alla Yale University con René Wellek. Ha insegnato a Bologna, Milano, Pisa, Genova e in università statunitensi e australiane. Si è occupato di teoria della letteratura, di letterature comparate del Rinascimento e dell’età moderna e di storia della critica. Tra i suoi scritti ricordiamo Raccontare la letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 1990, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino 1997, Guida allo studio della letteratura, Laterza, Roma-Bari 1999, Il testo narrativo: istruzioni per la lettura e l’interpretazione, il Mulino, Bologna 2005, con Andrea Bernardelli, Il testo poetico, il Mulino, Bologna 2005, Convergenze: gli strumenti letterari e le altre discipline, Bruno Mondadori, Milano 2010, La letteratura nell’età globale, il Mulino, Bologna 2012, con Giuliana Benvenuti, Treni di carta, Bollati Boringhieri, Torino 2002, L’occhio della medusa: fotografia e letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Ha fatto parte del comitato direttivo de «L’asino d’oro» e ha collaborato al «Giornale storico della letteratura italiana», a «Belfagor», a «L’Indice» e a «il manifesto».

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