Mi accorgo, strada facendo, che all’analisi del collega Reali, dalla quale questa mia corrispondenza (senza ritorni) ha preso l’abbrivio, mancano alcune parole fondamentali. Oggi dunque analizzerò, diversamente dal solito (immaginandola che mi legge mentre prende il cappuccino, prima di uscire), non tre termini tra quelli proposti dal collega Reali, bensì uno solo tra quelli che trovo mancanti alla sua analisi, e che merita ampio spazio e molte riflessioni.
Il primo concetto che aggiungo (altri ne seguiranno nelle prossime lettere aperte: ormai si è rassegnata, vero?) è quello dell’Abbandono scolastico.
Non credo che vi sia una sola causa cui imputare il disastro che ci viene consegnato dalle percentuali relative ai tassi di abbandono e dispersione del nostro sistema di istruzione. Avvicinarsi pericolosamente al 19% (un/a ragazzo/a ogni cinque!), quando la media europea si appresta a scendere sotto il 12%, non avrebbe bisogno di altri commenti. Mentre gli altri paesi lavorano alacremente per ridurre le proprie percentuali, verrebbe da dire che noi ci siamo impegnati ad alzarle. La mia analisi sarebbe impietosa: si nutre della mia ultradecennale esperienza di insegnamento nella secondaria di primo e poi di secondo grado, della ventennale esperienza di formazione degli insegnanti e di ricerca e intervento sul campo. Pure, non sono deputato a indicare le cause del fallimento di un sistema. Non sono tra gli ultras del sistema produttivo e dunque non le consiglio di prendere esempio dalle aziende, ma solo di riflettere su che cosa accadrebbe a un amministratore delegato che perdesse 1 cliente su 5 – e i clienti, a differenza degli allievi, non sono “obbligati a”. Ecco, io credo che nel momento in cui si parla (per carità, parliamone pure) di fuga dei cervelli o di altre banalità del genere (non sarà certo la piccola percentuale dei super-qualificati che cercano collocazione all’estero il problema; non credo che avere un’ottica e una percezione di sé internazionale sia una cosa negativa; non credo che un giovane altamente qualificato debba trovare un limite nei patri confini), bisognerebbe guardarsi intorno un momento e cercare di rimettere in ordine le cose.
Ogni volta che Lei, Ministro, o il Presidente del Consiglio (ed è già successo troppe volte in questo primo mese dall’insediamento del governo) nominate il problema dei “giovani che cercano collocazione all’estero” o “della fuga dei cervelli” a me compaiono delle eruzioni cutanee. La prego dunque, gentile Ministro, se non altro per riguardo al mio aspetto e alla mia salute, di concentrarsi su due problemi: i livelli di abbandono e dispersione scolastica, che sono compatibili con il 1950 e non con il 2013, e l’altrettanto grave problema dei Neet (i due fenomeni, peraltro, sono strettamente collegati).
Come si conviene a ogni presuntuosa lettera di consigli non richiesti, mi permetterò, tuttavia, di dargliene alcuni (ahimè inattuabili senza risorse, ma capaci di far risparmiare alcuni dei miliardi che Neet e abbandono e dispersione costeranno nei prossimi anni – per le politiche di welfare e di contenimento, per le politiche repressive, sanitarie etc…): eserciti una decisa opzione per una scuola degli apprendimenti, per una scuola cioè dove ogni insegnante venga valutato (e di conseguenza retribuito) sulla base dei risultati di apprendimento dei propri alunni (ovviamente conoscendone prima il punto di partenza). Costruiamo consenso e informazione sulla scuola, usiamo anche gli strumenti di comunicazione per darle valore, per farla sentire a tutti come propria, per restituire ai sistemi di istruzione e formazione la centralità che devono avere in un paese che voglia guardare al proprio futuro. Uno dei suoi predecessori, il ministro Fioroni, le ha lasciato, con il DM 139 del 22 agosto 2007, un dispositivo fondamentale per intervenire a proposito della situazione ricordata. Perché non varare un piano nazionale che coinvolga anche gli adulti, per il recupero delle competenze di base? Non crede che sortirebbe effetti notevoli sull’intera popolazione, sui Neet, sui soggetti che abbandonano i percorsi di istruzione senza concluderli?
Miglioriamo le pratiche di orientamento e estendiamo l’orientamento stesso anche favorendo lo sviluppo della didattica orientativa (quest’ultima, a differenza dell’orientamento specialistico, può essere svolta direttamente dagli insegnanti se adeguatamente formati). Impedisca la reiterazione di forme di orientamento attitudinali superate da tempo (svolte spesso attraverso test, questionari o sedicenti software orientativi) e recuperi la spinta contenute nelle belle Linee Guida che hanno seguito il processo di Abano. Comprensibilissima la percezione di schizofrenia da parte di chi aveva seguito con interesse e partecipazione quel percorso, e poi l’ha visto interrompere e contemporaneamente riapparire percorsi e strumenti che si credevano superati. Le Linee Guida avevano esercitato una decisa opzione, coerente con la letteratura mondiale sul tema, in direzione dei modelli di orientamento formativo. Proseguiamo in quella direzione? Vogliamo fluidificare il percorso?
Facciamo conoscere e raccontiamo la scuola migliore, le esperienze positive, i risultati più fecondi, non sempre e soltanto i casi in cui la scuola incrocia la cronaca nera, o gli stupidari o le “perle” dei prof, e tutte le magagne che, senza dubbio, ci sono. Raccontare l’eccellenza con continuità può contribuire ad “alzare l’asticella” delle nostre attese e l’orizzonte di confronto professionale di ogni operatore del sistema di istruzione. Vari un piano nazionale di formazione degli insegnanti mirato alla valorizzazione di apprendimenti e alunni e a sviluppare competenze che consentano di insegnare per competenze. Dica una parola chiara sulla funzione delle discipline che, se proprio non si possono superare, debbono essere strumenti e non finalità.
Abbandono, dispersione, Neet costituiranno, nei prossimi anni, voci di costo importanti per il bilancio dello stato (produrranno dipendenze, microcriminalità, disoccupazione di lunga durata, incremento delle situazioni di disagio, patologizzazioni varie), soprattutto se non si interviene subito, seguendo sia un approccio curativo (interventi urgenti per tamponare la falla) che un approccio preventivo (formare gli insegnanti, prevedere dispositivi e processi di supporto), in modo che queste percentuali si riducano drasticamente per il futuro. Credo che dedicare un po’ di risorse a queste generazioni sia semplicemente dovuto e, per favore, salviamoli da bagni di retorica. Un’analisi anche sommaria di equità intergenerazionale rivela che tutti coloro che hanno sotto i cinquant’anni oggi, in Italia, sono in posizione creditoria. Iniziare a restituire qualcosa è il minimo, un inizio appunto… Inoltre, come credo sia chiaro, le conseguenze a medio termine di un eventuale non intervento sarebbero molto più onerose in termini economici e non produrrebbero risultanze positive ma, appunto, “contenimento sociale”.
Occorre intervenire subito e per una volta farlo bene.
Chi opera nell’istruzione non può assumere la logica del massimo risultato immediato, massimizzare cioè il guadagno di oggi: deve assumere la logica dell’investimento e il coraggio di intraprendere anche azioni che non gli tributino un immediato consenso televisivo.
Grazie.