Subito, però, il piccolo demone della letteratura mi stuzzica, con il ricordo delle spy-story di ambientazione storica scritti da Rosario Magrì, neurologo primario all’ospedale San Carlo di Milano, che nel 1982 pubblicò Il medico delle isole, e nel 1984 La statua d’oro. In entrambi egli immagina che l’indagine sia condotta e conclusa brillantemente proprio da Claudio Galeno. Erano libri che, in quegli anni, proponevo ai miei studenti del biennio per attrarli allo studio della storia antica, convinto già allora che le materie scolastiche debbano interagire e trasmettersi linfa: insomma, come si scriverebbe oggi, sviluppare un’organizzazione a rete.
Se desidero proporvi la visita che io stesso ho fatto qualche settimana fa a Roma, e che da tempo andavo programmando, è perché so bene che l’impegno di un docente è costantemente rivolto a fare dei nostri giovani non tanto dei bravissimi tecnici di questa o quella materia, quanto a prospettare loro che ogni futuro ruolo professionale sarà molto più complesso, e che in un curriculum le humanities rivestono un’importanza fondamentale (Steve Jobs, per esempio, aspirava a formare un tecnico umanista, quasi d’ispirazione rinascimentale, e per restare in Italia, pensiamo alla straordinaria figura del poeta ingegnere Leonardo Sinisgalli). In tanti Istituti superiori in Italia questa attualmente sembra essere la nuova frontiera delle proposte didattiche, a giudicare da quanto emerge dalle brochure dei loro open day.
Sono dunque al Museo di Storia della medicina dell’Università “La Sapienza” di Roma, che raccoglie una delle più rilevanti collezioni di artefatti legati all’arte sanitaria esistenti in Italia. Mi attende il dottor Alessandro Aruta, che ne è il competente ed appassionato curatore, e che mi farà gentilmente da guida.
I busti dei grandi della Medicina
Di chi sono, gli chiedo, i busti e le statue in gesso che disposti a terra nell’atrio sembrano quasi attendere il visitatore per introdurlo alla visita?
La testa piena di grazia ellenistica a pochi passi da me è quella di Igea, divinità della salute; in fondo a sinistra accanto alla parete c’è il fondatore dell’arte medica occidentale, Asclepio; quindi, al suo fianco, l’eminente medico romano Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), anatomista di vaglia e scopritore della trasmissione della malaria per mezzo delle puntura delle zanzare: la massima galenica che ho prima citato gli si attagliava perfettamente, tanto è vero che la sua splendida biblioteca dopo la morte fu collocata nell’ospedale di Santo Spirito, oggi sede, qui nella capitale, di un altro imperdibile Museo Storico Nazionale dell’arte medica. A fianco di Lancisi c’è il busto in color ocra dell’austero chirurgo toscano Cesare Magati, vissuto a cavallo fra XVI e XVII secolo. Il suo De rara medicatione vulnerum fece scuola nel Seicento e fu apprezzato, ad esempio, da Ludovico Settala. Chissà se anche a Magati sarà capitato di pensare che «è pazzia far del bene a noi uomini» come sentenzia Manzoni nel Fermo e Lucia, ricordando la disavventura subìta durante la peste proprio dal protomedico Ludovico Settala (Promessi Sposi, cap. XXXI, cpv.40), perché gli appestati li considerava come pazienti da curare secondo scienza e coscienza, e non degli untori?
Poi c’è un duo che ha contribuito a rendere a fine Settecento l’università di Pavia un’eccellenza, come si definirebbe con termini attuali: il medico anatomista Antonio Scarpa e il naturalista Lazzaro Spallanzani. Di nuovo dal pozzo della memoria “cigola” il ricordo di un libro a me caro, Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa, pubblicato nel 2004 da Paolo Mazzarello, presidente del Polo museale dell’ateneo pavese. La parte più ampia del saggio l’autore l’aveva dedicata alle intricate e poco edificanti vicende accademico-giudiziarie che coinvolsero i due illustri personaggi, assieme ad altri colleghi di quella università, a conferma che gelosie di carriera e frodi scientifiche possono sempre inquinare anche l’ambiente della più pura ricerca.
In mezzo ai due, quasi a far da paciere alle loro dispute, ecco “sua maestà anatomica” Giambattista Morgagni, che regge con la mano sinistra, tenendolo ben in vista, il suo trattato più acclamato: De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (Venezia, 1761), e che fondò la moderna patologia su un rigoroso metodo sperimentale. Infine, su di un piedistallo bianco, fissa intensamente il visitatore il volto in bronzo del professore e medico Adalberto Pazzini, che nel 1938 volle far confluire le sue preziose collezioni di oggetti attinenti alla medicina e all’arte sanitaria in un museo, originariamente posizionato nei seminterrati dell’Istituto di Igiene dell’Università La Sapienza. Nel 1954, ottenne i fondi per attrezzarlo nell’attuale edificio, con annessa biblioteca e centro studi per la didattica. È stato lui, mi precisa il dottor Aruta, a voler inserire la Storia della medicina nel curriculum formativo del medico.
L’inclusione in un moderno polo museale
Rifletto immediatamente che, in una fase di svolta nel reclutamento dei futuri medici e operatori delle professioni sanitarie (mi riferisco in particolare alle recenti notizie riguardanti una possibile abolizione del numero chiuso nella facoltà di Medicina), ma anche in un’ottica di accesso a molte altre facoltà tecnico-scientifiche, sarebbe auspicabile qualche ritocco alle conoscenze e alle competenze prodotte dai nostri programmi. Perché, allora, non intensificare a scuola – con periodiche proposte, per esempio in vista della programmazione di uscite didattiche e di viaggi di istruzione – delle attività interdisciplinari, degli incontri con esperti, e, all’esterno, non prenotare visite guidate specialistiche e laboratori legati al progetto ideato e avviato in classe?
Esplicito brevemente queste mie interiori riflessioni al mio interlocutore e lui mi riferisce del Polo museale Sapienza (PmS): da poco tempo si è costituito infatti un sistema integrato dei musei universitari, una ventina, dove si conserva un patrimonio di collezioni in grado di illustrare i più diversi campi della conoscenza, in rapporto a discipline sia scientifiche sia umanistiche. Naturalmente, aggiunge il dottor Aruta, occorrono da parte nostra una progettualità sul lungo periodo e la possibilità di regolari e adeguati finanziamenti da parte del Miur. Mi fornisce quindi un opuscolo, che contiene nel dettaglio le 5 aree che accomunano questi musei di facoltà: 1. Archeologia e Arte classica e contemporanea; 2. Antropologia, medicina e Anatomia comparata; 3. Scienze della Terra; 4. Scienze biologiche; 5. Scienza e Tecnica.
Sfogliandolo penso che in teoria un viaggio a Roma si potrebbe aprire e chiudere tutto all’interno del perimetro della Sapienza!
Le ricostruzioni d’ambiente
- Il laboratorio dell’alchimista.
- Il laboratorio dell’alchimista.
- La spezieria.
- Particolare della spezieria.
Iniziamo a questo punto la visita vera e propria. Aruta mi conduce al piano seminterrato, dove posso godere delle affascinanti ricostruzioni d’ambiente, quali la Spezieria, il laboratorio dell’alchimista, la stanza degli ex-voto dall’epoca greco-romana al medioevo e oltre; la stanza, protetta all’ingresso da una grata in ferro, dove alle pareti e nelle bacheche si trovano albarelli, versatoi, pillolari, idrie, contenitori in maiolica di varie fogge e di diverse manifatture (Caltagirone, Grottaglie, Deruta, Faenza ecc.). Sono oggetti che il tenore di inizi Novecento Evan Gorga aveva accuratamente collezionato e che poi, per un dissesto finanziario, dovette cedere allo Stato. Fu Pazzini a ottenere l’affidamento della preziosa collezione, che fece confluire nel museo.
- Una teca contenente oggetti e strumenti antichi.
- Una cassetta di strumenti d’epoca.
Due altri ambienti nel seminterrato contengono acquisizioni più recenti, come un ambulatorio di un odontoiatra romano della seconda metà del Novecento, ancora perfettamente attrezzato con strumenti, apparecchiature, medicinali e soprattutto con la sempre inquietante poltrona per il paziente, e come anche lo studio del primo Novecento con tutte le attrezzature per la professione appartenute all’urologo romano Ciddio, che stava per essere eliminato dagli eredi e che per un colpo di fortuna è stato invece acquisito dal Polo museale.
Un percorso cronologico
- Le sezioni
- La storia della farmacologia
- La storia dell’elettroencefalografia
Risaliamo al primo piano. Il percorso è strutturato secondo un criterio cronologico: dalla medicina antica e dalla paleopatologia si arriva alla rivoluzione scientifica del XVII secolo. Non mi soffermo volutamente sulla descrizione dei tanti reperti disposti in bacheche corredate da pannelli o video didattico-esplicativi, efficaci ed essenziali: sarà interessante scoprirli personalmente.
Al secondo piano si procede con l’anatomia del Settecento, le branche della medicina sempre più specialistiche sviluppatesi con le numerose invenzioni dell’Ottocento, fino ad arrivare ai pannelli dedicati alle neuroscienze e alla medicina molecolare del Novecento. Con i video sui trapianti, la biomedicina e la genetica, la visita si conclude offrendo uno sguardo aperto sul futuro. Ma devo ammettere che come un mantra, durante tutto questo affascinante e sofferto percorso fra le piaghe dell’umanità, mi sono ripetuto l’incipit del De medicina di Aulo Celso: ut alimenta sanis corporibus agricoltura, sic sanitatem aegris medicina promittit.
Esco dall’elegante palazzetto in stile razionalista, sede del Museo, e mi accorgo che è già sera. A poca distanza ci sarebbe il Museo dell’Istituto superiore di Sanità, inaugurato poco più di un anno fa. Ho letto che è stato ideato per essere altamente interattivo ed esperienziale, in modo da sfruttare le più recenti tecnologie digitali per spiegare con linguaggio comprensibile a tutti il valore della ricerca scientifica e dei suoi frutti. Ma ho già assorbito troppe informazioni ed emozioni, per oggi, e ci rinuncio. Al prossimo viaggio a Roma mi propongo di andarci, ma spero soprattutto che molti colleghi mi precedano, incuriositi da queste mie note.