Perché uno studioso era ed è rimasto per tutta la vita, anche nel periodo del suo impegno diretto in politica, al servizio della Repubblica, durante il quale scrisse uno dei suoi libri maggiori, La nobiltà di Dante (Firenze, Edizioni Polistampa, “Società Dantesca Italiana, 2004), a dimostrazione dell’indissolubile legame – da vero artigiano della letteratura – tra teoria e pratica, tra esperienza e riflessione, tra azione politica e scrittura saggistica. Impegnato a trattare con le multinazionali del petrolio per calmierare i prezzi della benzina, a organizzare il voto nella Commissione Industria del Senato, o a tenere insieme i pezzi sparsi dei partiti del centrosinistra italiano, Umberto Carpi teneva insieme i pezzi della sua identità di studioso scrivendo un libro arduo per l’ampiezza e la profondità della conoscenza storica, e irraggiungibile per il coraggio intellettuale e la capacità argomentativa. A rileggerlo oggi sembra quasi che la Biblioteca del Senato o la segreteria del Ministero dell’Industria – che compaiono nei ringraziamenti premessi al libro – abbiano rappresentato la parte principale, o almeno quella più sensata, carica di significato umano e politico, dell’esperienza romana del senatore Carpi.
Autore di fondamentali studi sui rapporti tra letteratura e politica in Italia tra Otto e Novecento (Montale dopo il fascismo, Liviana 1971, La Voce. Letteratura e primato degli intellettuali, De Donato 1975 e Pensa Multimedia 2003, Il poeta e la politica: Belli, Leopardi, Montale, Liguori 1978, L’estrema avanguardia del Novecento, Editori Riuniti 1985), dal 1990 si è concentrato sugli studi danteschi e sulla letteratura dell’età giacobino-napoleonica.
Nel 2003 ha cominciato a collaborare alla rivista “Per leggere” per la quale ha condotto una straordinaria attività pubblicistica, condotta all’insegna della discrezione e della modestia. Sono sue le letture della canzone Alla primavera di Leopardi, ai canti VI e XIV del Purgatorio, al sonetto La stampa e la riforma e a Via Ugo Bassi di Carducci, alle poesie di Timone Cimbro, e poi, soprattutto, settanta libri recensiti in cinque anni, schede di lettura o veri e propri saggi di commento consegnati alla redazione a cadenza regolare, ogni sei mesi: una grande lezione di rigore applicato al genere meno nobile della critica letteraria, riservato ai novizi e, pare, a quei pochi uomini che sanno quando è il momento di dare l’esempio a chi, in un momento storico caratterizzato dallo smarrimento e dalla crisi della ricerca letteraria e non solo, si affaccia al mondo degli studi e dell’insegnamento.