Il dialogo necessario

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Abbiamo intervistato Daniele Aristarco, autore di “Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi” (Einaudi Ragazzi, Torino 2019), per capire come si può e si deve ragionare insieme ai più giovani sul nostro passato e gettare basi solide e realmente condivise per costruire un futuro democratico. Da «La ricerca» #17, “Meditate che questo è stato”.
Composizione fotografica di pietre di inciampo, o Stolpersteine, nella Repubblica Ceca.

Durante un incontro in una classe per parlare di Shakespeare, l’occhio di Daniele Aristarco cade su un banco vuoto, su cui campeggia la scritta DUX incisa con un coltellino. L’assenza della ragazza che lo occupa e il bisogno di capire il significato dell’incisione lo spingono a scriverle undici lettere e «riflettere assieme» a lei su «cos’è stato e cos’è il fascismo», partendo dal concetto di potere (verbo e sostantivo), per continuare con un tentativo di definizione di fascismo che passa in rassegna il movimento politico storico, il neofascismo e il fascismo «eterno».
In uno stile piano, chiaro e coinvolgente – sempre in presenza dell’interlocutrice, in dialogo con lei –, le lettere procedono con l’esame dell’iconografia e del culto della personalità, dell’immaginario fascista, sempreverde, e oltre a Mussolini e alla sua galleria di busti – efficace espediente per rappresentare le fasi della carriera del duce – si materializzano le figure di chi si oppose finendo ucciso, marginalizzato, allontanato: Matteotti, Gramsci, Spinelli, fino al giovane Cavestro, diciottenne giustiziato per il suo bollettino antifascista.
Il carteggio si chiude con un ragionamento sulla moda del fascismo, sul suo continuo riproporsi, e sul significato della resistenza e dell’antifascismo ieri e oggi.

Partiamo dall’inizio: nel libro, fin dal titolo, lei sostiene che non sia fuori luogo parlare di fascismo per descrivere fenomeni, movimenti, azioni del panorama politico attuale. Il dibattito in Italia è acceso, e non sono poche le voci contrarie, a partire – semplificando – da quella di Emilio Gentile. Perché a parer suo è invece proprio la parola giusta?

Daniele Aristarco: I miei libri nascono dalle domande che i ragazzi mi pongono durante gli incontri nelle scuole e che, spesso, rivelano angosce profonde o curiosità che vorrebbero indagare. Quando percepisco l’urgenza e sento di non avere una risposta, allora mi lascio spiazzare, ammetto la mia ignoranza. Studio, investigo, tengo un diario della mia ricerca, mi confronto con chi ne sa di più e scrivo. Per me, il libro non è un oggetto chiuso da consegnare o da scagliare contro i ragazzi. È la prima tappa di un viaggio da muovere assieme.
Quando, a seguito dei fatti di Macerata e di numerosi episodi similari, i ragazzi han cominciato a chiedermi, sempre più spesso, se il fascismo fosse tornato di moda, non ho chiesto loro di darmi una definizione di fascismo, non ho domandato se la Resistenza ha debellato o meno il fascismo nel ’45. Il senso di quella domanda mi è giunto in tutta la sua forza e mi è parso giusto mettermi a servizio di quella urgenza. Un movimento politico che con la violenza ha ottenuto e ha gestito il potere, privando i cittadini delle libertà, questo Paese lo ha conosciuto per vent’anni, e a quel pericolo i ragazzi si riferiscono.
La mia risposta a quell’interrogativo è che non viviamo il rischio di un ritorno di moda del fascismo, ma che una serie di atteggiamenti, primo tra tutti la seduzione che esercita l’eccessiva semplificazione di fenomeni complessi, può metterci di fronte a rischi che abbiamo già vissuto, proprio durante il Ventennio.
Credo, inoltre, che i giovani stiano esprimendo un’altra esigenza di questi anni. Stanno sparendo i testimoni diretti di quella storia, bisogna costruire un modo nuovo di informarsi e ragionare assieme sul nostro passato, sui giorni che stiamo vivendo. Il mio libro è un umile tentativo in tal senso.

Al di là degli accorati appelli sul destino della Storia nell’Esame di Stato e nella scuola in generale, come si può «tenere alto e teso il filo che lega il passato al presente», e cosa significa?

Daniele Aristarco: C’è un posto dove i ragazzi scoprono la propria voce e imparano a raccontare. Non è il posto in cui trovano tutte le risposte, ma di certo è lì che imparano a porre e a porsi le giuste domande. A custodire il passato e a inventare il futuro, a interpretare e persino a incidere nella Storia.
È a scuola che imparano il tempo buono per riflettere e la possibilità di sbagliare, a unire le forze e a spenderle a vantaggio di uno scopo comune. La scuola può costruire occasioni di confronto e di dialogo. Può essere lo strumento per smuovere l’aria inchiodata di giorni tutti uguali, per dare ai ragazzi buone energie, metodo e passione. E può aiutarli ad acquisire consapevolezza, fornendo schemi di comprensione e lasciando che siano loro ad applicarli alla realtà che li circonda; a investigare ciò che li angoscia, ad approcciare in maniera consapevole ciò che li muove ed emoziona.
Soprattutto a scuola si può tendere questo filo tra le vecchie e le nuove generazioni, cercare un punto di incontro, utile a scambiarsi idee, conoscenza e sogni. Tenere teso assieme quel filo che rappresenta la nostra storia vuol dire non perdere mai l’orientamento, non commettere vecchi e pericolosi errori.

Che idea si è fatto della partecipazione politica dei più giovani, di come assorbono e incorporano idee e ideologie, di come queste passino dal discorso pubblico alle nuove generazioni – o se piuttosto queste non le assorbano da altre fonti? Pensiamo anche alla leggerezza con cui circolano e sono condivisi tra i giovani e giovanissimi meme e battute a sfondo razzista, spesso minimizzati dagli adulti che li riducono a “cose da ragazzi”. 

Daniele Aristarco: I ragazzi che incontro abitualmente nelle scuole hanno tra i 10 e i 14 anni. La sfida dell’ecologia, i diritti e la parità di genere, sono temi che colpiscono direttamente, direi intimamente, le ragazze e i ragazzi di quella età. In alcuni casi, già dagli 8 anni, le bambine e i bambini sono pronti ad affrontare questi temi senza alcun pregiudizio e sono disposti a modificare linguaggio e comportamenti, a prestare cura, a fare attenzione attraverso piccoli gesti significativi.
Per quanto riguarda la fascia d’età che va dai 14 ai 18 anni, quando li incontro mi accorgo presto se, negli anni precedenti, non è stato fatto alcun lavoro sulla cittadinanza. In tal caso, lo schema percettivo della realtà, della Storia, del loro ruolo nella società, è rigido, banale, una griglia eccessivamente semplificata. Questi ragazzi sono distanti, freddi, almeno apparentemente disinteressarti al mondo circostante e agiscono come in uno stato di apparente sonnambulismo. Il mondo, per loro, si riduce alla realtà più prossima, e di questa accettano (spesso subiscono) codici vecchi, banali, sessisti e cupi. È un problema che va ben oltre la più o meno dichiarata appartenenza politica e richiederebbe un dialogo più profondo, un’analisi della società nella quale vivono e che spesso non offre alcuna alternativa a questo “conformismo violento” che perpetua vecchie ingiustizie.
Certamente tra loro c’è chi provoca gli adulti sul loro terreno, dichiarandosi “fieramente fascista” (eppure son sempre meno gli adulti che si espongono a un tale confronto). C’è chi viene irretito, ma la seduzione iniziale, io credo, non è mai strettamente ideologica, anzi spesso si tratta della possibilità di risolvere le ansie in quelle di un gruppo. Non di rado, sono persone insicure che, dietro l’ostentazione della mascella volitiva o di altre goffe idee di virilità, si sentono parte di un tutto che dà forza. È un altro conformismo, che a seconda dei contesti può diventare un vero e proprio adeguamento alle idee della maggioranza, come nel caso di alcune periferie romane.

E dunque esistono, e, se sì, quali sono gli antidoti al fascismo di ritorno? Sono di natura politica, culturale, o entrambe le cose?

Daniele Aristarco: Nel libro ne indico alcuni, come lo studio, la lettura, il confronto, il viaggio, insomma tutto ciò che apre la mente, offre nuove suggestioni e soprattutto espone al cambiamento. Tutto ciò che costruisce umanità.
Ovviamente non esistono panacee, facili e universali soluzioni. Una importante possibilità, però, consiste a mio parere nell’affrontare “caso per caso”. A volte l’atteggiamento violento e discriminante può essere generato da un episodio specifico. È il caso, ad esempio, di un ragazzo che si dichiarò “contrario agli stranieri”. Dopo un breve confronto, ammise di ascoltare musica “straniera”, di amare la cucina “straniera”, di sognare di viaggiare e vivere all’estero. In conclusione, il ragazzo ammise una forte antipatia per una sola straniera: la badante che aveva sposato il nonno, distogliendolo dall’affetto del nipote.
In un confronto piano, talvolta ci rendiamo conto che dietro quegli atteggiamenti non c’è una pregiudiziale ideologica, ma l’eccessiva semplificazione del reale, una risposta emotiva dei giovani, e che spesso coincide con quella degli adulti di riferimento.

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Pietra d’inciampo dedicata ad Alberto Segre e sita in Corso Magenta 55 a Milano.

Il suo libro è un auspicio al dialogo: un invito ai ragazzi a chiedere, a fare domande (che lei definisce sempre «complesse, incalzanti e molto dirette») e agli adulti a rispondere, a coinvolgerli, a ragionare insieme a loro. Perché non è così? Cosa manca o non funziona nella nostra società, nella scuola, nelle generazioni degli adulti di riferimento? Nei media, nella rete? 

Daniele Aristarco: Manca spesso il tempo, il desiderio, il coraggio di esporsi assieme ai ragazzi, di ammettere, di fronte a loro, le nostre fragilità, la nostra ignoranza. Tendiamo a proteggerli dalla complessità più che ad affrontarla assieme. Questo atteggiamento, il più delle volte, rappresenta un’autodifesa. Tendiamo, cioè, ad applicare schemi vecchi alla comprensione di nuovi fenomeni di cui minimizziamo o addirittura neghiamo l’esistenza. Di fatto, otteniamo così il duplice risultato di estraniarci dal mondo attuale e di lasciare i più giovani soli, esposti ai rischi e alle difficoltà. Quando poi i ragazzi tentano una risposta, una flebile, incerta, contraddittoria risposta, li critichiamo e posticipiamo a un indefinito futuro il diritto di agire autonomamente.
I giovani non vengono riconosciuti come un soggetto degno di parola, manca un’idea di cittadinanza dei ragazzi. Li si blandisce dicendo loro “voi siete il futuro”, ma, di fatto, posticipiamo in un tempo indefinito il loro diritto di parola. I media e la rete tendono a trattare i ragazzi come consumatori, a costruire intorno a loro una bolla di falsi bisogni da appagare facilmente. In realtà, li privano della possibilità di levare gli occhi da quello specchio deformante che è lo smartphone, di lasciarsi stupire e coinvolgere dalla realtà, di affratellarsi e legarsi l’uno all’altro in altre reti, più concrete e virtuose… Di riconoscere negli occhi dell’altro quella tenera fragilità che riguarda tutti, nessuno escluso.

Giulia ha mai risposto? Lo ha fatto qualche altra o altro dodicenne? 

Daniele Aristarco: Non una, ma molte “Giulia” han risposto alle mie lettere. Il libro è uscito il 12 febbraio e già la notte del 13 ho cominciato a ricevere lettere di risposta. Le prime sono arrivate tramite i social, per la maggior parte da docenti, genitori, educatori. Poi, sempre più spesso, i ragazzi e le ragazze mi hanno scritto lettere cartacee e me le hanno consegnate durante gli incontri, a volte le ho trovate nella tasca del cappotto o tra le pagine di un libro.
Questo per me ha un duplice valore: da una parte testimonia la profonda necessità di dialogo che tutti noi proviamo su questo tema, sul presente che stiamo vivendo e sul futuro da costruire; dall’altra, mi piace pensare di avere innescato una piccola magia: scrivere una lettera è consegnare un pezzo di sé agli altri, donare tempo e cura. Forse, la lettera rappresenta uno degli antidoti a una comunicazione spesso sterile, frettolosa e volgare.
Per questo motivo, sto tenendo quelli che ho chiamato “piccoli laboratori postali”, esperimenti di scrittura di lettere, nelle scuole, nei circoli di lettura, nelle biblioteche, con i detenuti, i giovani ospitati nei centri di prima accoglienza. Quanto a Giulia, ci son state diverse ragazze che mi hanno scritto “Giulia sono io”. E a me sembra di riconoscerla in tutte quelle voci che sanno sentire e che hanno il coraggio di dire.


Daniele Aristarco è nato a Napoli nel 1977. È autore di racconti e saggi divulgativi, pubblicati sia in Italia che in Francia e tradotti in molte lingue. Ha insegnato lettere nella scuola media e ora scrive libri per ragazzi, oltre che per la radio e il cinema. Drammaturgo e regista teatrale, ha vinto numerosi premi. Si occupa inoltre di laboratori di scrittura creativa presso scuole, biblioteche e associazioni culturali. Per Einaudi Ragazzi ha pubblicato Shakespeare in shorts – Dieci storie di William Shakespeare, (libro del mese a Fahrneheit)  Io dico no! – Storie di eroica disobbedienza, inserito nella lista dei «White Ravens» 2017, Così è Pirandello (se vi pare) – I personaggi e le storie di Luigi PirandelloCose dell’altro secoloLucy, la prima donna, La nascita dell’uomoDecameron, Fake – Non è vero ma ci credo, La diga del Vajont, Io dico sì! Storie di sfide e di futuro, Nikola Tesla, l’inventore del futuro e  Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi (inserito nella lista dei «White Ravens» 2019 e poi, di recente uscito in edicola con il Corriere della Sera), Io vengo da. Corale di voci straniere. In Francia, assieme a Stéphanie Vailati ha pubblicato “Primo Levi: non à l’oubli” per Actes sud junior e alcuni libri di cinema rivolti ai ragazzi.

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Alessandra Nesti

Traduttrice e redattrice, coordina il progetto de «La ricerca» (sito, rivista e social) e cura le collane dei Quaderni della Ricerca e QdR / Didattica e letteratura. Ha tradotto “Teach Like a Champion”, di Doug Lemov, che è diventato il Quaderno della Ricerca #38, e “The Reading Zone”, di Nancie Atwell e Anne Atwell Merkell, che è il QdR / Didattica e letteratura #15, “La zona di lettura”.

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