Il clima è già cambiato

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Abbiamo chiesto a una climatologa se è vero che il clima sta cambiando, e se questo cambiamento è legato all’azione umana. Ci ha risposto di sì, e ci ha spiegato perché. L’articolo di apertura del numero 16 de «La ricerca», “Pianeta Scuola”.
© Donata Cucchi, Riccione, 2010, «Ruggine rossa», dal progetto MariAperti.

Il cambiamento climatico è una delle questioni più urgenti del nostro tempo e gli effetti cui stiamo assistendo ne sono una chiara prova. Eventi meteorologici più intensi e potenzialmente disastrosi che mettono a rischio territori e vite; carenza idrica a causa della diminuzione delle riserve di neve e ghiaccio; effetti della siccità sull’agricoltura; allagamenti costieri a causa dell’innalzamento del livello dei mari; perdita di biodiversità marina e terrestre; acidificazione degli oceani: sono solo alcuni esempi.

Rispetto ai cambiamenti climatici del lontano passato, molto più lenti e dovuti a cause naturali, quelli di oggi si stanno verificando con una rapidità senza precedenti, che eccede di parecchio quella dei processi naturali, e sono riconducibili alle attività umane, prime fra tutte le emissioni dei gas climalteranti che rilasciamo nell’atmosfera e i cambiamenti nell’uso del suolo.

La scienza ha permesso di fare chiarezza sullo stato di salute del nostro pianeta e di elaborare azioni per contrastare i cambiamenti climatici indotti dall’uomo. Occorrono anzitutto politiche di riduzione delle emissioni e di mitigazione che permettano di agire sulle cause del surriscaldamento, accompagnate da misure di adattamento per imparare a convivere con gli effetti già in corso o che inevitabilmente si verificheranno nel prossimo futuro. 

Contrastare il cambiamento climatico passa attraverso l’azione politica, prima di tutto – come indirizzare la società verso l’uso di fonti energetiche rinnovabili, eliminare i sussidi e aumentare le tasse sui combustibili fossili, puntare sull’economia circolare –, ma anche attraverso l’azione culturale. Ci sono aspetti della mitigazione che riguardano la sfera del nostro vivere quotidiano, come privilegiare i propri spostamenti con i mezzi pubblici o a piedi o in bicicletta, scegliere una fornitura elettrica da fonti rinnovabili, produrre meno rifiuti, fare la raccolta differenziata, non sprecare. Sono passi semplici che, se seguiti da tutti, possono dare un forte contributo.

Il clima: un sistema complesso in evoluzione

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Figura 1. Una rappresentazione grafica dell’effetto serra naturale. Il bilancio tra l’energia solare assorbita e quella infrarossa rimessa dalla superficie, in parte trattenuta grazie ai gas serra e alle nubi, ha garantito una temperatura media del pianeta compatibile con la vita. A destra due stati estremi, quello di un pianeta senza effetto serra (in alto) e con un effetto serra amplificato (in basso), come si sta verificando nella nostra epoca.

Comincerei però col ricordare alcuni concetti fondamentali, anche per chiarire una volta per tutte come una bella nevicata non costituisca la prova che il riscaldamento globale non esiste. Perché clima e tempo meteorologico non sono la stessa cosa… Possiamo parlare di clima solo se abbiamo raccolto dati sul tempo meteorologico (i valori di temperatura, precipitazione e di tante altre variabili importanti) per molti anni consecutivi, perché questo permette di “farsi un’idea” su quali siano le condizioni tipiche del tempo in una data regione e in un dato periodo dell’anno. Questo significa che per capire se c’è stato un cambiamento climatico bisogna analizzare lunghe serie di dati meteorologici e vedere se si sono verificati dei cambiamenti significativi nella media, nella variabilità, nei valori estremi di queste variabili. Domande tipo: «la temperatura negli ultimi due-tre decenni è stata in media significativamente più alta (o più bassa) di quella di un ventennio–trentennio nel passato?”, oppure “negli ultimi decenni è cambiata la durata dei periodi in cui non piove, o l’intensità delle piogge estreme e delle ondate di calore, rispetto a quando i nostri nonni erano bambini?», appartengono alla sfera del clima.

Il clima è un sistema complesso e dinamico, con diverse componenti che interagiscono fra loro: atmosfera, oceano, superficie terrestre, neve e ghiacci, biosfera (insieme degli organismi animali e vegetali), il cui principale motore è l’energia del Sole.

Non tutta l’energia solare incidente viene assorbita dalla Terra e utilizzata per mettere in moto la macchina climatica. Una parte, il 30% circa, viene riflessa (questa frazione viene chiamata albedo) dalle superfici chiare come le nevi e i ghiacci e da alcuni tipi di nube. La restante parte viene assorbita dall’atmosfera e soprattutto dalla superficie terrestre e dall’oceano che si scaldano e riemettono a loro volta radiazione infrarossa, ossia calore. Che fine fa questo calore? Alcuni gas presenti in atmosfera, come vapore acqueo, anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido nitroso (N2O) e altri, insieme ad alcuni tipi di nube, ne assorbono una parte e poi la riemettono in tutte le direzioni, anche verso la superficie stessa, con il risultato netto di scaldarla (e contemporaneamente raffreddare gli strati più alti dell’atmosfera). Questo è l’effetto serra naturale e i gas che ne sono responsabili sono i gas a effetto serra. In assenza di questo meccanismo tutto il calore emesso dalla superficie andrebbe perso verso lo spazio, e ciò darebbe luogo a una temperatura del nostro pianeta di -18 °C, 33 °C più bassa di quella media terrestre, pari a 15 °C. Senza l’effetto serra non ci sarebbero state le condizioni favorevoli alla vita sulla Terra, e questo accade da circa tre miliardi di anni. Negli ultimi decenni si è assistito a un’amplificazione dell’effetto serra naturale che ha portato, in pochissimo tempo, a un eccessivo riscaldamento del pianeta e a una serie di ricadute negative. Ma procediamo con ordine…

Perché il clima cambia

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© Donata Cucchi, Marina di Carrara, 2012, «L’anno che se ne va…», dal progetto MariAperti.

I cambiamenti del clima sono determinati da tutti quei processi in grado di modificare il bilancio tra l’energia in arrivo dal Sole e l’energia infrarossa che la Terra riemette, tra cui i cambiamenti nella radiazione solare incidente, nella frazione di radiazione solare riflessa (cioè nell’albedo) e nella radiazione infrarossa emessa dall’atmosfera. I primi avvengono per cause (o forzanti) naturali, come le variazioni nei parametri dell’orbita terrestre intorno al Sole (eccentricità, obliquità e precessione dell’asse) che modificano la quantità totale di energia che arriva sul pianeta o la sua distribuzione geografica o stagionale, o per la dinamica interna della nostra stella (le cui oscillazioni sono descritte dal maggior o minor numero di macchie solari presenti ciclicamente sulla superficie del Sole). I secondi possono derivare tanto da forzanti naturali quanto antropiche e includono modifiche nell’uso del suolo, la fusione dei ghiacci che libera porzioni di terreno o di oceano più scure, o ancora la presenza in atmosfera di particelle (dette aerosol) riflettenti che si formano in seguito alle eruzioni vulcaniche. I terzi, infine, sono dovuti alle variazioni nella concentrazione di gas a effetto serra in atmosfera che possono avvenire in risposta ai cicli biogeochimici naturali ma anche alle azioni umane, come è evidentemente avvenuto negli ultimi decenni.

Le variazioni nei parametri dell’orbita della Terra attorno al Sole sono state la causa di innesco dei periodi glaciali (freddi), intervallati da periodi interglaciali più caldi, che si sono ripetuti ciclicamente negli ultimi tre milioni di anni. Nell’ultimo milione di anni, in particolare, si sono verificate otto glaciazioni, una ogni 100000 anni, corrispondenti al periodo con cui l’eccentricità dell’orbita terrestre attorno al Sole subisce piccole variazioni. Anche le variazioni naturali di anidride carbonica atmosferica hanno avuto un ruolo nelle glaciazioni, e i dati ricavati dalle carote di ghiaccio antartiche hanno mostrato che la concentrazione di CO2 è stata inferiore durante i periodi freddi (circa 180 ppm; ppm = parti per milione) e più elevata nei periodi interglaciali caldi, raggiungendo al massimo le 280 ppm. L’ultima glaciazione è terminata circa 12000 anni fa, e da allora è iniziato il periodo interglaciale che stiamo vivendo oggi e che va sotto il nome di Olocene (dal greco, “del tutto recente”). L’inizio di questa era geologica coincide con lo sviluppo delle prime civiltà umane, che hanno tratto vantaggio dal clima più mite e relativamente stabile. La concentrazione di anidride carbonica nell’Olocene è rimasta sempre inferiore alle 300 ppm, per iniziare poi ad aumentare sistematicamente a partire dalla rivoluzione industriale e raggiungere oggi valori sicuramente senza precedenti nell’ultimo milione di anni.

Il clima nell’Antropocene

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© Donata Cucchi, Dead Vlei Forest, Namib Desert, Namibia, 2009, «L’elemento umano», dal progetto MariAperti.

Benché fin dagli albori della civiltà l’uomo abbia iniziato a modificare l’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze, per esempio disboscando estese regioni al fine di ottenere terreno coltivabile e cominciando ad allevare animali, solo con l’inizio della rivoluzione industriale, anche in risposta all’aumento della popolazione, le sue modifiche sull’ambiente hanno prodotto effetti tangibili, e in alcuni casi irreversibili, sugli ecosistemi, la qualità dell’aria e delle acque, la salute, la biodiversità, i cicli dei nutrienti e il clima. Per questo, nel 2000, il Premio Nobel Paul Crutzen e il biologo Eugene
Stoermer suggerirono che, a partire dalla rivoluzione industriale, la Terra era entrata in una nuova era geologica che proposero di chiamare Antropocene.

Le attività umane sono infatti oggi responsabili dell’emissione di grandi quantità di gas serra come CO2, CH4 e N2O il cui tempo di permanenza nell’atmosfera è abbastanza lungo da permetterne l’accumulo e quindi l’aumento esponenziale della concentrazione rispetto ai valori pre-industriali. I valori di CO2 oggi superano le 410 ppm, e stanno aumentando con un tasso di circa 2 ppm ogni anno. L’aumento della concentrazione di CO2 è dovuto principalmente alla produzione di energia per combustione di fonti fossili (petrolio, gas naturale e carbone) estratte dal sottosuolo dove erano rimaste stoccate per millenni, ai trasporti, agli usi domestici e industriali. La deforestazione ad opera dell’uomo riduce l’assorbimento di CO2 da parte delle piante (pozzi naturali di questo gas) e, quindi, costituisce un’ulteriore causa di accumulo in atmosfera. L’aumento di CH4 è dovuto alle pratiche agricole e di allevamento, all’estrazione e distribuzione del gas naturale e alla gestione dei rifiuti; N2O viene emesso principalmente dai suoli agricoli e in seguito a incendi forestali. 

Il riscaldamento globale

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Figura 2. Schema del meccanismo di retroazione “ghiaccio-albedo”.

L’aumento dei gas serra in atmosfera ha generato l’amplificazione dell’effetto serra naturale, un effetto serra antropico, che ha determinato il surriscaldamento del pianeta. Il riscaldamento antropico è stato ulteriormente aumentato da meccanismi di amplificazione interni al sistema climatico (il clima cambia anche in risposta alla dinamica interna, i sistemi complessi funzionano così!), noti come meccanismi di retroazione positiva. Positiva non perché sia un cosa buona ma perché agisce per amplificare il riscaldamento già generato da una forzante esterna. Ecco un paio di esempi che vale la pena menzionare.

– Un’atmosfera più calda è in grado di contenere più vapore acqueo: a ogni grado centigrado in più di riscaldamento atmosferico, il vapore acqueo aumenta del 7% circa, per una legge della termodinamica nota come legge di Clausius-Clapeyron. Poiché il vapore acqueo è il gas a effetto serra naturale più importante, un aumento nella sua concentrazione determina un’amplificazione del riscaldamento iniziale, che a sua volta fa aumentare ancora di più la concentrazione di vapore acqueo atmosferico e con essa il riscaldamento, e così via.

– Con il riscaldamento globale anche gli oceani si scaldano (negli ultimi 65 anni gli oceani hanno immagazzinato il 93% del calore che si è accumulato nel sistema climatico) e questo limita la loro naturale capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera. Pertanto, se l’oceano inizia ad assorbire meno CO2 a causa del riscaldamento globale, ne rimane di più nell’atmosfera, dove può contribuire a un ulteriore riscaldamento. 

I dati osservativi mostrano inequivocabilmente che dal 1850 a oggi la temperatura è aumentata, in media su tutto il globo, di circa 1°C rispetto ai valori pre-industriali. Questo non significa che ogni anno dal 1850 è stato più caldo di quello che lo ha preceduto (è “normale” che esista una variabilità da un anno all’altro) ma è vero che 18 dei 19 anni più caldi dal 1850 sono quelli che vanno dal 2001 in avanti. L’anno più caldo a livello globale è stato il 2016; in Italia il 2018. Se guardiamo agli effetti che 1°C in più di riscaldamento ha già provocato possiamo facilmente capire che non si tratta di un aumento da poco, come si sarebbe portati a pensare. I ghiacci stanno fondendo: il ghiaccio marino artico in settembre (periodo dell’anno in cui se ne misura il minimo di estensione, cioè dopo l’estate) è diminuito dal 1979 a oggi con un tasso del 12.8% per decennio, rispetto alla media del 1981-2010, mentre le calotte di ghiaccio antartica e groenlandese, dal 2002, hanno perso rispettivamente 127 miliardi di tonnellate di massa all’anno e 286 miliardi di tonnellate di massa all’anno. Anche i ghiacciai montani si stanno ritirando e frammentando, mettendo a rischio la disponibilità di acqua dolce per uso potabile, agricolo, industriale, idroelettrico, e aumentando il rischio che si verifichino conflitti o guerre per l’approvvigionamento idrico. Le rilevazioni satellitari mostrano che il livello dei mari si è innalzato dal 1993 a oggi di circa 90 mm in media su tutto il globo, con una velocità di 3.3 mm ogni anno, per effetto della dilatazione termica delle acque più calde e della fusione dei ghiacci continentali, mettendo a rischio di inondazione intere zone costiere e generando potenziali ondate migratorie. A causa della maggior evaporazione delle acque oceaniche più calde e della maggior disponibilità di energia in atmosfera è aumentata l’intensità degli eventi meteorologici estremi e di precipitazione intensa. Allo stesso tempo, si sono verificati periodi siccitosi più lunghi in alcune parti del globo, aumentando il rischio di desertificazione. Sono aumentate le ondate di calore. È diminuita la biodiversità terrestre e marina e molte specie viventi si sono già estinte (ogni anno sulla Terra perdiamo tra le 11000 e le 58000 specie viventi, soprattutto nelle zone tropicali), ad opera delle attività di una singola altra specie, quella umana. Gli oceani sono diventati più caldi e più acidi. Questi effetti hanno amplificato i rischi per gli ecosistemi e per le società che da essi traggono servizi e benefici, includendo tra gli altri i rischi per la salute umana, l’approvvigionamento idrico, le attività economiche come l’agricoltura, la sicurezza alimentare.

Le ricerche condotte dalla comunità scientifica sui cambiamenti climatici, le loro cause, i loro effetti e impatti sono raccolte in importanti rapporti pubblicati periodicamente dal Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Intergovernmental Panel on Climate change, IPCC) istituito nel 1988 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) e dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP). L’IPCC è composto da scienziati che volontariamente fanno un lavoro di sintesi della vasta letteratura scientifica del settore, al fine di fornire ai governi periodici aggiornamenti sullo stato delle conoscenze riguardo i cambiamenti climatici di origine antropica e il loro impatto. Dall’ultimo rapporto uscito nel 2013-14 emerge che il riscaldamento del clima della Terra è inequivocabile e che le attività umane sono la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del secolo scorso. Il prossimo rapporto, il sesto, verrà pubblicato nel 2020-21.

Uno sguardo alle montagne, sentinelle del clima

Può essere utile, per capire meglio l’entità del riscaldamento globale e i suoi effetti, guardare che cosa sta capitando in specifiche regioni che, per la loro sensibilità al riscaldamento stesso, sono chiari indicatori dello stato di salute dell’intero pianeta. Tra queste ci sono le regioni montane di alta quota. In montagna esiste un delicato equilibrio tra le diverse specie viventi, animali e vegetali, e con l’ambiente in cui esse vivono. Una modifica esterna, come l’innalzamento (rapido) della temperatura e gli effetti che da esso derivano (ad esempio la riduzione della neve al suolo), può seriamente compromettere questo equilibrio e, con esso, il funzionamento dell’ecosistema stesso. A questa caratteristica intrinseca delle montagne si aggiunge il fatto che nelle regioni di alta quota la temperatura è aumentata di più (di circa il doppio) di quanto sia avvenuto a livello medio globale, o di quanto generalmente accada a quote inferiori. Il fenomeno dell’amplificazione del riscaldamento in montagna accomuna tutte le regioni montuose della Terra, dall’Himalaya alle Alpi, dalle Montagne Rocciose alle Ande, al Kilimangiaro, pur con differenze dovute, ad esempio, alla latitudine cui le varie catene montuose si trovano.  Anche in Artico, un’altra regione sentinella del cambiamento climatico, si assiste a un fenomeno simile di amplificazione del riscaldamento, noto come amplificazione artica.

Una delle principali cause dell’amplificato riscaldamento in montagna è il meccanismo di retroazione ghiaccio-albedo. Il riscaldamento globale, di origine antropica, ha determinato una diminuzione dell’estensione delle aree coperte da neve e ghiaccio (superfici riflettenti) per lasciare spazio a suolo più scuro. Ciò ha di conseguenza fatto diminuire l’albedo e aumentare la quantità di radiazione assorbita dalla superficie, amplificandone così il riscaldamento e facilitando ulteriormente la fusione del ghiaccio e della neve per lasciare spazio a nuovo suolo più scuro in grado di assorbire la radiazione solare e scaldarsi. E così via (vedi figura 2). In virtù di questa retroazione, la diminuzione del ghiaccio e della neve è, allo stesso tempo, una conseguenza e una causa dell’amplificazione del riscaldamento in montagna! Questo è già il terzo meccanismo di retroazione che incontriamo in queste pagine, e che ci fa capire nuovamente la complessità di un sistema come il clima in cui sono presenti relazioni causa-effetto circolari.

Le trasformazioni del ghiaccio

Il surriscaldamento montano ha già determinato profonde modifiche in molti aspetti del ciclo dell’acqua, come la diminuzione della copertura nevosa (sia come spessore sia come permanenza); il ritiro e frammentazione dei ghiacciai (dal 1850 a oggi i ghiacciai delle Alpi hanno perso i 2/3 del loro volume); la degradazione del permafrost (il terreno perennemente congelato) che genera problemi di instabilità e cedimenti del terreno aumentando i rischi geo-idrologici e che, liberando in atmosfera il metano intrappolato nel ghiaccio man mano che esso fonde, attiva un altro potente meccanismo di retroazione (eccone un quarto…) essendo il metano un potente gas serra; la diminuzione della precipitazione che cade sotto forma di neve invece che di pioggia; l’aumento dell’intensità della precipitazione ma anche della durata dei periodi con pioggia scarsa o assente, che rendono il terreno secco e favoriscono la propagazione di incendi. Molti di questi fattori hanno come effetto anche quello di alterare la portata stagionale dei torrenti e dei fiumi che, alimentati dalla fusione stagionale dei nevai, portano l’acqua a valle. Se la fusione della neve avviene in anticipo rispetto al “normale”, come sta avvenendo da un po’ di tempo a questa parte, l’acqua rischia di essere già terminata nel momento di maggiore deficit idrico dei fiumi e di maggior fabbisogno a valle, cioè durante l’estate generalmente calda e secca. Il riscaldamento delle alte quote costituisce un alto rischio non solo per gli ecosistemi montani ma anche – forse soprattutto – per chi vive lontano dalle montagne stesse. Ciò che accade in montagna non resta confinato in montagna!

Il clima che ci aspetta

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© Donata Cucchi, Namib Desert, Namibia, 2009, «Through the Desert», dal progetto MariAperti.

La conoscenza del clima presente e del recente passato si fonda su osservazioni strumentali di vario tipo, mentre quella del paleoclima si basa sui dati indiretti ricavati da sedimenti marini e lacustri, carote di ghiaccio, pollini, anelli degli alberi e altri dati proxy (dati per procura). La conoscenza del clima futuro si basa principalmente sulle proiezioni fornite dai modelli climatici, rappresentazioni numeriche del sistema climatico, delle sue componenti e delle loro interazioni, delle equazioni che regolano il moto dei fluidi atmosferico e oceanico, delle leggi della biologia e della termodinamica, della variabilità interna del clima (di cui i meccanismi di retroazione sono un esempio) e di quella forzata da cause esterne, naturali o antropiche. In particolare, le proiezioni future richiedono lo sviluppo di scenari che descrivano la possibile evoluzione delle forzanti antropiche, prime fra tutte le emissioni di gas serra e l’uso del suolo, sulla base, tra altri fattori, delle possibili scelte economiche, energetiche e tecnologiche della società e della crescita demografica prevista. 

Esperti di varie discipline hanno quindi elaborato un ventaglio di questi possibili scenari, che vanno da quelli con una drastica riduzione futura delle emissioni a quelli di stabilizzazione delle emissioni fino a quelli di tipo business-as-usual, in cui le emissioni continueranno ad aumentare senza arrivare a una stabilizzazione alla fine di questo secolo. “Dati in pasto” ai modelli climatici insieme alle altre forzanti, gli scenari danno luogo a un ventaglio di possibili proiezioni future per il clima della Terra, a livello sia globale sia regionale, di cui nel seguito citiamo le più significative. Il mondo potrà scaldarsi in media da poco più di 1 °C (in uno scenario di stabilizzazione delle emissioni) a circa 5 °C (scenario ad alte emissioni) entro il 2100. 5 °C in media in più sulla Terra significherebbe un aumento di circa 11°C in alcune regioni più sensibili, come l’Artico, ovvero la scomparsa totale di ghiaccio marino dopo la stagione estiva a quelle latitudini. A causa della fusione del ghiaccio continentale e della dilatazione termica delle acque oceaniche più calde, il livello dei mari potrà innalzarsi da circa 30 cm a 80 cm alla fine del secolo. Anche in questo caso, si tratta di aumenti medi su tutto il globo, che possono tradursi in impatti significativi a livello regionale, come il rischio di inondazioni per diverse aree costiere e isole. Gli estremi climatici potranno intensificarsi e gli eventi di precipitazione saranno più rari ma più intensi e, a seconda della vulnerabilità del territorio, potenzialmente più distruttivi. Le ondate di calore potranno intensificarsi e diventare più frequenti. I rischi per la salute, la sicurezza del territorio, la disponibilità di acqua, l’agricoltura potranno aumentare soprattutto in regioni e per gruppi di popolazione particolarmente vulnerabili e sensibili.

Come affrontare il problema: accordi, mitigazione, adattamento…

Per più di 20 anni dopo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC, un trattato internazionale derivante dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, avvenuta a Rio de Janeiro nel 1992), i governi mondiali hanno cercato di trovare, anno dopo anno, un accordo volto a limitare gli effetti del riscaldamento globale. Il 12 dicembre 2015, nell’ambito della XXI Sessione della UNFCCC (la famosa COP21), 196 Paesi responsabili del 95% delle emissioni di gas serra hanno approvato l’“Accordo di Parigi”, un documento che ha gettato le basi per un coordinamento delle politiche internazionali contro il riscaldamento globale. Tra gli obiettivi principali dell’Accordo di Parigi si legge quello di mantenere, entro la fine del 2100, «l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire azioni volte a limitare l’aumento di temperatura a
1.5 °C, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici». 

Fra le iniziative per l’applicazione dell’Accordo di Parigi, nel 2016 l’UNFCCC ha commissionato a IPCC la stesura di un rapporto speciale, pubblicato poi l’8 ottobre 2018 con il titolo Riscaldamento globale di 1,5 °C. Questo rapporto mostra che i rischi per la società e per gli ecosistemi con un riscaldamento globale di +1,5 °C a fine secolo rispetto ai livelli pre-industriali sarebbero molto inferiori rispetto a quelli che si avrebbero con un aumento di 2 °C. Solo per citare qualche esempio, l’innalzamento del livello del mare su scala globale potrebbe essere più basso di 10 cm, il Mar Glaciale Artico in estate potrebbe restare senza ghiaccio in media una volta ogni secolo, anziché una volta ogni 10 anni, le barriere coralline si ridurrebbero “solo” del 70-90%, anziché scomparire del tutto. In definitiva, i rischi per la salute, la sicurezza alimentare e i rifornimenti idrici sarebbero inferiori e persone ed ecosistemi avrebbero una maggiore capacità di adattamento. 

Come riuscire a limitare, nella pratica, il surriscaldamento sotto la soglia dei 2 °C, o meglio di
1.5 °C? Riducendo le emissioni antropiche di gas serra entro metà secolo e portandole poi a zero, aumentando l’efficienza energetica, sostituendo i combustibili fossili con fonti energetiche rinnovabili, puntando all’economia circolare, impegnandosi per ridurre gli sprechi, riciclare e promuovere una mobilità sostenibile. Si tratta di azioni di mitigazione, una parte delle quali riguardano anche la sfera individuale del nostro vivere quotidiano. Accanto alla mitigazione occorre anche intraprendere misure di adattamento, necessarie per contrastare gli effetti del cambiamento climatico già in atto o inevitabili nel prossimo futuro. Ad esempio, costruire barriere contro le inondazioni, sviluppare colture resistenti alle siccità o alle precipitazioni intense, adeguare le norme edilizie per far fronte a diverse condizioni climatiche, adottare un regime dietetico che possa limitare i consumi idrici, e tante altre. Mitigazione e adattamento sono azioni complementari nella lotta al cambiamento climatico.

… e cultura

La questione del cambiamento climatico richiede anche, e forse soprattutto, una rivoluzione culturale che riguarda il nostro modo di percepire questo problema, le cause che lo hanno generato, la nostra consapevolezza degli effetti in atto e attesi, il ruolo che ognuno di noi può avere per contrastarlo. La scuola è un attore principale per attuare questa rivoluzione. E può esserlo in almeno due modi, a mio avviso.

Il primo è quello di portare in aula il tema del cambiamento climatico, dalle sue basi scientifiche alle cause e conseguenze, fino alle azioni per contrastarlo. Si tratta di un sapere multidisciplinare che può trovare certamente spazio in molte delle materie che già vengono insegnate. Penso ad esempio allo studio dei climi e delle fasce climatiche terrestri che normalmente si affronta a scuola e che potrebbe essere arricchito da elementi come il ruolo dell’effetto serra nel determinare il clima sulla Terra (e la differenza tra effetto serra naturale e antropico), e con esso tanti altri.

Segnalo un’esperienza molto interessante da cui prendere spunto, quella dello «Science Journal for Kids», con cui in passato mi è capitato di collaborare. È una rivista scientifica per bambini, disponibile online, fondata da un’insegnante di scienze delle scuole superiori, in Texas, che raccoglie i risultati delle ricerche scientifiche cutting-edge, ossia all’avanguardia, che gli scienziati pubblicano normalmente su riviste specializzate e di settore ma “tradotti” in un linguaggio accessibile agli studenti di scuola e ai loro insegnanti. Questi articoli scientifici vengono cioè presi e riscritti in un linguaggio adatto all’età dei ragazzi cui sono indirizzati, accompagnati da domande di valutazione, approfondimenti, eventuali esperienze laboratoriali connesse, quiz online ecc., sempre sotto la supervisione degli autori originari delle ricerche. Vi si trovano anche articoli sul clima e gli effetti del riscaldamento, tra cui la traduzione di un mio lavoro sull’amplificazione del riscaldamento nelle montagne dell’Himalaya. Il Progetto Scuola dell’associazione “Italian Climate Network” che opera in Italia si rivolge alle scuole secondarie di primo e secondo grado, proponendo una serie di lezioni sui cambiamenti climatici e le loro connessioni con i temi dello sviluppo sostenibile, dell’economia, delle relazioni internazionali, della salute, dei diritti umani, dell’energia e altri ancora. Si tratta solo di alcuni esempi, certamente non esaustivi.

Del secondo modo in cui la scuola può essere protagonista nella comprensione e comunicazione del cambiamento climatico stiamo avendo un esempio lampante proprio di questi tempi. È la risposta che gli studenti in tutto il mondo, e anche in Italia, hanno dato all’appello lanciato dalla sedicenne svedese Greta Thunberg, che ha originato un vero e proprio movimento di dimensioni globali di studenti che lottano per il contrastare il cambiamento climatico e soprattutto per incitare i governi all’azione, esploso durante la giornata di sciopero globale per il clima del 15 marzo scorso.

Il cambiamento climatico è già in atto e la scienza continua a fornircene prove inconfutabili, che trovano riscontro nei segni di trasformazione intorno a noi. I giovani, tuttavia, sono coloro che più di tutti risentiranno dell’impatto dei cambiamenti climatici, e sono anche quelli che più potranno fare per contrastarli. Penso che noi adulti, noi insegnanti, noi genitori dobbiamo ringraziare gli studenti per questa mobilitazione globale di cui si sono resi protagonisti e sostenerli come meglio possiamo, aggiungendo la nostra voce alla loro per far sì che chi deve prendere decisioni importanti lo faccia, e nel modo giusto.


Approfondire

I rapporti deIl’IPCC, in particolare il 5° Assessment Report (o AR5, in tutti i suoi volumi, inclusa la sintesi per i decisori politici e le FAQ che si prestano bene a una lettura scolastica) e il Rapporto Global Warming of 1.5 °C, sono scaricabili qui: https://www.ipcc.ch/. Da segnalare l’utilissimo “Summary for teachers” legato al Rapporto Global Warming of 1.5 °C, un ottimo strumento per studenti e insegnanti: https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2018/12/ST1.5_OCE_LR.pdf.

Il sito della NASA (https://climate.nasa.gov/), dove si trovano grafici, numeri, informazioni e molto materiale interattivo e video sul cambiamento climatico in corso. La NASA ha prodotto anche brevi ed efficaci video sui cambiamenti osservati nelle diverse componenti del sistema climatico a causa del riscaldamento globale, sulle cause e sugli impatti, molto adatti anche agli studenti, scaricabili qui: https://climate.nasa.gov/climate_resource_center/earthminute.

Il sito di Italian Climate Network (http://www.italiaclima.org/) con le informazioni sul Progetto Scuola e il pacchetto di lezioni sul cambiamento climatico.

Il sito dello «Science Journal for Kids» https://www.sciencejournalforkids.org/.

Infine, due blog italiani su clima, cambiamenti climatici e impatto antropico: “Climalteranti” (https://www.climalteranti.it/) e “Kyoto fisso” http://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/.

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Elisa Palazzi

È ricercatrice presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche e professoressa associata presso l’Università degli Studi di Torino. La sua ricerca è incentrata sullo studio dei cambiamenti climatici nelle regioni di montagna, come le Alpi o le regioni Himalayane, con particolare attenzione ai cambiamenti osservati e attesi nel ciclo idrologico montano e agli impatti del riscaldamento sulle risorse idriche.

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