È una definizione davvero interessante, per due solidi motivi.
In primo luogo perché descrive il libro in termini soprattutto materiali, ovvero – udite! udite! – come tecnologia, prima ancora che come manufatto a destinazione culturale. In secondo luogo perché continua ad assegnargli il primato tra gli oggetti destinati alla conoscenza e all’apprendimento, con buona pace di coloro che sostengono che proprio l’enciclopedia libera abbia ormai messo in crisi e reso obsoleti i modelli tradizionali per la formazione e le attività scolastiche.
Con buona probabilità, però, la definizione astratta di Wikipedia – storicamente indiscutibile, anche se tace un aspetto fondamentale del “libro” concreto, il suo essere merce, prodotto a scopo di profitto dell’industria editoriale – è ormai insufficiente a restituire con pienezza le connotazioni che esso può assumere nell’immaginario collettivo dei giorni nostri, modificato ed esteso dall’esplosione dell’implementazione digitale del sapere.
Mi riferisco in primis alle “versioni 1:1” del libro-merce: se inseriamo su Google la parola “libri” come chiave di ricerca, tra le prime risposte del motore si collocano i sistemi di distribuzione commerciale degli ebook, i luoghi virtuali per la vendita delle traduzioni in formato elettronico del volume rilegato. Convertito in un file protetto da riproduzioni abusive, il libro digitale è destinato alla lettura su dispositivi appositi (gli ebook reader), ma anche su personal computer, tablet, smartphone e così via: cambia il supporto di lettura e spesso anche il prezzo di vendita è ridotto rispetto a quello del prodotto cartaceo, ma nella sostanza le condizioni di fruizione delle due fattispecie sono molto simili. Così come sono simili le possibilità di contraffazione della merce: se nel caso della stampa vi è infatti l’insidia delle fotocopie, nell’universo digitale il pericolo deriva dall’esistenza di software destinati a eliminare le difese che l’industria editoriale cerca di mettere in atto contro una distribuzione di cosiddette copie “pirata” delle proprie realizzazioni, che hanno anche la prerogativa di riprodurre l’originale senza alcuna perdita di qualità e di funzionalità. Va detto infine che non è concepita l’idea del prestito di libri di questo tipo tra singole persone, ma cominciano a intravvedersi le prima soluzioni adottate da pubbliche biblioteche.
Il libro digitale è però anche altro: Liberliber.it è l’esempio più noto e duraturo di distribuzione trasparente e legale di opere letterarie e di saggi svincolati dai diritti d’autore, o perché è passato il tempo necessario dalla morte dell’autore o perché fin dall’inizio il prodotto culturale è stato concepito con questo scopo. I formati e le modalità di implementazione sono spesso gli stessi dell’industria editoriale digitale. A mancare sono i sistemi di protezione. Chiunque può liberamente riprodurre e ridistribuire ad altri ciò che ha scaricato e così via, in una sorta di catena virtuosa del dono. I libri – insomma- in questo caso non sono (più) una merce. Non è un caso per altro che il sito – che richiede donazioni volontarie, ma non condiziona il proprio utilizzo a questo atto – raccolga anche Audiolibri, Musica e Video caratterizzati dall’impiego di licenze d’uso aperte. I siti analoghi a Liberliber sono numerosi e di vario genere: basterà citare a titolo di esempio Internet Archive, su cui ciascuno di noi può anche depositare propri eventuali prodotti culturali, mettendoli a disposizione di qualsiasi altro utente, e Project Gutenberg.
Qualcosa di ulteriormente diverso ci offre Forgotten Books, che comprende anche una sezione dedicata ai libri in lingua italiana, ricca di autentiche curiosità: mentre scrivo il sito dispone di 484.473 esemplari, che possiamo leggere online o scaricare in vari formati. I titoli presenti sono indicizzati secondo diverse categorie ed è possibile effettuare diversi tipi di ricerca. Iscrivendosi all’apposito servizio, infine, è possibile ricevere la segnalazione del libro dimenticato del giorno sulla propria casella di posta elettronica.