Greci e Romani davanti alla natura

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Ho visitato appena dopo la sua apertura estiva la mostra Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei, allestita fino a gennaio a Palazzo Reale di Milano: eppure solo ora mi accingo a scriverne per La ricerca.

Tale ritardo deriva da una certa difficoltà a dare alla mia recensione il “taglio” più corretto, perché – da antichista – volevo fare un’analisi accurata e approfondita degli oggetti esposti e della ratio che ha portato le curatrici (Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo) alla loro selezione e distribuzione. Mi sono però reso conto che ne sarebbe derivato un articolo troppo lungo, probabilmente noioso, che forse avrebbe tolto ai lettori la voglia di andare a visitare questa bellissima mostra.
Mostra che sarebbe davvero un peccato perdere, e che rappresenta uno dei fiori all’occhiello della proposta culturale di Milano durante l’EXPO.

La struttura dell’esposizione
Rimando dunque al ricco sito web dell’esposizione (e soprattutto al bel catalogo Electa) per le notazioni più didascaliche, e provo invece a trasformarmi (con una sorta di regressione di verghiana memoria) in uno spettatore ammaliato dalle bellezze degli oggetti esposti, alcuni dei quali davvero eccezionali: vi troviamo infatti vasi dipinti, terrecotte votive, statue, affreschi e oggetti di lusso di vario tipo e di varia provenienza, ordinati cronologicamente (dal VIII sec. a.C. al II sec. d.C.: dunque dall’età greca arcaica alla piena epoca romana imperiale) ma anche raggruppati per temi all’interno di sei sezioni (Lo spazio della natura; La natura come segno e metafora; La natura coltivata dono degli dei; Il giardino incantato; Dalla natura al paesaggio; Il verde reale e il verde dipinto; Nature morte e nature vive di Pompei).
Sì, perché – allora come oggi – la natura può essere selvaggia e pericolosa come un mare in tempesta, può incarnarsi in un verde paesaggio dai toni consolatori, oppure presentare i segni dell’uomo (navigatore, pescatore, agricoltore, pastore…) e della sua cultura sull’ambiente.

Qualche oggetto di particolare interesse
Ma torno alla promessa appena fatta: pochi discorsi di ordine generale e molto spazio alla menzione degli oggetti che mi hanno più impressionato ed emozionato. E lo farò raggruppando alcuni di essi in base ad un contesto tematico del tutto… personale, e – come tale – assolutamente insindacabile!
Ad esempio, il rapporto dell’uomo col mare è documentato sia da un inquietante vaso arcaico da Ischia (725-700 a.C.) che raffigura un naufragio, sia da un raffinato piatto da pesce da Ruvo di Puglia (330-310 a.C.), sia dalla fantastica decorazione ad affresco della cosiddetta “Tomba del tuffatore” da Paestum (480-470 a.C.), il cui “mare” simboleggia la vita ultraterrena nella quale il defunto si sta plasticamente tuffando.

  • xVaso del naufragio (da Ischia)
  • xPiatto da pesce (da Ruvo di Puglia)
  • xTomba del tuffatore (da Paestum)
  • xVaso blu (da Pompei)
  • xCorona d’oro (da Taranto)
  • xAffresco da Casa del Bracciale d’oro (da Pompei)
  • xQuadri di nature morte (da Pompei)

Per quanto concerne i “frutti” della terra coltivata, come vite, ulivo, grano, essi compaiono in numerosi vasi greci di varia provenienza, anche se nulla eguaglia – a mio parere – la suggestione della piccole lastre votive fittili (pinakes) da Locri (460 a.C. ca.), relative al culto di Persefone, la giovane dea della vegetazione figlia di Demetra, protettrice del grano e delle messi.
Esse stanno di solito a Reggio Calabria, a fare compagnia ai Bronzi di Riace, e a Milano ne sono ora esposte due, una che rappresenta Persefone in trono col marito Ade e Dioniso con un grappolo, l’altra Dioniso con ramo di vite e galletto: da esse risulta chiaramente il ruolo primario che vite e vino – a livello sia alimentare sia simbolico e rituale – hanno avuto nelle cultura antica.
Riluce poi in modo assai vistoso l’oro di corone vegetali onorarie e funerarie (IV-II secolo a.C.) giunte dalla Macedonia e dalla Magna Grecia: in esse le diverse specie botaniche (quercia, alloro, mirto, edera) assumono di volta in volta significato eroico, religioso e funerario. Consiglio a tutti di osservarle con cura, perché non è facile vederne così tante e di tale straordinaria qualità in una volta sola.
Speciale è il contributo dato alla mostra dai reperti dell’area pompeiana ed ercolanese, che – come ognuno sa – rappresenta un privilegiato esempio di conservazione dell’arte romana. Paesaggi e giardini compaiono infatti come decorazioni sui muri di eleganti domus, e a Palazzo Reale è stata miracolosamente trasferita la vegetazione meravigliosa (nel senso letterale del termine: suscita meraviglia) della cosiddetta “Casa del bracciale d’oro”; né mancano – e in mostra ce ne sono parecchie – suggestive “nature morte” pompeiane con soggetti animali o vegetali.
Il pezzo più stupefacente tra tutti quelli di questa provenienza è però un vaso in vetro-cameo, di età claudia, con scene di amorini vendemmianti in bianco su fondo blu: è di solito conservato al Museo Archeologico di Napoli, ed è universalmente noto (ça va sans dire) come il “Vaso blu”.

Un modesto giardiniere dall’antica Como
Credo, a questo punto, di avere dato un quadro abbastanza vario di quanto si può osservare in questa esposizione. Mi piace però concludere menzionando una delle mie amate iscrizioni latine, e cioè la stele da Como (CIL V, 5316) che menziona il topiarius (cioè il “giardiniere”) Fortunatus, cui approntarono il sepolcro la moglie Valeria e un tale Tertius che si professa discens, il quale era forse l’“apprendista” del defunto.
Oggetto modesto se comparato alle bellezze di cui ho parlato prima, eppure capace di evocare un aspetto quotidiano e realistico della natura (sede di un qualificato lavoro come quello del giardiniere) del quale altri documenti più sontuosi non possono o non vogliono parlarci.

Il ricco Fuori Mostra: tra natura e cultura
Chi vorrà poi saperne di più sul nostro giardiniere d’antan potrà farlo partecipando il 24 novembre, a Palazzo Reale, alla conferenza a lui dedicata dall’epigrafista Antonio Sartori in una delle tante attività del cosiddetto Fuori Mostra, organizzato dall’Università degli Studi di Milano e il cui programma è reperibile online.
E quest’idea – cioè quella di approfondire con interventi qualificati alcuni aspetti suggeriti dal materiale esposto – è davvero importante, perché evita alla mostra il rischio di essere percepita come evento “effimero”, per inserirla invece in un più ampio progetto culturale.
Culturale, cultura… ma quante volte ho già usato tali termini in questo articolo? Mai abbastanza, perché è quando le barriere tra “natura” e “cultura” si affievoliscono e queste due realtà si mescolano e confondono che l’uomo realizza appieno la sua humanitas. E ciò vale per un greco, per un romano o – provare per credere… – per un contemporaneo che sappia immergersi nell’atmosfera particolare di questo grande evento milanese.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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