Ci sono molte perle nel libro di Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Vorrei riprenderne qui un paio che riguardano il ruolo dell’insegnante e il suo rapporto con le figure genitoriali. Ecco un passaggio in cui molti docenti si ritroveranno: “Nel nostro tempo l’insegnante è sempre più solo. Questa solitudine non riflette solo la sua condizione di precariato sociale, ma, come abbiamo visto, anche la rottura di un patto generazionale coi genitori” (p. 63).
Nella parte finale l’autore fa riferimento alla discussione svolta qualche pagina prima. Egli infatti spiegava: “I genitori si alleano con i figli e lasciano gli insegnanti nella più totale solitudine, a rappresentare quel che resta della differenza generazionale e del compito educativo, a supplire alla funzione latitante del genitore, cioè a fare il genitore degli allievi” (p. 25). I genitori, anziché spronare i figli a maturare e ad affrontare le difficoltà della vita, si prodigano a spianare loro la strada, cercano di eliminare le difficoltà che questi incontrano, proteggendoli sempre e comunque. Se l’insegnante sembra essere un ostacolo, perché il suo giudizio sul loro figlio non rispecchia quello che hanno o vorrebbero avere, non esitano ad andare contro di lui, e quando non giungono a delegittimarne l’operato, si prodigano almeno per “metterlo in riga”.
Inutile dire che non tutti i genitori fanno da chioccia fino a che il figlio ha vent’anni, o che vi sono effettivamente insegnanti che andrebbero “messi in riga”.
Il punto è che Recalcati conosce bene il nostro tempo e lo descrive con tutta la capacità espressiva di uno psicanalista.
Che poi nella pratica educativa ci possano essere idee differenti, mi pare pacifico; che nelle diverse sensibilità e nei diversi punti di vista ci possano essere distanze anche molto significative è nella natura delle cose. Qui, in discussione, non è però il darsi di un confronto dialettico tra soggetti maturi che cooperano da posizioni diverse, ma la triste e malinconica scena di un conflitto, talvolta duro, tra solitudini: quella degli insegnanti e quella dei genitori.
Dei primi si è già detto; quanto a questi ultimi, osserva acutamente Recalcati, essi sono affetti da un narcisistico rispecchiarsi nei figli, estensione di sé.
Che non sia facile uscirne è un fatto. Che sia necessario almeno mettere a tema la cosa mi pare poi importante. Quel che invece preoccupa è che il governo, come pare, avvalli una legge che crea un meccanismo istituzionale in cui il genitore, con competenze disciplinari e didattiche tutte da scoprire, si erga a giudice dell’insegnante, assumendo un ruolo che non gli compete (se non perché – speriamo di no – la legge glielo concederà). Si profila così all’orizzonte una scena che, ai toni tristi e difficili delineati sopra, aggiunge una sfumatura tragica. Non ci resta che sperare che Narciso non si tuffi nell’acqua, per il bene di tutti.