Sebbene Frida Kahlo e Diego Rivera siano entrambi noti per la loro storia d’amore turbolenta e per la loro eredità artistica, Kahlo è diventata anche un’icona globale: il suo viso è riprodotto su confezioni regalo, abbigliamento, cupcakes, portachiavi, calamite, piastrelle e infiniti altri oggetti, disponibili online, nei negozi per turisti, nei musei, nelle boutique di design o di abbigliamento etnico. Recentemente, poi, la pittrice è diventata anche una fonte di ispirazione inesauribile per il mondo della moda, che si rifà al suo stile per lanciare vere e proprie tendenze – l’ultima delle quali, popolarissima fra le adolescenti di tutto il mondo, quella di ingrandirsi con il trucco le sopracciglia.
Il culto di Frida Kahlo (chiamato anche “Fridamania,” “Fridolatria,” e “Kahloismo”) non ha subìto battute di arresto sin dalla riscoperta di Frida come artista, un fenomeno culturale che alcuni fanno risalire alla mostra del 1982 di Kahlo e della fotografa italiana Tina Modotti alla Whitechapel Art Gallery di Londra, altri alla pubblicazione della biografia di Hayden Herrera intitolata Frida. Il libro di Herrera, in particolare, l’ha catapultata nella cultura popolare di massa, anche grazie alla sponsorizzazione da parte di Madonna – ammiratrice e collezionista della pittrice – e all’inserimento di un brano, letto da Melanie Griffith, nel film Something Wild (Qualcosa di travolgente) del 1986. Prima di questa riscoperta, Frida era conosciuta in Messico e nel resto del mondo come la moglie di Rivera, tanto che in occasione della sua morte il New York Times del 1954 recitava: “È morta Frida Kahlo, artista, moglie di Diego Rivera”.
Oggi Frida è un’immagine globale, alla pari di Elvis o di Marilyn Monroe. Lis Pankl e Kevin Blake, due studiosi della Kansas State University, hanno recentemente esaminano la molteplicità e la complessità della storiografia prodotta su Frida, focalizzandosi in particolare sul ruolo giocato in questo processo dalla cultura materiale: non solo questa ha reso la sua immagine popolare a livello internazionale, ma Frida stessa, quando era ancora in vita, ha attinto da essa (soprattutto quella messicana) per costruire la propria identità di donna e di pittrice.
- Frida Kahlo, Autoritratto dedicato al Dottor Eloesser, 1940
- Frida Kahlo e Diego Rivera fotografati da Tina Modotti, 1929
- Frida Kahlo e Diego Rivera
- Frida Kahlo, «Ricordo o il cuore», 1937
- Frida Kahlo, «Le due Frida»
- Agnese Cabano, Riproduzione in 3-D del dipinto “Le due Frida” di Frida Kahlo. I supporti sono in legno e tela e dipinti con colori ad olio. Il soggetto è realizzato con barbie le cui teste, vintage anni ’60, sono state ritoccate nel trucco e nell’acconciatura. Abiti eseguiti a mano.
- Frida Kahlo e Tina Modotti
- Frida Kahlo ritratta da Gisele Freund tra il 1950 e 1952
Aderendo al nazionalismo del suo Paese, Frida ha fatto di tutto per diventare un’icona di “messicanità”, e un ruolo centrale in questo processo di costruzione identitaria è stato svolto dalla moda. Come tutti sanno Frida era solita indossare abiti locali messicani, che preferiva a quelli di foggia europea. Perfino per il suo matrimonio, nel 1929, indossò la camicetta e la gonna di una cameriera di famiglia piuttosto che il più tradizionale abito da sposa bianco. Non solo optò per questa moda nuziale inconsueta, ma decise di fissarla per sempre in un dipinto eseguito tre anni dopo, “Frida e Diego Rivera”. Nell’identità messicana che Frida costruì giorno dopo giorno, centrale era la rivalutazione del passato indigeno e delle tradizioni folkloriche pre-colombiane, che la pittrice letteralmente indossò e dipinse durante tutta la vita: sono ormai celebri il copricapo floreale, il huipil (una blusa dalle forme squadrate) e la lunga gonna, abiti che da una parte la aiutavano a nascondere la disabilità di cui soffriva (per via della poliomielite e poi di un gravissimo incidente), dall’altra erano un omaggio “femminista” alle radici della società matriarcale messicana. Non si trattava infatti di abiti messicani qualunque, ma di quelli delle società matriarcali Tehuantepec, che riproponevano dunque l’immagine di una donna forte ed energica. Oltre che essere una dichiarazione di personalità, gli abiti erano per la Kahlo strumenti di espressione politica.
Ma i vestiti di Frida non erano solo messicani. La pittrice sceglieva tessuti esotici provenienti dalla Cina, pizzi europei e coloratissimi filati messicani che poi il sarto assemblava per appagare e dare forma alla sua visione originale e personale. Portava inoltre corsetti ortopedici, occhiali da sole e costosi profumi europei, ed era solita dipingersi di rosso le unghie. Un eclettismo che testimonia il clima di apertura internazionale e di effervescenza culturale che si respirava nella sua Città del Messico.
Quando, nel 1954, morì per un’embolia polmonare, Frida lasciò moltissimi oggetti personali: i gioielli precolombiani regalateli dal marito, abiti, scialli colorati, scarpe, gonne, sottogonne, corsetti. Diego Rivera li chiuse in bauli ammassati nella stanza da bagno della loro casa a Città del Messico, la cosiddetta “Casa Blu”, oggi il Museo Frida Kahlo, chiedendo che rimanessero sigillati per quindici anni. Nel 2004 i bauli furono riaperti, e i 300 reperti inediti catalogati dal Museo ed esposti.
Il processo attivo di costruzione della propria identità non si è limitato all’uso della moda e della cultura materiale. Frida si è spinta a rivedere la sua stessa biografia, ad esempio modificando la sua vera data di nascita (il 1907) per farla coincidere con quella della rivoluzione messicana (il 1910). O ancora sostenendo che suo padre fosse ebreo, cosa smentita da un libro del 2005 su Guillermo Kahlo (Schirmer/Mosel Verlag, Monaco 2005), in realtà discendente da una famiglia di tedeschi luterani. Un’origine ebraica era però più funzionale a una rappresentazione di sé fondata sull’impegno politico comunista e anti nazista.
La vita di Frida Kahlo e la sua opera sono, in definitiva, un esempio di come una persona possa non solo rappresentare con la sua immagine la cultura materiale, ma a sua volta produrre cultura materiale, in un intreccio che, nel caso della grande artista messicana, ha prodotto una “fridolatria” che non sembra esaurirsi.
Per approfondire: Lis Pankl and Kevin Blake, Made in Her Image: Frida Kahlo as Material Culture, Material Culture , Vol. 44, No. 2, Special Issue: Art as Material Culture (Fall 2012), pp. 1-20.