Freya Stark, la prima “travel writer”

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Viaggiatrice e scrittrice, esperta fotografa e arabista, Freya Stark è una delle massime esponenti della stirpe degli esploratori inglesi, paragonabile forse solo al mitico Lawrence d’Arabia. Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso Stark ha percorso con ogni mezzo di locomozione possibile le regioni più remote del Medio Oriente, e ha continuato a viaggiare fino in tarda età, prima di fermarsi e poi riposare per sempre nella sua amata Asolo.

È il suo nono compleanno e la piccola Freya ha appena ricevuto in regalo da una zia molto fantasiosa una copia di Le mille e una notte. La festeggiata ancora non lo sa, ma quel libro lascerà un’impronta indelebile su di lei. Molti anni – e molti viaggi – dopo, Stark dirà che era stata proprio quella lettura a far nascere dentro di lei la potente fascinazione per l’Oriente: una passione che l’accompagnerà per tutta la sua lunga vita, dandole fama e facendole ottenere persino la nomina a Dama dell’Ordine dell’Impero Britannico.

Ma facciamo un passo indietro, e torniamo alla Freya bambina, che era nata il 31 gennaio 1893 a Parigi dove i genitori si erano trasferiti per studiare arte. Nella sua prima infanzia purtroppo era spesso malata e quindi confinata in casa, cosa che la portava a rifugiarsi nella lettura per passare il tempo. Pur essendo di famiglia inglese, amava molto la letteratura francese e in particolare le opere di Alexandre Dumas, e pare che avesse imparato anche il latino da autodidatta.

I suoi genitori si separano presto e Freya, assieme alla sorella minore Vera, segue la madre in Italia dove vive anche la nonna materna. Appena tredicenne, però, rimane vittima di un terribile incidente durante la visita a una fabbrica di tappeti: la sua lunga chioma rimane impigliata in un macchinario, strappandole parte del cuoio capelluto e l’orecchio destro. Nonostante le gravi ferite, Freya riesce a guarire ma solo dopo aver passato vari mesi in ospedale, dove viene sottoposta anche a degli innesti di pelle senza anestesia. Siamo nei primissimi anni del Novecento e le pratiche chirurgiche non sono molto raffinate; infatti, questo incidente le lascerà delle cicatrici molto evidenti e per coprirle Freya indosserà per il resto della sua vita cappelli, berretti o turbanti, spesso anche dai colori sgargianti.

 

Ritratto di Freya Stark del pittore britannico Herbert Arnould Olivier, 1923 (Wikipedia).

 

 

Durante la Prima guerra mondiale, Freya Stark presta servizio come infermiera volontaria nella Prima sezione ambulanze della Croce Rossa Britannica sul fronte italiano, che ha sede nella settecentesca Villa Trento a Dolegnano (in provincia di Udine). Nel suo diario, incluso nell’autobiografia del 1950 Traveller’s Prelude, la giovane Freya annota molti dettagli sulla vita e sul lavoro a Villa Trento, particolarmente interessanti sono i passaggi dedicati al suo abbandono in seguito alla rotta di Caporetto, a cui anche lei prese parte. Una curiosa coincidenza fa sì che proprio a questo luogo si ispirò anche Ernest Hemingway nella stesura del suo romanzo sulla Grande Guerra Addio alle armi.

Dopo la fine del conflitto, Stark decide di studiare lingue all’università di Londra, dove pare che un suo professore le avrebbe suggerito l’islandese, ma lei opta invece per l’arabo e successivamente per il persiano. Questa scelta le sarà di grande aiuto quando, nel novembre 1927, si imbarca su una nave che da Trieste la porta a Beirut, per quello che sarà solo il primo dei tanti suoi viaggi in Medio Oriente.

La prima tappa di Stark in Libano è il piccolo villaggio di Brummana, dove perfeziona la sua conoscenza della lingua araba, e poi si sposta a Baghdad (l’Iraq allora era un protettorato britannico) passando per la Siria. Durante questo primo viaggio a dorso d’asino racconta di essersi spostata spesso in incognito, di notte e prendendo stradine di campagna, accompagnata da una guida drusa e da un’altra viaggiatrice inglese. Tali accortezze erano necessarie poiché Libano e Siria si trovavano sotto il controllo francese e i viaggi all’interno della regione non erano permessi. Tuttavia, Freya e compagni vengono intercettati dall’esercito francese e le due donne sono fatte prigioniere in quanto ritenute delle spie, ma per fortuna nel giro di tre giorni il malinteso si chiarisce e vengono rilasciate.

Va sottolineato che a quell’epoca era davvero un’impresa non banale per una donna viaggiare da sola, ma Stark dimostra fin da subito di avere un carattere indomito che, assieme a una sottile ironia e a un’istintiva aspirazione alla libertà, la porteranno a superare i confini delle convenzioni sociali. Esemplare, per capire il suo approccio al viaggio, è questa frase tratta da uno dei suoi tanti libri: «se a qualcuno fosse data un’unica finestra da cui guardare il mutevole mondo orientale, dovrebbe affacciarsi, credo, sulla strada» (Effendi, trad. di M. Biondi, Guanda, Parma 2004).

Negli anni successivi, Freya è sempre in movimento e completa tre avventurosi viaggi in Persia, ovvero l’odierno Iran, esplorandone anche delle zone che nessun occidentale aveva ancora mai visitato. In particolare, riesce a individuare le leggendarie valli in cui viveva la cosiddetta setta degli assassini. Nella spedizione del 1930, Stark si cimenta anche nella cartografia; infatti, disegna la carta geografica di queste vallate dell’Iran settentrionale che ancora non erano state mappate. Inoltre, fa anche un’esperienza da archeologa, riuscendo a localizzare le rovine della fortezza di Alamut che era il quartier generale della setta degli assassini e prendeva il nome da Aluh Amujt o “nido di aquile”. Grazie a queste esplorazioni Freya riceve un premio dalla Royal Geographical Society nel 1933 e l’anno dopo pubblica la descrizione dei viaggi in uno dei suoi libri più famosi, Le Valli degli Assassini (trad. di Gioia Angiolillo Zannino e Nicoletta Coppini, Guanda, Parma 2003).


La fortezza di Alamut, oggi in Iran (Wikimedia).

Nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali Freya Stark viaggia ancora, per esempio in Arabia meridionale e Yemen, dove solo una manciata di esploratori occidentali si era avventurata, ma mai così lontano come lei. Il suo obiettivo era tracciare la rotta dell’incenso e raggiungere l’antica città di Shabwa, che si diceva fosse stata la capitale della mitica regina di Saba. Tuttavia, Freya si ammala gravemente e deve rinunciare a questa spedizione, ma le esperienze fatte lungo il viaggio le permettono di pubblicare ben tre libri, che nel 1942 le faranno vincere un’altra medaglia della Royal Geographical Society.

Il minareto di Jam, in Afghanistan, con i suoi 65 metri di altezza domina la valle (Wikimedia).

Accanto al fondamentale contributo come viaggiatrice, in ambito letterario Stark viene considerata una delle prime scrittrici che hanno dato vita al moderno travel writing. La scrittura per lei sembra essere una naturale conseguenza del viaggio, sia per fissare le sue impressioni sui Paesi che esplora, sia per metterle a disposizione di altre persone, dato che erano luoghi ancora quasi del tutto sconosciuti al grande pubblico in Occidente. Purtroppo, dei suoi circa trenta libri, tra cui un’autobiografia in quattro volumi e varie raccolte di fotografie, soltanto pochi titoli sono tradotti anche in italiano, e oggi non sono facilmente reperibili.

Ma torniamo alla rocambolesca vita di Freya, che durante la Seconda guerra mondiale lavora per il governo britannico e, grazie alla sua precedente esperienza in Medio Oriente e alla conoscenza di più lingue, viene inviata in vari Paesi tra cui Egitto, Palestina e India. In questo periodo, Stark è anche impiegata come assistente di Stewart Perowne, un amministratore, arabista e storico britannico di stanza ad Aden. La conoscenza si approfondisce al punto che nel 1947 i due si sposano, ma il matrimonio non è per niente felice, nonostante Freya porti il nome della dea dell’amore nella mitologia norrena. Innanzitutto Perowne si rivela essere omosessuale, ma in ogni caso Stark non si è mai adattata al ruolo di moglie di un funzionario pubblico e dopo pochi anni la coppia si separa, anche se non divorzierà mai.

A questo punto, Freya ricomincia a viaggiare e non si fa certo fermare dall’età che avanza: nel 1968, quando ha già 75 anni, organizza una spedizione in Afghanistan per vedere l’imponente minareto di Jam del XII secolo (il sito è oggi patrimonio dell’UNESCO), e anche su questa esplorazione scriverà un libro. In seguito, a 84 anni naviga sul fiume Eufrate a bordo di una zattera, e a 88 sale sulle montagne himalayane in sella a un pony, mentre ormai novantenne torna ad Aleppo per rivedere il deserto. Non stupisce dunque che questa donna instancabile scriva frasi impertinenti come: «è così piacevole sentire che siamo riusciti a fare ciò che tutte le persone sensate ci avevano detto che era impossibile» (Lettere dalla Siria, trad. di Daria Angeli, La Vita Felice, Milano 2014).

Quasi come a fare da contraltare ai suoi viaggi emozionanti fra deserti e mulattiere, Freya Stark aveva sviluppato un forte legame con la cittadina di Asolo, vicino a Treviso, che inizia a frequentare fin da bambina. Qui, infatti, risiedeva una piccola comunità di inglesi, tra cui il pittore Herbert Young, amico dei suoi genitori. Nel 1941 Stark eredita proprio da Young una casa (ancora oggi nota come “Villa Freya”), e per circa mezzo secolo Asolo diventa il porto sereno in cui ritemprarsi fra una spedizione e l’altra.

Freya amava così tanto questo borgo che alla sua morte, il 9 maggio 1993 (pochi mesi dopo il suo centesimo compleanno), viene sepolta proprio nel piccolo cimitero cittadino; quasi avesse voluto riposare per sempre fra queste dolci colline, dopo una lunga esistenza piena di viaggi. E questo amore è ricambiato, dato che nel 2018 il Museo civico di Asolo ha dedicato alla scrittrice una sezione permanente intitolata La stanza di Freya: si tratta di una sala in cui la vita di Stark viene raccontata attraverso i suoi disegni, vari oggetti personali e preziosi taccuini di viaggio.

Sono passati ormai trent’anni dalla morte di Freya Stark, ma la sua eredità sopravvive ancora oggi, la storia stessa della sua vita è un raro esempio di coraggio, determinazione e curiosità. I tanti libri che ha scritto non hanno mai smesso di affascinare i viaggiatori e le viaggiatrici, e ispirano ancora molte persone a partire alla scoperta di angoli di mondo meno conosciuti, senza lasciarsi inibire da chi invece consiglia di restare sulla strada più battuta.

Condividi:

Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, lavora per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it