Francesco Totti e l’effetto San Matteo

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Cosa potrà mai avere a che fare il fuoriclasse della Roma col primo evangelista? Nelle scienze sociali, col saggio di Robert Merton, “The Matthew Effect in Science” (1968), si è cominciato a studiare il così detto «effetto San Matteo», ispirato appunto al celebra passo evangelico in cui si legge: «a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt, 13,12; 25,29).

Merton ha insomma osservato che se si crea un sistema di ricompense, finisce che i ricompensati tendano a trovarsi in posizioni di vantaggio rispetto ai non premiati, così che anche a pari capacità i primi finiscono nel medio e lungo periodo per ottenere risultati migliori, e di qui maggiori riconoscimenti. Essi rimangono più in vista e perciò attirano maggiori attenzioni e apprezzamenti, spesso motivati dal conservarsi della fama conseguita per i primi e tali da riconfermare e rinforzare la loro reputazione.
Così, un premio Nobel che firma un articolo scientifico finisce per fare ombra agli altri firmatari, perché inevitabilmente la comunità scientifica tenderà a ricordare il suo nome e a dimenticare quello degli altri contributori, attribuendo a lui i meriti, anche quando il suo ruolo nella ricerca è stato effettivamente secondario. Per lui si apre un bel dilemma: se non firma l’articolo è probabile che la comunità scientifica non presti la dovuta attenzione al lavoro, che magari lui reputa di valore e meritevole di ottenere una buona accoglienza. D’altra parte, se lo firma, rischia che la comunità scientifica, come abbiamo visto, non riconosca il giusto merito di coloro che pure hanno sviluppato effettivamente il lavoro, avendo avuto magari l’intuizione che ne sta alla base e avendo fattivamente realizzato la ricerca, forse addirittura mentre il premio Nobel andava in giro a fare conferenze sui suoi passati successi. Lo status del premio Nobel verrebbe così a riconfermarsi e gli altri, pur bravi e forse in questo caso più meritevoli, resterebbero nell’ombra.
Come si può capire, non ci sono facili soluzioni e spesso capita che autori famosi, conoscendo questo meccanismo, rinuncino ad avere il loro nome o ad averlo come primo, per lasciare visibilità agli altri, anche se questo porta altri svantaggi, come detto. Del resto, succede che nuovi premi che vogliano imporsi come autorevoli, soprattutto all’inizio premino persone già premiate e di consolidata fama. Così finisce che ai premiati arrivano nuovi premi che consolidano e accrescono la loro fama, mentre agli altri non arriva nulla.

Avviene così sul piano sociale, dopo un certo punto, un meccanismo di auto rinforzo che ricorda quanto da un punto di vista strettamente argomentativo è considerato fallace, perché ultimamente circolare. Mi riferisco alla così detta petitio principi, come quando si dice che i migliori musicisti fanno concerti, perché solo quelli che fanno concerti sono i migliori, oppure che i grandi campioni di calcio sono tanto popolari, perché possono essere popolari solo se sono dei grandi.
La spiegazione non fa che riaffermare la tesi di partenza, che perciò non viene spiegata e la fama si giustifica con la fama.
Certo, soprattutto nel mondo scientifico, la fama deve fondarsi su risultati effettivamente conseguiti sul campo. Resta però vero che molti che hanno dato contributi brillanti alla scienza non sono riusciti a rientrare in questo circolo virtuoso per la fama.

Ovviamente – ed è bene specificarlo al lettore romanista prima che diventi ostile, fraintendendo le conclusioni che si vogliono qui trarre – Totti è meritatamente famoso perché ha conseguito risultati straordinari sul campo, e la sua fama è più che giustificata. L’effetto san Matteo però può avere a che fare con la sua carriera gloriosa.
Lasciamo stare per un momento Totti e prendiamo un calciatore che gode di una fama straordinaria e che vuole continuare a giocare, nonostante l’ormai avanzata età anagrafica. Godendo appunto di una fama straordinaria, la tifoseria lo appoggerà nel suo desiderio di continuare a giocare e perciò sarà ben difficile per società e allenatore lasciarlo da parte. Inserendolo in partita, certo non senza i suoi meriti, ma anche grazie alla sua fama, la squadra lo manderà in rete e così lui farà quei record di goal come giocatore più anziano che altri giocatori, magari altrettanto bravi, ma meno sostenuti dalla fama, non avranno potuto realizzare.
Non sostengo certo che sia questo il caso occorso a Totti, ma lascio al lettore l’opportunità di riflettere se l’effetto San Matteo si possa applicare a «Er Pupone».

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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