Tra sperimentalismo e ricerca del successo
Formatosi a Pavia, i cui maestri (i fratelli Trecourt in primis) apparivano più innovativi rispetto all’ambiente milanese – pesantemente condizionato dalla presenza di Hayez (comunque sia, un gigante) – il Nostro stentò sempre a trovare il filo conduttore della sua arte e della sua esistenza. Il naturale ribellismo e la ricerca di nuovi orizzonti lo portarono così a cambiare spesso città (Parigi, Milano, Roma, Perugia), ad avere contatti con molti altri pittori (tra gli altri: Giovanni Carnovali detto il “Piccio”, i mostri sacri della Scapigliatura lombarda Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, ma anche artisti meridionali quali Domenico Morelli, Filippo Palizzi o Michele Cammarano), come pure con ambienti di ispirazione risorgimentale (quello dei fratelli Cairoli, pavesi, ad esempio). La sua arte fu sempre in bilico tra la ricerca di soluzioni sperimentali e originali e quella del consenso di critica e/o pubblico, che invero non arrise troppo al pittore lombardo. Ciò fu una delle concause della sua grande instabilità, che lo portò al suicidio a soli 36 anni, dopo una fase di acute crisi mistico-religiose. Si uccise – lasciando la moglie e una piccola figlia – ingerendo quel cianuro di potassio che usava, da pioniere della fotografia, per lo sviluppo delle sue lastre: aveva addirittura venduto tutte le sue tele per comprarsi un’attrezzatura adeguata…
Una mostra alla Villa Borromeo d’Adda di Arcore
Ho sempre apprezzato questo pittore, non solo per la sua indubbia grande qualità, ma anche perché più volte menzionato con grande trasporto nelle Note Azzurre del mio amatissimo Carlo Dossi, che in una sua Nota (5055) paragona la sorte di Faruffini a quella di Tranquillo Cremona, poiché i due erano «amicissimi l’uno dell’altro e fratelli di egregi matematici, tutti e due calunniati e combattuti e perseguitatissimi, tutti e due morti in giovane età».
Ciò mi ha spinto a visitare l’interessante mostra Io guardo ancora il cielo. Federico Faruffini, a cura di Simona Bartolena (in collaborazione con Anna Finocchi), a Villa Borromeo d’Adda, Arcore (MB), aperta fino al 27 giugno, il venerdì, sabato e domenica dalle 15.00 alle 18.00 (con prenotazione obbligatoria online). L’iniziativa, promossa e sostenuta dal Comune di Arcore col supporto di alcuni sponsor, è pure accompagnata dall’edizione di un catalogo.
Sono esposte più di sessanta opere di Faruffini provenienti da importanti collezioni private di tutta Italia: dipinti a olio, acquerelli, disegni, incisioni e fotografie originali, numerose lettere e documentazioni d’epoca. Ciò che – ancora una volta – mi ha maggiormente impressionato è la capacità di questo artista di rileggere la storia (classica, medievale o successiva), conferendo a situazioni e personaggi lontani una “modernità” (nel senso di inquietudine) davvero notevole. Insomma, è come se in quei dipinti si potessero intravvedere – pur se in controluce – i tormenti del loro artefice.
Pertanto, inquieti ci appaiono la poetessa greca Saffo (1865), il “golpista” romano Catilina (1864-65), il tribuno medievale Cola di Rienzi che dalle alture di Roma ne contempla le rovine (1856) – divenuto la locandina della mostra arcorese – e perfino Dante, più volte ritratto da Faruffini, che ne ipotizza anche un soggiorno parigino.
Sotto un’apparente serenità sembra trasparire un velo di inquietudine pure nelle donne del bellissimo dipinto parigino Toeletta antica (1865), e questa sensazione (mista però a compiacimento!) appare anche negli occhi delle suore “spiate” dai gaudenti Scolari dell’Alciato (1864), opera di ispirazione rinascimentale.
Questi quadri non hanno nulla a che vedere con la tradizione accademica e neppure con una certa retorica che il Romanticismo aveva conferito agli eventi del passato; davvero, con lui la storia non è mai evento remoto, ma fenomeno quasi contingente, e comunque sempre emozionante.
Aveva ragione – ancora una volta – Carlo Dossi nel dire «Faruffini è un raggio di luce elettrica in sale illuminate ad olio» (Note Azzurre, 4608). Una splendida definizione di “modernità”, no? Certamente guardando questi dipinti nessuno si potrebbe addormentare come l’elegante Lettrice addormentata che si ammira in questi giorni ad Arcore!
Come sempre, da parte mia, nessun “censimento” completo delle opere in mostra, ma semplice menzione di quelle che a me sono piaciute di più. Alcune mi erano ben note, almeno per averle viste su qualche pubblicazione, altre sono state per me una vera sorpresa: tra queste non posso che segnalare per una seconda volta – da vecchio classicista – il piccolo dipinto con Catilina e quello più grande con Saffo, mai visti prima (almeno da me). Molta invidia – lo ammetto – per i fortunati collezionisti che li possono ammirare in casa propria.
Molta soddisfazione, però, per averli potuti ammirare nell’elegante contesto della Villa Borromeo d’Adda di Arcore, uno dei tanti luoghi “di delizie” della Brianza, terra da sempre amata e frequentata dalle più prestigiose famiglie milanesi. Nella caldissima domenica di giugno della mia visita, la frescura del parco nel quale la Villa è ubicata mi è parsa così una giusta riparazione nei confronti della «vita agra» che il pittore trascorse. Per chi scrive – dopo molti mesi di forzata inattività a causa delle restrizioni dovute al Covid-19 – si è trattato invece di un piacevole ritorno alla normalità: non visitavo una mostra, infatti, dallo scorso novembre 2020, quando scrissi su queste colonne – insieme con Alessio Turazza – di un’esposizione dedicata ad Alfred Hitchcock.